Demansionamento e onere della prova

Demansionamento e onere della prova

'Demansionamento e onere della prova'
Demansionamento e onere della prova

Con l’ordinanza n. 23325/2023, la Corte di Cassazione ha fornito alcune precisazioni in tema di demansionamento del lavoratore. Nella fattispecie esaminata, i giudici d’appello confermavano la sentenza del Tribunale che aveva accolto il ricorso di Tizio ed aveva accertato che il lavoratore era stato illegittimamente demansionato, pertanto aveva condannato la società Alfa a risarcire il danno commisurato al 20% della retribuzione globale di fatto, per la qualifica ricoperta comprese le mensilità aggiuntive, per ogni mese di demansionamento, oltre accessori dalle singole scadenze al saldo. Secondo la Corte territoriale, dal momento che l’art. 2103 c.c. è posto a salvaguardia della professionalità, il datore di lavoro non può assegnare mansioni che, pur riconducibili alla medesima area di inquadramento, concretizzino di fatto un mutamento in pejus delle stesse, e al giudice è demandata la verifica dell’omogeneità delle mansioni svolte. Nello specifico, il giudice di merito aveva accertato che il lavoratore era stato in precedenza assegnato a compiti di coordinamento del personale tecnico con assunzione di responsabilità e professionalità superiore rispetto ad un semplice operatore di macchine, mansioni alle quali era stato adibito successivamente. A questo punto, la società Alfa si rivolgeva alla Suprema Corte asserendo che il dipendente non aveva descritto le mansioni svolte e non le aveva confrontate con quelle precedenti così trascurando di offrire al giudice elementi dai quali desumere l’esistenza di una dequalificazione. I giudici di legittimità davano torto alla società ricorrente stabilendo che “Qualora il lavoratore alleghi un demansionamento professionale riconducibile a un inesatto adempimento dell'obbligo posto dall'art. 2103 c.c. a carico del datore di lavoro, è su quest'ultimo che incombe l’onere di provare l'esatto adempimento, dimostrando l'inesistenza, all'interno del compendio aziendale, di altro posto di lavoro disponibile, equiparabile al grado di professionalità in precedenza raggiunto dal lavoratore”. Il divieto per il datore di variazione in pejus ex art. 2103 c.c., opera anche nel caso in cui al dipendente, nella formale equivalenza delle precedenti e nuove mansioni, siano assegnate di fatto mansioni sostanzialmente inferiori, dovendo il giudice accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del lavoratore, senza fermarsi al mero formale inquadramento dello stesso. Di conseguenza, a fronte dell’allegata denuncia di assegnazione a mansioni differenti e ritenute dequalificanti, la datrice di lavoro avrebbe dovuto dimostrarne l’equivalenza. In virtù di ciò, il Tribunale Supremo rigettava il ricorso.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'