I RAPPORTI FRA CONTRATTI COLLETTIVI DI DIVERSO LIVELLO

I RAPPORTI FRA CONTRATTI COLLETTIVI DI DIVERSO LIVELLO

'I RAPPORTI FRA CONTRATTI COLLETTIVI DI DIVERSO LIVELLO'
I RAPPORTI FRA CONTRATTI COLLETTIVI DI DIVERSO LIVELLO

I contratti collettivi si articolano su due livelli: • nazionale (il cosiddetto CCNL); • territoriale/aziendale. Il contratto collettivo nazionale (CCNL) è quello che, oltre a fissare i trattamenti economici e normativi per i lavoratori di uno specifico settore, definisce le materie che sono invece delegate alla contrattazione aziendale. Con il contratto collettivo aziendale o territoriale vengono disciplinate tutte le questioni di carattere economico e normativo che possono sorgere in ambito aziendale. Esso permette di adattare la disciplina dei rapporti individuali agli specifici aspetti di quella che è la singola realtà locale. Oltre a quelli appena descritti, viene poi in rilievo un terzo livello contrattuale nel quale trovano spazio i cosiddetti accordi interconfederali, che hanno la funzione di stabilire le regole generali della contrattazione. Il dibattito sul rapporto tra i contratti collettivi di diverso livello è da sempre caratterizzato da importanti riflessioni dottrinali, nonché da un’ampia produzione giurisprudenziale. Difatti, fra contratto nazionale e contratto aziendale non vi è un rapporto gerarchico, come tra contratto collettivo e contratto individuale, bensì un rapporto di pari ordinazione, non essendoci una norma di legge che disciplina i rapporti fra i due livelli contrattuali. Il rapporto fra contratto aziendale e contratto nazionale, in assenza di una norma di legge volta a regolare i rapporti tra i due livelli contrattuali, ha fatto sorgere il problema del concorso-conflitto tra fonti di diverso rango nella regolamentazione di uno stesso istituto. A dare una soluzione a tale problema sono intervenute negli anni dottrina e giurisprudenza. In particolare, la giurisprudenza, dopo aver stabilito che al conflitto fra contratti collettivi di diverso livello non potesse trovare applicazione l’art. 2077 c.c. (principio del favor prestatoris, che riguarda esclusivamente il rapporto tra disciplina dettata dal contratto collettivo e contratto individuale di lavoro) e neppure il criterio gerarchico, secondo cui il livello decentrato sarebbe subordinato a quello nazionale, diede spazio, anche se per un breve lasso di tempo, al criterio cronologico. Tale orientamento, faceva prevalere l’ultimo contratto, nazionale o aziendale che fosse, su quello precedente, rappresentando, in quanto successivo, la più attendibile manifestazione di volontà delle parti interessate. Successivamente, abbandonato anche il criterio cronologico, la giurisprudenza finì per accogliere il criterio della specialità, cioè la prevalenza del contratto aziendale, sebbene peggiorativo, in quanto più vicino agli interessi da regolare. Solo verso la seconda metà degli anni ottanta la giurisprudenza stabilì che il rapporto fra contratti collettivi di diverso livello dovesse essere regolato dal principio di autonomia. In tal modo venne attribuita maggiore rilevanza alla volontà delle parti, offrendo alle diverse regolamentazioni della contrattazione collettiva pari dignità e forza ugualmente vincolante. In altre parole, “Il contrasto fra contratti collettivi di diverso ambito territoriale deve essere risolto secondo il principio di autonomia alla stregua del collegamento funzionale che le associazioni sindacali pongono, mediante statuti o altri idonei atti di limitazione, fra i vari gradi o livelli della struttura organizzativa e della corrispondente attività, sicché i contratti territoriali possono derogare anche in peius il ccnl” (Cass., sent. n. 17421/2018). Dunque, “Il rapporto tra contratti collettivi - come è da qualificare anche il contratto aziendale - di diverso livello deve essere risolto in base non già al principio della subordinazione del contratto collettivo locale a quello nazionale (salva l'espressa previsione di disposizioni di rinvio), né di quello cronologico (della prevalenza del contratto posteriore nel tempo), ma alla stregua dell'effettiva volontà delle parti operanti in area più vicina agli interessi disciplinati” (Cass., sent. n. 9052/2006). L’Accordo Interconfederale sottoscritto nel 2011 da CGIL, CISL, UIL e Confindustria ha consentito ai contratti collettivi aziendali di poter realizzare, anche in via sperimentale e temporanea, specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali, nei limiti e secondo le procedure previste da questi ultimi, se approvati dalla maggioranza dei componenti delle r.s.u. o dalle r.s.a. che, singolarmente o assieme ad altre, risultino destinatarie della maggioranza delle deleghe. Ciò ha permesso al contratto collettivo aziendale di poter, in caso di deroga, regolare una materia stabilendo condizioni peggiorative rispetto a quelle già previste dal contratto collettivo nazionale. L’Accordo Interconfederale del 2011 ha, dunque, promosso lo sviluppo della contrattazione collettiva di secondo livello. Altresì, è doveroso annoverare l’art. 8 d.l. n. 138 del 2011, conv. con mod. in l. n. 148 del 2011, rubricato «sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità», che consente ai contratti aziendali o territoriali, sottoscritti da particolari soggetti e a specifiche condizioni, di regolare determinate materie indicate dalla legge con due effetti del tutto singolari: • efficacia nei confronti di tutti i prestatori di lavoro interessati; • possibilità di derogare, oltre che ai contratti nazionali, anche a norme di legge, con i soli limiti del rispetto della Costituzione e dei vincoli che derivano dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'