Somministrazione irregolare e invalidità del licenziamento inflitto

Somministrazione irregolare e invalidità del licenziamento inflitto dal somministratore

'Somministrazione irregolare e invalidità del licenziamento inflitto dal somministratore'
Somministrazione irregolare e invalidità del licenziamento inflitto dal somministratore

Con la sentenza n. 30945 del 7 novembre 2023, la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di somministrazione irregolare stabilendo che in tali situazioni il licenziamento del lavoratore è da considerarsi invalido se comminato dal somministratore piuttosto che dall’utilizzatore.

IL CASO

La Corte d'appello di Roma, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra Tizio e la società Alfa e ordinava alla predetta società la ricostituzione del rapporto di lavoro, condannando la stessa al pagamento di una indennità pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre accessori. In particolare, i giudici di secondo grado, sulla base delle risultanze delle prove testimoniali e documentali acquisite, riteneva il licenziamento intimato dalla società Alfa irrogato da soggetto privo della titolarità del rapporto e dunque del potere di risolvere il contratto, con conseguente persistenza del rapporto lavorativo e obbligo del predetto Gestore alla ricostituzione del rapporto di lavoro. Pertanto, ricorrendo una ipotesi di somministrazione di manodopera non autorizzata, e dunque in violazione dei limiti imposti dal Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articoli 20 e 21, considerava applicabile la Legge n. 183 del 2010, articolo 32 e condannava la società al pagamento dell'indennità onnicomprensiva pari a 12 mensilità.

LA PRONUNCIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE

La società Alfa si rivolgeva alla Suprema Corte che, però, le dava torto. I giudici di legittimità precisavano che “In tema di somministrazione irregolare, il Decreto Legge n. 34 del 2020, articolo 80 bis conv., con modif., dalla L. n. 77 del 2020 - ove è previsto che il Decreto Legislativo n. 81 del 2015, articolo 38, comma 3, secondo periodo ai sensi del quale tutti gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o gestione del rapporto si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione, si interpreta nel senso che tra gli atti di costituzione e di gestione del rapporto di lavoro non è compreso il licenziamento - deve qualificarsi come norma di interpretazione autentica, in quanto, chiarendo la portata della norma interpretata, intervenendo, con effetti retroattivi, su quei profili applicativi che avevano dato luogo ad incertezze, prescrive una regola di giudizio destinata ad operare in termini generali per le controversie già avviate come per quelle future”. Di conseguenza, il licenziamento irrogato dal somministratore non estingue il rapporto che intercorre fra il lavoratore e l’utilizzatore. Inoltre, gli Ermellini ritenevano infondato l'assunto di violazione dell'articolo 384 c.p.c., in quanto “A norma dell'articolo 384 c.p.c., comma 1, l'enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, anche qualora, nel corso del processo, siano intervenuti mutamenti della giurisprudenza di legittimità, sicché anche la Corte di Cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di merito, deve giudicare sulla base del principio di diritto precedentemente enunciato, e applicato dal giudice di rinvio, senza possibilità di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa Corte, salvo che la norma da applicare in relazione al principio di diritto enunciato risulti successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di "jus superveniens", comprensivo sia dell'emanazione di una norma di interpretazione autentica, sia della dichiarazione di illegittimità costituzionale” (v. Cass. n. 27155 del 2017; n. 6086 del 2014; n. 13873 del 2012). In virtù di ciò, il Tribunale Supremo rigettava il ricorso della società Alfa.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'