PERMESSI LEGGE 104: C’È ABUSO SOLO QUANDO NON SUSSISTE IL NESSO FRA

PERMESSI LEGGE 104: C’È ABUSO SOLO QUANDO NON SUSSISTE IL NESSO FRA L’ASSENZA DAL LAVORO E L’ASSISTENZA AL DISABILE

'PERMESSI LEGGE 104: C’È ABUSO SOLO QUANDO NON SUSSISTE IL NESSO FRA L’ASSENZA DAL LAVORO E L’ASSISTENZA AL DISABILE'
PERMESSI LEGGE 104: C’È ABUSO SOLO QUANDO NON SUSSISTE IL NESSO FRA L’ASSENZA DAL LAVORO E L’ASSISTENZA AL DISABILE

I permessi previsti ai sensi dell’art. 33 della legge 104 possono essere riconosciuti ad un lavoratore per assistere un familiare disabile. I benefici che spettano ai destinatari della legge 104, vale a dire gli aiuti concessi sia ai disabili che ai loro familiari, sono numerosi e operano in campi diversi. Il comportamento del dipendente che si avvale di questi benefici per attendere ad esigenze diverse dalla cura del disabile integra l’abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’Inps, con rilevanza anche ai fini disciplinari. Ciò vuol dire che il dipendente che usufruisce tutto il giorno di permesso per fini personali non soltanto può essere licenziato, ma anche denunciato per indebita percezione di contributi statali. Difatti, la paga dei giorni di permesso viene sì versata dall’azienda, ma trattasi soltanto di una anticipazione su una somma che, di fatto, viene poi erogata dall’Inps attraverso compensazione sui contributi da versare all’ente di previdenza. L’azienda può sottoporre a controlli segreti il dipendente assente per i permessi della legge 104, facendolo pedinare dai detective privati. Secondo la Suprema Corte, il controllo, demandato dal datore di lavoro ad un’agenzia investigativa, finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi della legge 104 può avvenire liberamente in quanto non si tratta di un accertamento sull’adempimento della prestazione lavorativa (vietato dallo statuto dei lavoratori); detto controllo viene infatti effettuato al di fuori dell’orario di lavoro ed in fase di sospensione dell’obbligazione principale di rendere la prestazione lavorativa, sicché esso non è precluso (Cass., sent. n. 4984/2014). La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12032/2020, si è pronunciata relativamente ai casi in cui ci si trovi di fronte all’abuso o all’uso improprio di questi permessi. La quaestio era sorta quando, all’esito di entrambi i gradi del giudizio di merito, era stata ritenuta insufficiente la prova fornita dal datore di lavoro riguardo alla supposta fruizione abusiva dei permessi ex art. 33 della legge 104 da parte di una dipendente. Conseguentemente, l’azienda aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, ma i Giudici di legittimità hanno ritenuto che la Corte territoriale, nel dar conto della giurisprudenza di legittimità, la quale richiede che i permessi vengano fruiti in coerenza con la loro funzione, oltre che in presenza di un nesso causale con l’attività di assistenza, abbia applicato correttamente le regole di giudizio che presiedono detta materia, escludendo il difetto di buona fede e di disvalore sociale strettamente legato all’abusivo esercizio del permesso da legge 104, considerato il fatto che, a suo parere, la dipendente non aveva approfittato del permesso per esercitare delle attività rispondenti ad un proprio esclusivo interesse. Più precisamente, gli Ermellini hanno affermato che “soltanto ove venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo che genera la responsabilità del dipendente”. L’abuso dei permessi della legge 104 configura reato ed è fonte di responsabilità penale: infatti, integra, nei confronti dell’ente di previdenza erogatore del trattamento economico (l’Inps), un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale. Ciò significa che chiunque può sporgere querela: il datore di lavoro, l’Inps, il collega che abbia visto il lavoratore durante i permessi impegnato in altre attività, ecc. Dunque, l’abuso dei permessi della legge 104 implica le seguenti sanzioni: • licenziamento per giusta causa senza preavviso (cioè in tronco); • responsabilità penale per il reato di indebita percezione di indennità statali con reclusione da sei mesi a tre anni. Se però la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a euro 3.999,96 viene applicata solo la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 5.164 a euro 25.822.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'