USUCAPIONE E COMPROPRIETÀ: IL PUNTO DELLA CASSAZIONE

USUCAPIONE E COMPROPRIETÀ: IL PUNTO DELLA CASSAZIONE

'USUCAPIONE E COMPROPRIETÀ: IL PUNTO DELLA CASSAZIONE'
USUCAPIONE E COMPROPRIETÀ: IL PUNTO DELLA CASSAZIONE

La Suprema Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 9359 dell'8 aprile 2021, ha illustrato i presupposti necessari perché il coerede comproprietario di un edificio sia riconosciuto unico proprietario per intervenuta usucapione. Nel caso in esame, Caio citava in giudizio la cugina, la zia, la madre e la sorella, per domandare al Giudice di accertare in suo favore l'intervenuto acquisto per usucapione dell'intera proprietà di un immobile di cui lo stesso e le parenti erano comproprietari pro indiviso e iure hereditario. Si costituivano in giudizio la zia e la cugina dell’attore, le quali domandavano in via riconvenzionale che venisse accertata l'illegittima occupazione dell'appartamento da parte dell'uomo e la condanna di quest’ultimo al pagamento dell'indennità dovuta per l'occupazione abusiva. Il Giudice di prime cure rigettava sia la domanda dell'attore che quella riconvenzionale delle convenute. Caio interponeva appello e la Corte distrettuale accoglieva il gravame dichiarando l’appellante “esclusivo proprietario, per intervenuta usucapione, dell'edificio”. A questo punto, la vicenda approdava in Cassazione, davanti alla quale le convenute soccombenti lamentavano in particolare: • la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1158 e 2697 c.c., relativi, rispettivamente, all’usucapione ventennale di immobili e al relativo onere probatorio, in quanto il Giudice di merito aveva erroneamente considerato sufficiente ai fini della sussistenza dell'animus excludendi la mancata disponibilità della chiavi in capo alle ricorrenti; • la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1140 e 1144 c.c., in tema, rispettivamente, di possesso e di tolleranza. Secondo le ricorrenti, la Corte distrettuale aveva erroneamente affermato che il possesso esercitato da Caio non poteva essere conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte degli altri compossessori, sia perché ciò doveva essere provato da questi ultimi, sia in quanto l'uso prolungato nel tempo di un bene non è normalmente compatibile con la tolleranza. Per il Tribunale Supremo, la mancata disponibilità delle chiavi dell'edificio da parte delle ricorrenti non poteva essere considerata “elemento di per sé sufficiente ad attestare il possesso” necessario per l'acquisto per usucapione della proprietà dell’immobile. Difatti, seppur sia vero che il coerede che, dopo la morte del de cuius, sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso, a tal fine, egli, che già possiede animo proprio e a titolo di comproprietà, deve estendere questo possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus, non essendo sufficiente l'astensione degli altri partecipanti dall'uso della cosa comune. Infine, gli Ermellini affermavano che “in tema di usucapione, per stabilire se un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l'altrui tolleranza e sia quindi inidonea all'acquisto del possesso, la lunga durata dell'attività medesima può integrare un elemento presuntivo nel senso dell'esclusione della tolleranza qualora non si tratti di rapporti di parentela, ma di rapporti di mera amicizia o buon vicinato, giacché nei secondi, di per sé labili e mutevoli, è più difficile, a differenza dei primi, il mantenimento della tolleranza per un lungo arco di tempo”. In virtù dei suddetti principi, la Cassazione accoglieva il ricorso e cassava la sentenza impugnata.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'