La Cassazione ha recentemente chiarito la nozione della commissione di massimo scoperto, riportandosi a quanto indicato dalla Banca Italia nelle Istruzioni per la rilevazione del TEGM ai fini della legge sull’usura.
Secondo un primo orientamento, sostenuto dalla Seconda Sezione penale, il tenore letterale dell’art. 644, comma IV, c.p. impone di considerare rilevanti, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito, pertanto. tra essi rientrerebbe indubbiamente la commissione di massimo scoperto,
Conseguentemente, secondo tale interpretazione (che considera l’art. 2 bis d.l. n. 185/2008 norma di intepretazione autentica dell’art. 644, comma IV, c.p.) nella determinazione del TEG praticato da un intermediario finanziario nei confronti del soggetto fruitore del credito, dovrà tenersi conto anche della CMS, nel caso in cui essa sia applicata (cfr. Cass., sez. II pen., sent. n. 12028 del 19/02/2010).
Diametralmente opposto l’orientamento della Prima sezione civile che invece smentiva l’applicazione retroattiva dell’art. 2 bis d.l. cit. escludendo che, per il periodo precedente l’entrata in vigore di tale norma, ai fini della verifica del superamento in concreto del tasso soglia dell’usura presunta, si potesse tener conto della CMS (Cass., sez. I civ., 12965 del 22/06/2016 e 22270 del 3/11/2016).
Ebbene, secondo le Sezioni Unite la commissione di massimo scoperto non può non rientrare tra le “commissioni” o “remunerazioni” del credito menzionate sia dall’art. 644, comma IV, c.p. che dall’art. 2, comma I, l. 108/1996, attesa la sua natura corrispettiva alla prestazione creditizia della banca, non rilevando la circostanza che i decreti ministeriali (di cui all’art. 2 comma I cit.) di rilevazione del TEGM non includano nel calcolo di esso anche tale commissione.
Gli ermellini hanno dunque espresso il seguente principio di diritto:
Con riferimento ai rapporti svoltisi, in tutto o in parte, nel periodo anteriore all’entrata in vigore delle disposizioni di cui all’art. 2 bis d.l. n. 185/2008, inserito nella legge di conversione n. 2 del 2009, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta come determinato in base alle disposizioni della legge n.108/1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale d’interesse praticato in concreto e della commissioni di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata – intesa quale commissione calcolata in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento – rispettivamente con il tasso soglia e con la “CMS soglia”, calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media indicata nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 2, comma 1, della predetta legge n. 108, compensandosi, poi, l’importo della eventuale eccedenza della CMS in concreto praticata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con il “margine” degli interessi eventualmente residuo, pari alla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati.
Nuova risposta della giurisprudenza di merito sull'irrilevanza della produzione parziale degli estratti conto. La C.Appello dell'Aquila con la sentenza n. 5 dell' 8 gennaio 2018, ancora una volta, ha affermato che la mancanza degli estratti conto di alcuni periodi del rapporto di conto corrente, non inficia nel complesso la domanda relativa alla ripetizione delle appostazioni indebite effettuate sulla base delle clausole contrattuale ritenute invalide, in quanto l'incompletezza della documentazione non impedisce, nè rende inattendibile, la dimostrazione delle appostazioni a credito e a debito riportate nel conto corrente, nè, quindi, rende inattendibile la ricostruzione dei movimenti contabili effettuata da un CTU.
La mancanza degli estratti conto di alcuni periodi, peraltro, non costituisce pregiudizio delle ragioni della banca, ma anzi va a sicuro detrimento del correntista che, onerato di dimostrare quali fossero gli addebiti di interessi e CMS effettuati sulla scorta di pattuizioni invalide, non riesce ad assolvere l’onere che ex art. 2697 c.c. gli incomba nell’ambito dell’esperita azione di ripetizione dell’indebito (ex multis di recente Cassazione Sez. IV, Ordinanza n. 24948 del 23/10/2017) limitatamente agli indebiti riportati negli estratti conti periodici mancanti.
La C. Appello di L’Aquila con la sentenza n. 83 del 17.01.2018 ha affermato ancora una volta, come in tema di rapporto di conto corrente bancario, in punto di prescrizione e di distinzione tra atti di pagamento ed atti ripristinatori della provvista, la Banca è tenuta ad assolvere l'onere di indicare i singoli pagamenti che rispondono alla diversa funzione solutoria e ripristinatoria al fine di dimostrare tale funzione.
I giudici abruzzesi hanno dato applicazione ai principi dettati dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, in base ai quali l’azione di ripetizione d’indebito, proposta dal cliente di una banca, che lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione degli interessi debitori maturati sul conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto (cfr.: Cass. SS.UU. 24418/2010; Cass. 10713/2016; Cass. 3190/2017).
Sull’argomento va aggiunto che la Suprema Corte ha avuto occasione di precisare, sempre in tema di prescrizione delle pretese restitutorie, che i versamenti eseguiti sul conto corrente in costanza di rapporto hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista ( Cass. 4518/2014), chiarendo infine con la recentissima ordinanza n. 28819/2017, che incombe sulla Banca che eccepisca la prescrizione del credito l’onere di far valere l’avvenuta effettuazione di rimesse solutorie in pendenza di rapporto,non essendo configurabile, in mancanza di tali versamenti, l’inerzia del creditore che rappresenta il fatto costitutivo dell’eccezione.
La Corte di Cassazione I^ sez. Civile, con l’ordinanza n. 28819 del 30 novembre scorso, ha condiviso le motivazioni espresse dalla Corte di Appello di Lecce, secondo cui la ricostruzione del dare-avere tra le parti, deve essere effettuata attribuendosi un saldo di partenza pari a "zero".
I Giudici salentini avevano richiamato le numerose pronunce della S.C. secondo cui, nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la banca, per dimostrare il proprio credito, ha l'onere di produrre gli estratti a partire dall'apertura del conto. Se ciò non avviene, l'istituo di credito non può invocare l'insussistenza dell'obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perché non si può confondere l'onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito (così Cass. 25.11.2010 n. 23974; conf. Cass. 26.1.2011 n. 1842 e 19.9.2013 n. 21466).
Conseguentemente, nel caso in cui la documentazione sia incompleta, non può essere utilizzato quale riferimento, il saldo iniziale debitore del primo estratto conto disponibile, giacchè si tratta di un saldo privo di qualsiasi attendibilità, dato che deriva dall'illegittima applicazione di interessi debitori e di capitalizzazione trimestrale degli stessi.
Inoltre, la Suprema Corte afferma che, nel caso non siano disponibili tutti gli estratti conto del rapporto, una volta acclarata l'illegittima pattuizione e/o applicazione di interessi ultralegali, anatocismo, commissioni e spese, per la ricostruzione del dare avere si dovrà azzerare il saldo debitore del primo estratto conto disponibile.
L’ordinanza in commento conferma il principio secondo cui : spetta sempre al supposto creditore, dimostrare le ragioni del proprio credito e, nel caso di specie, non avendo la Banca prodotto tutti gli estratti di conto corrente, la Suprema Corte ha avallato la scelta compiuta dal CTU, di effettuare il riconteggio del saldo conto, eliminando ogni addebito a titolo di interessi ultralegali, cms e capitalizzazione delle spese, partendo da un saldo pari a zero.
Uno degli argomenti più dibattuti nel contenzioso bancario, è quello della verifica degli interessi usurari.
Questione non di poco conto se si considera che il superamento del c.d.tasso soglia comporta conseguenze rilevanti sia in ambito civile – con applicazione dell’art. 1815 comma 2 c.c. e quindi con esclusione di ogni interesse, sia in ambito penale, configurandosi un possibile reato.
L'incertezza interpretativa, è resa ancor più evidente dal netto contrasto tra alcune pronunce della Cassazione (in particolare, la sentenza 19 dicembre 2011 n. 46669 della Seconda Sezione Penale, favorevole a un'applicazione piena dell'art. 644 c.p., e la sentenza 22 giugno 2016 n. 12695 della Prima Sezione Civile, di avviso opposto).
In tale contesto si colloca la sentenza n. 163/2018 del 23.01.2018 , I^ sez. civile del Trib. di Padova. La suddetta pronuncia ha posto l'accento sui diversi metodi di computo. La rilevazione del TEGM (tasso effettivo globale medio), sulla base delle Istruzioni della Banca d'Italia, e la determinazione del TEG (tasso effettivo globale) della singola operazione creditizia, ai fini della verifica di legalità, sono due operazioni distinte, rispondenti a funzioni diverse e aventi ad oggetto aggregati di costi che, seppure definiti con un criterio omogeneo (interessi, commissioni e spese collegate all'erogazione del credito), non sono perfettamente sovrapponibili.
Il TEGM ha la funzione di fotografare il costo del credito e l’andamento dei tassi medi del mercato, distinti per categorie; si tratta di una rilevazione statistica, mentre il TEG è un indicatore del costo complessivo del finanziamento, non può essere superato secondo quanto previsto dalla legge sull’usura ( L. 108/1996). Sulla base di tali fondamentali differenze, l'Organo Giudicante ha ritenuto più convincenti le argomentazioni sostenute dalla Cassazione penale, sottolineando come in tema di elementi da computare ai fini della verifica dell’usura l’esigenza di una simmetria di metodologia di calcolo del TEGM e del TEG contrattuale non può prevalere sul chiaro dato testuale della L. 108/1996 .
La Corte conclude affermando che: se il superamento della soglia antiusura si verifica per effetto dell'aumento dei tassi addebitati al cliente quale conseguenza dell'esercizio dello jus variandi in senso peggiorativo al correntista, ne consegue la sanzione civilistica dell'eliminazione degli addebiti limitatamente ai trimestri coinvolti dal fenomeno usurario.