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PROCESSO TRIBUTARIO - LA VALUTAZIONE DELLA PERIZIA DI PARTE

La Corte di Cassazione ha ritenuto, con indirizzo consolidato, che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p. c., poiché, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l'apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall'analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l'apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell'ambito di quest'ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (vedi Cass. 7 aprile 2017 n.9097). Però, è stato condivisibilmente aggiunto, dall'orientamento ugualmente consolidato della Corte di Cassazione, che il mancato esame delle risultanze della consulenza tecnica integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, anche ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., con riguardo al caso in cui nel corso del giudizio di merito siano state espletate più consulenze tecniche, in tempi diversi e con difformi soluzioni prospettate, ed il giudice si sia uniformato ad una sola delle consulenze senza valutare le eventuali censure di parte e giustificare la propria preferenza, limitandosi ad un'acritica adesione ad essa, senza dare neppure adeguata giustificazione del suo convincimento mediante l'enunciazione dei criteri probatori e degli elementi di valutazione specificamente seguiti (vedi, per tutte, Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 13770 del 31/05/2018). Non si tratta, poi, di una valutazione di puro merito, come tale non sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della mancanza ed insufficienza della motivazione, il che renderebbe inammissibile il motivo, bensì, alla luce del tenore dell'art. 360 n. 5 cpc, di omessa o comunque insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio posto all'esame del giudice del merito. Con il ricorso per Cassazione si può contestare una omissione, da parte del giudice d'appello, della motivazione in ordine all'esame di una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe potuto comportare una diversa decisione sul fatto costitutivo della domanda e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia ed in particolare, per esempio, su un fatto naturalistico consistente nelle caratteristiche dell'immobile, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione (v. tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 17477 del 09/08/2007; Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997; Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014). In applicazione degli artt. 115 e 116 cpc, non può essere negato valore probatorio alle consulenze tecniche prodotte in causa da una delle parti senza indicare i motivi per cui ne è stata esclusa la rilevanza ed è stato, invece, attribuito valore probatorio solo alle indagini tecniche della controparte, considerate come facenti piena prova, così recependo, senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (v. Cass. Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 1229 del 17/01/2019; Sez. 6- L, Ordinanza n. 27000 del 27/12/2016; Ordinanza n. 31487 del 26/06/2019). Lecce, 19 settembre 2020

AVV. MAURIZIO VILLANI Avvocato Tributarista in Lecce Patrocinante in Cassazione www.studiotributariovillani.it - e-mail avvocato@studiotributariovillani.it


LA NOTIFICA TRAMITE PRIVATI

Nel processo tributario le notificazioni sono eseguite, in primo luogo, secondo le norme degli artt. 137 e seguenti c.p.c. (art. 16, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546), tra le quali v'è l'art. 149 c.p.c., che consente la notificazione a mezzo del servizio postale, in base alle regole dettate dalla L. 20 novembre 1982, n. 890; in secondo luogo, la notificazione può essere eseguita oltre che mediante consegna diretta all'impiegato dell'amministrazione finanziaria o dell'ente locale a mezzo del servizio postale raccomandato con avviso di ricevimento (art. 16, comma 3, nel testo applicabile ratione temporis). Qualora la notificazione sia eseguita a mezzo posta, «...il ricorso s'intende proposto al momento della spedizione nelle forme sopra indicate» (art. 20, comma 2), ossia in quelle richiamate dai commi 2 e 3 dell'art. 16. A ogni modo, la corretta lettura della locuzione «notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla legge 20 novembre 1982, n. 890, e successive modificazioni» implica la riserva di tutte le notificazioni concernenti atti giudiziari eseguite a mezzo posta, senza distinzione in base al richiedente (come emerge da Cass., sez. un., 26 marzo 2019, n. 8416, secondo cui la novella introdotta dal d.lgs. n. 58/11 ha determinato la limitazione della riserva a s.p.a. Poste italiane, per il profilo d'interesse, «alla notificazione a mezzo posta degli atti giudiziari»). In definitiva, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ulteriormente sottolineato, facendo leva sulla previsione dell'art. 30 della legge delega 30 dicembre 1991, n. 413, di adeguamento delle norme del processo tributario a quelle del processo civile, non v'è alcuna ragione logica e giuridica per distinguere il regime della notificazione diretta a mezzo di raccomandata postale dall'ordinaria notificazione tramite ufficiale giudiziario che si avvalga del servizio postale (Cass., sez. un., 29 maggio 2017, nn. 13452 e 13453, punto 3.8). Indubbio è, quindi, che le notificazioni dirette a mezzo raccomandata postale dei ricorsi in materia tributaria rientrano nell'ambito della riserva al fornitore del servizio universale contemplata dall'art. 4 del d.lgs. n. 261/99. La questione, peraltro, eccede i confini del processo tributario e anche quelli del diritto nazionale, in quanto coinvolge i temi unionali della libertà di concorrenza e della graduale eliminazione degli ostacoli frapposti al mercato unico, che hanno trovato un complesso articolato di princìpi nella direttiva n. 97/67/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 dicembre 1997, poi modificata dalla direttiva n. 2008/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 febbraio 2008, progressivamente attuate dal diritto interno. Il che comporta la necessità di coordinare la giurisprudenza nazionale con quella unionale, di segno prevalente rispetto alla prima. Il profilo problematico di maggior rilievo concerne, difatti, l'influenza sul regime delle notificazioni dei princìpi posti dalle direttive in questione. Non è valso osservare dinanzi alla Corte di Giustizia, per escluderne la rilevanza, che la direttiva n. 97/67/CE, la quale non contempla la procedura civile tra le materie enumerate nel proprio campo di applicazione, fissato dall'art. 1, è stata adottata sul fondamento dell'art. 95 TCE (divenuto art. 114 del TFUE), che costituisce la base giuridica per il ravvicinamento delle legislazioni nazionali destinate ad assicurare il funzionamento del mercato interno, e non già in base all'art. 65 del TCE (divenuto art. 81 del TFUE), base giuridica per l'armonizzazione delle norme di procedura civile. Seguendo quest'impostazione, ha replicato la Corte di Giustizia (con sentenza 27 marzo 2019, causa C-545/17, Pawlak, punto 30), non si riuscirebbe a scongiurare gli ostacoli posti dalla disciplina nazionale del processo civile al percorso di apertura alla concorrenza nel settore in esame. La direttiva n. 97/67/CE, pur avviando la graduale liberalizzazione del mercato dei servizi postali, riconosceva agli Stati membri la possibilità di riservare al fornitore o ai fornitori del servizio universale «...la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione di invii di corrispondenza interna» (art. 7); consentiva, per ragioni di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, di scegliere «...gli organismi responsabili per il servizio di corrispondenza registrata cui si ricorre nell'ambito di procedure giudiziarie o amministrative conformemente alla legislazione nazionale (...)» (considerando 20); prevedeva, e tuttora prevede, che «Le disposizioni dell'articolo 7 lasciano impregiudicato il diritto degli Stati membri di provvedere ... al servizio di invii raccomandati utilizzato nelle procedure amministrative e giudiziarie conformemente alla loro legislazione nazionale» (art. 8). La riserva era funzionale al mantenimento del servizio universale (art. 7), del quale costituiva il principale canale di funzionamento in condizione di equilibrio finanziario (considerando 16). Con la direttiva n. 2008/6/CE v'è stata una virata (in parte anticipata dalla direttiva n. 2002/39/CE), poiché il legislatore dell'Unione, mutando prospettiva, ha ritenuto «opportuno porre fine al ricorso al settore riservato e ai diritti speciali come modo per garantire il finanziamento del servizio universale» (considerando 25). Sicché, con l'art. 7 della direttiva n. 97/67/CE, radicalmente novellato, il legislatore dell'Unione ha stabilito che «Gli Stati membri non concedono né mantengono in vigore diritti esclusivi o speciali per l'instaurazione e la fornitura di servizi postali...». La concessione di questi diritti all'operatore designato è quindi scomparsa dal novero delle opzioni esplicitamente autorizzate per il finanziamento del settore universale (lo sottolinea Corte Giustizia 2 maggio 2019, causa C-259/18, Sociedad Estatal Correos y Telégrafos SA, punto 34). Il legislatore italiano ha dato attuazione con ritardo alla normativa unionale. In esecuzione della direttiva n. 97/67/CE il d.lgs. 22 luglio 1999, n. 261 ha riconosciuto come fornitore del servizio universale, nel testo applicabile all'epoca dei fatti di causa, «l'organismo che gestisce l'intero servizio postale universale su tutto il territorio nazionale» (art. 1, comma 2, lett. o); ha affidato il servizio universale alla società Poste italiane per un periodo comunque non superiore a quindici anni dalla data di entrata in vigore del decreto (art. 23, comma 2); ha ammesso la possibilità di riservare al fornitore del servizio universale «...la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione di invii di corrispondenza interna e transfrontaliera, anche tramite consegna espressa» (art. 4, comma 1), indicandone limiti di peso e prezzo e ha previsto che «Indipendentemente dai limiti di prezzo e di peso, sono compresi nella riserva di cui al comma 1 gli invii raccomandati attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie...» (art. 4, comma 5). La riserva è espressamente volta al «mantenimento» del fornitore del servizio universale, ossia a finanziarlo; tanto che il fondo di compensazione degli oneri del servizio universale istituito dall'art. 10 è «...alimentato nel caso e nella misura in cui i servizi riservati non procurano al fornitore del predetto servizio entrate sufficienti a garantire l'adempimento degli obblighi gravanti sul fornitore stesso». In seguito, nel dettare i princìpi e i criteri generali per il recepimento della direttiva n. 2008/6/CE, il legislatore delegante ha stabilito che, nel contesto di piena apertura al mercato, «...a far data dal 31 dicembre 2010 non siano concessi né mantenuti in vigore diritti esclusivi o speciali per l'esercizio e la fornitura di servizi postali» (art. 37, comma 2, lett. a), della L. delega 4 giugno 2010, n. 96, pur facendo salvo l'art. 8 della direttiva n. 97/67). Ma l'art. 4, comma 1, del d. lgs. n. 261/99, come novellato dal d.lgs. n. 58/11, ha stabilito che per esigenze di ordine pubblico fossero riservati in via esclusiva al fornitore del servizio universale, ossia a Poste italiane (alle quali il servizio è stato nuovamente affidato per quindici anni a decorrere dal 30 aprile 2011, giusta l'art. 1, comma 18, del d.lgs. n. 58/11), tra l'altro, i servizi concernenti le notificazioni a mezzo posta di atti giudiziari. Soltanto l'art. 1, comma 57, della L. 4 agosto 2017, n. 124 ha comportato, per i profili d'interesse, l'abrogazione del suddetto art. 4 a decorrere dal 10 settembre 2017, l'aggiunta in fine al comma 2 del successivo art. 5 del seguente periodo: «Il rilascio della licenza individuale per i servizi riguardanti le notificazioni di atti a mezzo della posta e di comunicazioni a mezzo della posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla legge 20 novembre 1982, n. 890, nonché per i servizi riguardanti le notificazioni a mezzo della posta previste dall'articolo 201 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, deve essere subordinato a specifici obblighi del servizio universale con riguardo alla sicurezza, alla qualità, alla continuità, alla disponibilità e all'esecuzione dei servizi medesimi» e, finalmente, la soppressione del riferimento, contenuto nell'art. 10 a proposito del fondo di compensazione, ai servizi in esclusiva di cui all'articolo 4. Nel contesto così delineato, la giurisprudenza civile della Corte di Cassazione sottolinea che, nel regime precedente alla novella del 2017, l'operatore di posta privata non riveste, a differenza del fornitore del servizio postale universale, la qualità di pubblico ufficiale, sicché gli atti da lui redatti non godono di alcuna presunzione di veridicità fino a querela di falso (Cass. 30 gennaio 2014, n. 2035). La necessità di assicurare l'effettività della funzione probatoria dell'invio raccomandato, presidiata dall'art. 1, comma 2, lett. i), del d.lgs. n. 261/99, rappresenterebbe l'esigenza di ordine pubblico che sostiene la scelta di riservare in via esclusiva al fornitore del servizio universale gli invii raccomandati concernenti le procedure giudiziarie nonchè pure quelle amministrative, prima del d.lgs. n. 58/11 (Cass. 18 dicembre 2014, n. 26704). Sicché si è ritenuta inesistente e non sanabile la notificazione di atti processuali eseguita mediante servizio postale non gestito da Poste italiane, ma da un operatore di posta privata (tra varie, Cass. 31 gennaio 2013, n. 2262; 19 dicembre 2014, n. 29021; 30 settembre 2016, n. 19467; 10 maggio 2017, n. 11473; 5 luglio 2017, n. 16628). Né all'art. 1 della L. n. 124/17 si può riconoscere efficacia retroattiva: non si tratta di norma interpretativa, in quanto l'operatività della disciplina da essa delineata presuppone il rilascio delle nuove licenze individuali relative allo svolgimento dei servizi già oggetto di riserva, sulla base delle regole da predisporsi da parte dell'autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Cass. 11 ottobre 2017, n. 23887; 3 aprile 2018, n. 8089; 31 maggio 2018, n. 13855; 7 settembre 2018, n. 21884). Sull'irretroattività della novella convengono anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (con la sentenza n. 8416/19, cit.), che hanno riconosciuto, in relazione al regime normativo successivo al d.lgs. n. 58/11, la legittimità della notificazione a mezzo operatore di posta privata dei soli atti di natura amministrativa. Con l'ordinanza interlocutoria la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione esprime perplessità sulla tenuta dell'orientamento concernente la qualificazione d'inesistenza della notificazione di atti giudiziari eseguita da un operatore di poste private in relazione al periodo precedente all'entrata in vigore della novella del 2017. Anzitutto, rileva che la tesi dell'inesistenza della notificazione dell'atto processuale eseguita a mezzo posta dall'operatore in questione si potrebbe porre in contrasto con la possibilità di assimilare la notificazione in questione a quella eseguita mediante consegna diretta, contemplata dalla combinazione degli artt. 16, comma 3, e 20, comma 1, del d.lgs. n. 546/92: l'operatore di poste provate ben potrebbe essere equiparato a un vettore che provvede alla consegna a mani dell'atto introduttivo della lite, con l'unica particolarità che in tal caso la notificazione si dovrebbe reputare eseguita nella data di ricezione e non già in quella di spedizione dell'atto. Una parte della giurisprudenza dubita, inoltre, della coerenza dell'indirizzo con la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ricostruisce la notificazione non come requisito di esistenza e di perfezionamento dell'atto che ne è oggetto, ma come condizione integrativa dell'efficacia di esso: ne conseguirebbe che anche l'inesistenza della notificazione non comporterebbe quella dell'atto che ne è oggetto, quando ne risulti inequivocabilmente la piena conoscenza da parte del contribuente entro il termine di decadenza concesso per l'esercizio del potere dell'amministrazione finanziaria, sulla quale grava il relativo onere probatorio (tra varie, Cass. 15 gennaio 2014, n. 654; 24 aprile 2015, n. 8374; 30 gennaio 2018, n. 2203; 24 agosto 2018, n. 21071). E, ancora, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione sospetta della compatibilità, in chiave di sistema, dell'indirizzo in questione col radicale ridimensionamento, dovuto all'elaborazione di queste sezioni unite (Cass., sez. un., 20 luglio 2016, nn. 14916 e 14917, seguite, tra varie, da Cass., sez. un., 13 febbraio 2017, n. 3702, da Cass. 7 giugno 2018, n. 14840 e da Cass. 8 marzo 2019, n. 6743), della categoria dell'inesistenza della notificazione, ridotta, in base al carattere strumentale delle forme degli atti processuali, ai soli casi in cui l'attività svolta sia priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto come notificazione; di modo che ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale ricade nella categoria della nullità. Qualche spiraglio per una soluzione diversa affiora dall'indirizzo che ammette la validità della notificazione eseguita dall'agenzia privata, alla quale però il plico sia stato affidato dalle Poste, nonché, viceversa, di quella compiuta dalle Poste, alle quali l'atto sia stato veicolato dall'operatore di poste private: nel primo caso, si sostiene, l'attività di recapito rimane all'interno del rapporto tra le Poste e l'agenzia di recapito, e in capo alle Poste permane la piena responsabilità per l'espletamento del servizio (Cass. 6 giugno 2012, n. 9111); nel secondo, si specifica che una tale modalità operativa rispetta la riserva in via esclusiva prevista a favore del fornitore del servizio universale e, quindi, l'esigenza di garantire l'attestazione fidefaciente della puntualità e regolarità degli adempimenti (Cass. 21 luglio 2015, n. 15347; conf., Cass. 13 settembre 2017, n. 21251). Attestata su una soluzione diversa da quella prevalente si pone pure parte della giurisprudenza penale, anch'essa menzionata nell'ordinanza interlocutoria, secondo cui i servizi riservati in via esclusiva a Poste italiane dall'art. 4 del d.lgs. n. 261/99 non contemplano la mera spedizione di un atto d'impugnazione, che sarebbe concettualmente diversa dalla «notificazione a mezzo posta di atti giudiziari», perché volta a far pervenire l'atto che ne è oggetto non a una controparte, bensì a un ufficio giudiziario (Cass. pen., 28 novembre 2013/22 gennaio 2014, n. 2886; 6 novembre 2014/18 maggio 2015, n. 20380; 3 maggio/1 agosto 2017, n. 38206). La giurisprudenza nazionale non tiene adeguato conto della normativa e della giurisprudenza unionali. Anzitutto l'opzione della giurisprudenza penale trova espressa smentita in quella della Corte di Giustizia. La direttiva modificata n. 97/67/CE definisce i «servizi postali» come i servizi che includono la raccolta, lo smistamento, il trasporto e la distribuzione degli invii postali (art. 2, punto 1, che non è sensibilmente diverso dal testo previgente, che li definiva come «servizi che includono la raccolta, lo smistamento, l'instradamento e la distribuzione degli invii postali»). L'«invio postale» è, da parte sua, definito come l'invio, nella forma definitiva al momento in cui viene preso in consegna, dal fornitore di servizi postali (art. 2, punto 6, che, nella versione antecedente alla modifica disposta dalla direttiva n. 2008/6, si riferiva all'invio nella forma definitiva al momento in cui viene preso in consegna dal fornitore del servizio universale). Sicché l'invio per posta di atti processuali è un invio postale e il servizio relativo entra nel novero dei servizi postali (Corte Giust. in causa C-545/17, cit., punto 40, che si riferisce, peraltro, giustappunto all'invio per posta agli organi giurisdizionali presi in considerazione dalle suddette pronunce penali di questa Corte; in termini anche Corte Giust. 31 maggio 2018, cause C-259/16 e C-260/16, Confetra, punto 33). Non è quindi possibile distinguere, all'interno della nozione di "invio postale" rilevante ai fini del diritto unionale, il segmento della spedizione rispetto a quello del recapito. Ma ciò che qui preme soprattutto rilevare e valutare è il rapporto della giurisprudenza civile della Corte di Cassazione con il diritto dell'Unione. A seguito della direttiva n. 2008/6/CE, pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea del 27 febbraio 2008, il diritto unionale è di ostacolo al riconoscimento di diritti speciali o esclusivi a un operatore postale (in termini, Corte Giust. in causa C-545/17, cit., punti 67-68); sicché non può essere riconosciuta a un operatore una tutela particolare idonea a incidere sulla capacità delle altre imprese di esercitare l'attività economica consistente nell'instaurazione e nella fornitura di servizi postali nello stesso territorio, in circostanze sostanzialmente equivalenti. Il principio ha portata generale: «il fatto che uno Stato membro riservi un servizio postale, che questo rientri o no nel servizio universale, a uno o a più fornitori incaricati del servizio universale costituisce un modo vietato per garantire il finanziamento del servizio universale» (Corte Giust. in causa C-545/17, cit., punto 53). Ne consegue che l'art. 8 della direttiva, che non è stato novellato, va interpretato restrittivamente (con riferimento, peraltro, ai soli invii raccomandati e non già a quelli ordinari), perché introduce una deroga al principio. In questa logica non incide la circostanza che il diritto esclusivo o speciale per l'instaurazione e la fornitura di servizi postali sia concesso a un fornitore del servizio universale nel rispetto dei canoni di obiettività, di proporzionalità, di non discriminazione e di trasparenza. Si arriverebbe, altrimenti, a circoscrivere la portata del divieto posto dall'art. 7, paragrafo 1, prima frase, della direttiva modificata e, pertanto, a compromettere la realizzazione dell'obiettivo, ivi perseguito, di completare il mercato interno dei servizi postali. Ora, nel regime nazionale successivo alla direttiva n. 2008/6/CE e anteriore a quello introdotto dalla novella del 2011, così come nel regime successivo a tale novella e antecedente alla L. n. 124/17, a s.p.a. Poste Italiane resta riservato in via esclusiva, per il profilo d'interesse, il servizio della notificazione a mezzo posta degli atti processuali; e ciò si correla all'esclusivo riconoscimento del diritto speciale in virtù del quale la veridicità dell'apposizione della data mediante proprio timbro è presidiata dal reato di falso ideologico in atto pubblico, giacché la si riferisce all'attestazione di attività compiute da un pubblico agente nell'esercizio delle proprie funzioni (tra varie, Cass. 4 giugno 2018, n. 14163 e 19 luglio 2019, n. 19547). A sostegno di tale regime, e, in particolare, dei vantaggi in cui esso si esprime, non sono dimostrate le ragioni di ordine pubblico o di pubblica sicurezza idonee a derogare, a norma dell'art. 8 della direttiva n. 97/67/CE, alla norma generale prevista all'art. 7 della direttiva modificata, nell'accezione che ne fornisce il diritto unionale. Per ricorrere alla deroga occorre difatti che lo Stato membro dimostri «l'esistenza di un interesse pubblico» (Corte Giust. in causa C-545/17, Pawlak, punto 73). Quest'interesse, ha ammonito la Corte di Giustizia (con la medesima sentenza, punto 74), si deve esprimere in una giustificazione oggettiva della deroga. La giurisprudenza della Corte di Cassazione assume, invece, si è visto, che nel diritto interno l'interesse pubblico consista nella forza fidefaciente degli atti redatti dall'operatore postale di Poste italiane, che si riverbera sulla funzione probatoria ancorata all'invio raccomandato. Questa nozione d'interesse pubblico si risolve in una petizione di principio, perché identifica la conseguenza dello status di una categoria di operatori postali e, quindi, il vantaggio loro attribuito, con la giustificazione oggettiva dell'attribuzione. Nè maggiori lumi si ricavano dalla relazione che ha accompagnato il d.lgs. n. 58/11, in cui si legge che le ragioni di ordine pubblico sono relative «al contenuto degli invii», ricorrendo, anche in tal caso, a una mera tautologia. Non è, quindi, chiarito quali fossero le esigenze di ordine pubblico richiamate dall'art. 4 del d.lgs. n. 261/99; quel che è chiaro è che la riserva risponde ancora all'esigenza di finanziare il servizio postale universale. Di là da un mero maquillage, difatti, l'art. 10 del d.lgs. n. 261/99 continua a stabilire, anche dopo la novella del 2011, che il fondo di compensazione, che è volto a garantire l'espletamento del servizio postale universale, è alimentato nel caso in cui il fornitore del predetto servizio non ricava «dalla fornitura del servizio universale e dai servizi in esclusiva di cui all'articolo 4 entrate sufficienti a garantire l'adempimento degli obblighi gravanti sul fornitore stesso». Sicché è ragionevole ritenere che le ragioni poste a sostegno della riserva siano ancora quelle del finanziamento del fornitore del servizio universale, benché vietate dalla direttiva n. 2008/6/CE. La Corte di Giustizia, del resto, facendo leva sulla considerazione che gli altri operatori «...dispongano dei mezzi organizzativi e personali adeguati» a recapitare gli atti processuali, ha ritenuto che mancasse la giustificazione oggettiva inerente a ragioni di ordine pubblico o di sicurezza pubblica a fronte di una norma di diritto nazionale -in quel caso, polacco- che riconosceva come equivalente alla presentazione di un atto processuale dinanzi all'organo giurisdizionale interessato soltanto il deposito di un simile atto presso un ufficio postale dell'unico operatore designato per fornire il servizio postale universale (Corte Giust. in causa C-545/17, cit., punto 77). Da quanto sopra discende che la vigente direttiva n. 2008/6/CE imponeva già al legislatore italiano l'abolizione di qualsiasi riconoscimento, salvo il ricorrere di determinate, restrittive e rigorose condizioni, di diritti speciali o esclusivi a taluni operatori del servizio postale. L'obbligo di adeguamento al diritto unionale così imposto era già incluso, per conseguenza, tra i principi del diritto nazionale e, con esso, la generale potenziale idoneità dell'operatore di poste private a compiere l'attività di notificazione di atti processuali, indipendentemente dal fatto che ancora pendesse per lo Stato italiano il termine, fissato al 31 dicembre 2010 dall'art. 2 della direttiva n. 2008/6/CE, per mettere «...in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi...» alla direttiva. La circostanza che il diritto interno non si è compiutamente adeguato, fino alla legge n. 124/17, a tale impostazione e ha mantenuto in capo a s.p.a. Poste italiane i suddetti diritti esclusivi e speciali non può conferire loro la forza di "sistema", nel senso di far considerare radicalmente estranea a esso l'attività di notificazione postale di atti giudiziari da parte dell'operatore postale privato. La prevista astratta possibilità di tale attività rende di per sé riconoscibile la fattispecie della notificazione in quella eseguita da quell'operatore, anche sotto il profilo soggettivo (in base alle precisazioni di Cass., sez. un., nn. 14916 e 14917/16, cit., che ha esaminato il regime della notificazione del ricorso per cassazione, ma che ha dettato principi di chiaro valore espansivo). Non v'é quindi quella completa esorbitanza dallo schema generale degli atti di notificazione che ne sostanzia l'inesistenza giuridica (Cass., sez. un., 4 luglio 2018, n. 17533, punto 9.1.5), perché l'attività svolta appartiene al tipo contemplato dal complessivo sistema normativo. Resta, tuttavia, la difformità di tale attività dalla concreta regolazione interna vigente. E, sotto tale profilo, rileva in particolare la mancata adozione, con riferimento all'operatore di posta privata, della disciplina inerente al necessario titolo abilitativo (di cui, quindi, il soggetto operante nel caso di specie era sicuramente sprovvisto). Il titolo abilitativo comporta la soggezione a un regime giuridico particolare, fonte di conferimento di diritti, ma anche di assunzione di obblighi specifici. Sicché è la soggezione a tale regime che determina l'acquisizione dello status che fonda la distinzione tra operatori postali. Il che assume, ha precisato ancora la Corte di Giustizia, una particolare valenza proprio con riguardo alle attività di notificazione di atti giudiziari, mediante le quali l'operatore è investito di prerogative inerenti ai pubblici poteri al fine di poter rispettare gli obblighi che incombono su di lui; «tali servizi mirano non già a rispondere a particolari esigenze di operatori economici o di taluni altri utenti particolari, bensì a garantire una buona amministrazione della giustizia, nella misura in cui essi permettono la notifica formale di documenti nel quadro di procedimenti giurisdizionali o amministrativi» (Corte Giust. 16 ottobre 2019, cause C-4/18 e C-5/18, Winterhoff e altro, punto 58). Conforme è la giurisprudenza costituzionale, che ha fatto leva sul particolare statuto di regole al quale è assoggettato l'agente per la riscossione al fine di giustificare in relazione a esso il regime differenziato rispettivamente previsto per la notificazione diretta delle cartelle di pagamento, degli atti impositivi e dei ruoli dagli artt. 26 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, 14 L. 20 novembre 1982, n. 890 e 1, comma 161, della L. 27 dicembre 2006, n. 296 (Corte Cost. 23 luglio 2018, n. 175 e 24 aprile 2019, n. 104). Tutto ciò peraltro si risolve in una violazione di specifici vincoli normativi, che configura una mera nullità dell'attività notificatoria in questione; laddove l'astratta compatibilità della medesima col complessivo sistema normativo esclude che si possa parlare di inesistenza. Perché l'indicazione di data, ufficio e numero di spedizione dell'atto in plico raccomandato (senza busta) assuma connotazione di atto pubblico, pur in assenza di sottoscrizione, occorre che vi sia una precisa sequenza procedimentale diretta a documentare le attività compiute in relazione all'accettazione del plico da spedire e, quindi, a identificare la certa provenienza delle attestazioni su giorno e numero della raccomandata (Cass., sez. un., nn. 13452 e 13453/17, cit.). Di contro, la mancanza della licenza, e del correlativo status, come la giurisprudenza della Corte di Cassazione sottolinea, non consente di riconoscere la forza di atto pubblico all'attestazione della data di consegna all'operatore dell'atto processuale da notificare, perché l'operatore che non ne sia munito non è dotato di poteri certificativi. Inoltre, il soggetto destinatario della notificazione non ha la possibilità di verificare e controllare quando l'atto sia stato consegnato all'operatore, in modo da poterne contestare la data. Ma, e soprattutto, occorre considerare che le notificazioni processuali incidono su interessi di rango costituzionale (presidiati dagli artt. 24 e 111 Cost.), sicché necessitano di quella certezza pubblica che è propria degli atti fidefacienti, non altrimenti surrogabile (ancora Cass., sez. un., nn. 13452 e 13453, cit.). La mancanza di certezza legale della data di consegna all'operatore di poste private dell'atto da notificare comporta, quindi, l'impossibilità di ancorare la proposizione del ricorso «...al momento della spedizione nelle forme sopra indicate» (giusta l'art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 546/92). L'impossibile valorizzazione del momento di consegna dell'atto all'agente notificatore si unisce, nella specie, al sicuro pervenimento dell'atto al destinatario quando il termine di decadenza dall'impugnazione era ormai inutilmente spirato. In definitiva, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con l’importante sentenza n. 299/2020, depositata in cancelleria il 10 gennaio 2020, hanno stabilito il seguente principio di diritto: "In tema di notificazione di atti processuali, posto che nel quadro giuridico novellato dalla direttiva n. 2008/6/CE del Parlamento e del Consiglio del 20 febbraio 2008 è prevista la possibilità per tutti gli operatori postali di notificare atti giudiziari, a meno che lo Stato non evidenzi e dimostri la giustificazione oggettiva ostativa, è nulla e non inesistente la notificazione di atto giudiziario eseguita dall'operatore di posta privata senza relativo titolo abilitativo nel periodo intercorrente fra l'entrata in vigore della suddetta direttiva e il regime introdotto dalla legge n. 124 del 2017". "La sanatoria della nullità della notificazione di atto giudiziario, eseguita dall'operatore di poste private per raggiungimento dello scopo dovuto alla costituzione della controparte, non rileva ai fini della tempestività del ricorso, a fronte della mancanza di certezza legale della data di consegna del ricorso medesimo all'operatore, dovuta all'assenza di poteri certificativi dell'operatore, perché sprovvisto di titolo abilitativo". Lecce, 12 settembre 2020

                                Avv. Maurizio Villani
                                Avv. Alessandro Villani

AVV. MAURIZIO VILLANI Avvocato Tributarista in Lecce Patrocinante in Cassazione www.studiotributariovillani.it - e-mail avvocato@studiotributariovillani.it


L’ISCRIZIONE NEL RUOLO STRAORDINARIO

Ai sensi dell'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 il ruolo e la cartella di pagamento rientrano tra gli atti impugnabili nel processo tributario. Il comma 3 del citato articolo prevede, inoltre, che: "Gli atti diversi da quelli indicati (n.d.r. al comma 1) non sono impugnabili autonomamente. Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all'atto notificato, ne consente l'impugnazione unitamente a quest' ultimo". Non vi è dubbio che l'intimazione di pagamento sia un atto impugnabile, in quanto secondo quanto espresso dalla Corte di Cassazione: "In tema di contenzioso tributario, l'impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che, tuttavia, sia espressivo di una pretesa tributaria ormai definita (nella specie, atto recante intimazione di pagamento) è una facoltà e non un onere, costituendo un'estensione della tutela" (Cass. n.3259 del 2019; n. 2616 del 2015, n. 14765 del 2016, n. 26129 del 2017). Il decorso del termine prescrizionale per la riscossione dell'imposta, definitivamente accertata, non può ritenersi interrotto dalla sola formazione del ruolo da parte dell'Amministrazione finanziaria, atteso che, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 2943 cod. civ., la prescrizione dei diritti è interrotta solo da un atto che valga a costituire in mora il debitore e, quindi, avente carattere recettizio, mentre l'iscrizione a ruolo di un tributo resta un atto interno dell'amministrazione (Cass. 14301/2009; Cass. 315/2014). L'iscrizione nel ruolo straordinario previsto dall'art.15 bis del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 consente all'Ufficio di procedere, sulla base di accertamenti non definitivi, alla riscossione dell'intero importo delle imposte, sanzioni ed interessi, in luogo della riscossione del solo terzo delle imposte e degli interessi (con esclusione delle sanzioni), consentito dalla iscrizione nei ruoli ordinari ex art.15 d.P.R. cit. Tale procedura di carattere eccezionale (poiché legittima la riscossione dell'intero importo indicato in un avviso di accertamento non definitivo, perciò passibile di annullamento totale o parziale ad opera del giudice) richiede, a norma dell'art. 11, comma 3, del medesimo d.P.R. 602 del 1973, la sussistenza del "fondato pericolo per la riscossione". La specificazione normativa del presupposto di fatto legittimante, in via di eccezione, l'iscrizione a ruolo dell'intero importo richiesto con l'avviso di accertamento non definitivo, comporta per l'Amministrazione finanziaria l'obbligo di indicare nella cartella le ragioni per cui, in deroga alla procedura ordinaria, ha ritenuto la sussistenza di fatti indicativi di un fondato (cioè non aprioristicamente e immotivatamente affermato) periculum in mora, tale da giustificare la riscossione integrale del credito tributario (comprese le sanzioni), ancorché privo del requisito della definitività. Se all’Amministrazione finanziaria fosse consentito di omettere qualunque motivazione circa i fatti costitutivi della pretesa di riscossione integrale di un credito tributario ancora sub iudice, risulterebbe compromesso il diritto di difesa del contribuente, il quale si vedrebbe costretto ad impugnare la cartella senza conoscere le ragioni (e quindi senza poterle specificamente contestare) per le quali l'Ufficio, sulla base di motivi non palesati, ha ritenuto la sussistenza delle condizioni per procedere all’iscrizione a ruolo straordinario. Vero che la cartella, specie se preceduta dalla notifica del prodromico avviso di accertamento, non richiede una particolare motivazione; ma ciò vale con riguardo alle ragioni di fatto e di diritto su cui si basa la pretesa impositiva, già nota al contribuente perché contenute nell'atto impositivo o perché desumibile dalla sua stessa dichiarazione (nel caso di cartelle emesse a seguito di controlli automatizzati o formali ex artt.36 e 36 ter d.P.R. n.600 del 1973), rendendo in tali casi superflua la ripetizione, nell'atto della riscossione, dei motivi della pretesa impositiva. Diversamente, con riferimento alla ricorrenza del presupposto del periculum in mora che giustifica la procedura derogatoria ed eccezionale di iscrizione a ruolo dell'intero credito tributario non definitivo, l'obbligo di indicare le ragioni di adozione del peculiare strumento della iscrizione nel ruolo straordinario si desume dai principi generali in materia di motivazione degli atti tributari, compresi gli atti della riscossione, con particolare riferimento all'art.7, comma 3, legge n.212 del 2000 e all' art.12, comma 3, d.P.R. 29 settembre 1973 n.602 secondo cui il ruolo, in mancanza dell'avviso di accertamento deve indicare "la motivazione anche sintetica della pretesa impositiva". Analogamente l'art. 1, comma 2, d.m. n. 321 del 1999 (Regolamento recante norme per la determinazione del contenuto del ruolo) prevede che nel ruolo sia contenuta per ciascun debito anche l'indicazione sintetica degli elementi in base ai quali è stata effettuata l'iscrizione a ruolo. Dalle complessive disposizioni legislative e regolamentari in materia di motivazione dei ruoli, si ricava che l'Amministrazione finanziaria ha l'onere di esplicitare, anche in forma sintetica e con motivazione per relationem, le ragioni per cui ha ritenuto sussistente il "fondato pericolo per la riscossione", che la legittima alla iscrizione a ruolo dell'intero carico tributario non definitivo (Corte di Cassazione – Sez. Tributaria Civile – ordinanza n. 7795/20, depositata in cancelleria il 14 aprile 2020). Lecce, 05 settembre 2020

AVV. MAURIZIO VILLANI Avvocato Tributarista in Lecce Patrocinante in Cassazione www.studiotributariovillani.it - e-mail avvocato@studiotributariovillani.it


Hanno diritto all’esenzione IMU prima casa entrambi i coniugi che risiedono in Comuni diversi

Con sentenza n. 945 del 15 luglio 2020, la C.T.P. di Lecce – Sezione 2 – (Presidente Pepe Paolo - Relatore Pellegrino Giovanni – Giudice Sartori Arturo) ha accolto il ricorso presentato da una contribuente avverso l’avviso di accertamento emesso dal Comune di Castro per omesso pagamento Imu, per l’anno 2013. In particolare, con l’avviso di accertamento impugnato il Comune di Castro richiedeva il pagamento dell’imposta non versata, interessi e sanzioni, per l’abitazione principale che la contribuente possedeva a titolo di proprietà nel territorio comunale, nell’anno d’imposta oggetto di accertamento, richiamando oltre la normativa e le circolari ministeriali, anche sentenze della Corte di Cassazione (per lo più attinenti all’Ici e, se riferite all’IMU, che riprendono concetti dell’originaria imposta comunale e non affrontano in modo puntuale l’interpretazione della normativa relativa all’esenzione dall’Imu) con le quali i giudici di legittimità avevano avuto modo di stabilire che il contribuente, che vive abitualmente in un immobile, non ha diritto all’esenzione Ici prevista per l’abitazione principale se il resto della famiglia vive in un altro appartamento. Avverso tale avviso di accertamento la contribuente proponeva tempestivo ricorso innanzi alla CTP di Lecce, eccependo il difetto di motivazione dell’atto impugnato e ritenendo, altresì, violato l’art. 13, comma 2, del Decreto Legge n. 201/2011, che disciplina l’Imu, in considerazione del fatto che, la norma in questione prevede una sola agevolazione qualora la residenza dei coniugi sia stabilita in due immobili diversi nello stesso comune; nel caso di specie, invece, tale limitazione non era applicabile in quanto si trattava di immobili ubicati in comuni diversi, in cui i due coniugi avevano rispettivamente la residenza. Ebbene, i giudici tributari, dopo aver sottolineato come il Comune di Castro, con l’avviso di accertamento impugnato riteneva che l’esenzione Imu non poteva essere applicata nel caso di specie, in quanto nell’immobile in questione non viveva l’intero nucleo familiare, hanno rilevato, innanzitutto, come per avallare la propria tesi l’ente impositore avesse citato dei precedenti della Corte di Cassazione che, tuttavia, facevano riferimento a questioni riguardanti l’Ici e non l’Imu. È stato, così, posto in rilievo come le due imposte, benché colpiscano gli stessi beni e quindi abbiano identità di oggetto, sono poi in concreto disciplinate da disposizioni in buona parte differenti. La disciplina dell’Imu deve essere, pertanto, valutata autonomamente, laddove la norma che la disciplina, ovvero l’art. 13 del D.L. n. 201/2011, al comma 2, prevede espressamente che nell’ipotesi in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la loro dimora e residenza in immobili diversi situati in comuni diversi, non sussiste alcun limite all’esenzione. Correttamente la CTP di Lecce ha posto in evidenza come il nuovo dettato normativo in tema di Imu è coerente con l’evoluzione sociale, affermando testualmente che “mentre un tempo la famiglia era una struttura monolitica in cui tutti i componenti si ritrovavano e di fatto convivevano in un’unica abitazione, nell’attuale periodo storico è sempre più frequente l’eventualità di nuclei familiari che, pur rimanendo tali, sono caratterizzati dal fatto che alcuni dei componenti, per motivi di lavoro o di studio, giungono a dimorare in luoghi diversi. Ormai è diffusissima la situazione di coppie di coniugi che vivono in città diverse per motivi di lavoro, pur non essendo separati né giudizialmente e neppure di fatto. Il legislatore si è evidentemente fatto carico di questa nuova situazione e, innovando rispetto alla disciplina dettata in tema di Ici vent’anni prima, ha preso atto delle modifiche sociali nel frattempo consolidatesi e ha ritenuto di non penalizzare i coniugi che vivono distanti l’uno dall’altro, consentendo loro di usufruire dell’esenzione dall’’Imu, ciascuno per la propria abitazione principale.”. Infine, i giudici tributari hanno chiarito che, in ogni caso, è onere delle parti fornire la dimostrazione delle rispettive posizioni, dando prova sia della residenza del contribuente nel comune ove è situato l’immobile sia della certezza dell’effettività del domicilio in un’abitazione diversa da quella degli altri familiari.

Lecce, 31 luglio 2020

Avv. Maurizio Villani Avv. Alessandra Rizzelli

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DIRETTRICI DI FONDO PER LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA

In vista della presentazione entro il 15 ottobre 2020 alla Commissione Europea del Piano Nazionale delle Riforme (P.N.R.), si torna a parlare di riforma generale del fisco e della contestuale riforma della giustizia tributaria. In particolare, sulla necessaria ed urgente riforma della giustizia tributaria, attualmente in Parlamento sono stati presentati i seguenti atti:

  • SENATO DELLA REPUBBLICA – DISEGNI DI LEGGE (assegnati alle Commissioni Seconda e Sesta):
  • N. 243 - VITALI ED ALTRI;
  • N. 714 – CALIENDO ED ALTRI;
  • N. 759 – NANNICINI ED ALTRI;
  • N. 1243 – ROMEO ED ALTRI;
  • N. 1661 – FENU ED ALTRI;
  • N. 1687 – MARINO.

  • CAMERA DEI DEPUTATI – PROPOSTE DI LEGGE:
  • N. 1521 – MARTINCIGLIO;
  • N. 1526 – CENTEMERO ED ALTRI;
  • N. 840 – SAVINO;
  • N. 2283 – COLLETTI – VISCOMI; Lo stesso Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, nella seduta del 22 ottobre 2019, ha sollecitato la riforma della giustizia tributaria in base ai seguenti principi: a) la trasformazione del giudice speciale tributario in un giudice a tempo pieno, professionalmente competente, con un trattamento economico congruo e dignitoso, non più dipendente dal MEF e pienamente presidiato dai principi di imparzialità, terzietà ed indipendenza, come contemplati dall’art. 111, comma 2, della Costituzione;

b) il completamento della revisione delle regole di diritto procedurale e sostanziale, mediante un provvedimento legislativo volto anche ad una generale definizione delle liti fiscali pendenti. Secondo me, le principali direttrici di fondo da seguire per la riforma della giustizia tributaria sono le seguenti. A) Presidenza del Consiglio dei Ministri L’organizzazione e la gestione dei giudici tributari deve essere affidata esclusivamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per assicurare, anche all’apparenza, la terzietà e l’imparzialità dell’organo giudicante, ai sensi dell’art. 111, secondo comma, della Costituzione. La giustizia tributaria non può più dipendere dal MEF, che è una delle parti in causa. Inoltre, non è opportuno che sia inserita nella magistratura ordinaria, per non creare ulteriori problemi organizzativi e gestionali, né che sia gestita dalla Corte dei Conti, che determinerebbe l’impossibilità di ricorrere per Cassazione, salvo problemi di giurisdizione, nonché la drastica riduzione dei difensori (che, invece, devono rimanere come oggi). In definitiva, la riforma “autonomista” persegue, giustamente, la realizzazione di una “Quinta Magistratura”, da affiancare alle altre quattro già operanti ed espressamente considerate dal sistema costituzionale: Ordinaria, Amministrativa, Contabile e Militare.

B) Nuova denominazione La giurisdizione tributaria deve essere esercitata, in forma autonoma ed indipendente sull’intero territorio nazionale, dai seguenti organi:

  • TRIBUNALI TRIBUTARI;
  • CORTI DI APPELLO TRIBUTARIE;
  • SEZIONE TRIBUTARIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE. I Tribunali tributari hanno la competenza territoriale delle circoscrizioni dei Tribunali ordinari e possono essere articolati in Sezioni. Le Corti di appello tributarie hanno la competenza territoriale dei distretti delle attuali Corti di appello ordinarie e possono essere articolate in Sezioni distaccate in base a specifiche esigenze territoriali. C) Magistratura Tributaria Deve essere istituito il ruolo autonomo della magistratura tributaria, distinto da quello delle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile e militare, sia per quanto riguarda il trattamento economico, che deve essere congruo e dignitoso, sia per quanto riguarda lo sviluppo di carriera. L’organico nazionale dei giudici tributari deve essere di 800/1.000 unità (rispetto ai 2.730 giudici tributari di oggi). I giudici tributari devono essere selezionati mediante concorso pubblico, ai sensi dell’art. 106, primo comma, della Costituzione (salvo i giudici onorari). I giudici tributari devono:
  • non aver superato cinquant’anni di età alla data di scadenza del termine stabilito nel bando di concorso pubblico;
  • cessare dall’incarico, in ogni caso, al compimento del settantesimo anno di età. I giudici tributari, sempre a tempo pieno, devono frequentare corsi di formazione ed aggiornamento. Inoltre, deve essere specificamente regolamentato il procedimento disciplinare e devono essere tassativamente previste le sanzioni disciplinari. Infine, ai giudici tributari si applicano le disposizioni concernenti il risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali. In definitiva, la figura del nuovo giudice tributario deve integrare quel modello di giudice indipendente, terzo ed imparziale, a tempo pieno, previsto dagli artt. 106, 108 e 111 della Costituzione. D) Giudici Onorari Tributari (GOT) I giudici onorari tributari sono nominati soltanto con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, in conformità alle deliberazioni del Consiglio della Giustizia Tributaria (organo di autogoverno). Ai giudici onorari tributari è corrisposta l’indennità di cui all’art. 23, comma 2, del D.Lgs. n. 116 del 13 luglio 2017. I giudici onorari tributari sono competenti per le sole controversie tributarie il cui valore, determinato ai sensi dell’art. 12, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, non superi 3.000 euro. L’appello avverso le sentenze del giudice onorario tributario si propone al Tribunale tributario in composizione monocratica. E) Giudice tributario monocratico Il Tribunale tributario e la Corte di appello tributaria, con giudici vincitori di concorso pubblico, giudicano in composizione monocratica nelle seguenti tassative controversie: 1) di valore non superiore a 50.000 euro, secondo le disposizioni di cui agli artt. 12, comma 2, secondo periodo, e 17-bis, D.Lgs. n. 546/92;

2) relative alle questioni catastali di cui all’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 546/92;

3) relative ai giudizi di ottemperanza, senza alcun limite di importo;

4) negli altri casi che saranno tassativamente previsti dalla legge.

Inoltre, la procedura di reclamo e mediazione di cui all’art. 17-bis, D.Lgs. n. 546/92 si deve svolgere presso il giudice tributario monocratico e non più presso le Agenzie delle Entrate, per cui devono essere modificati i commi 4 e 5 dell’art. 17-bis citato. F) Giudice tributario collegiale Al di fuori dei casi di cui alla lettera E), i Tribunali tributari e le Corti di appello tributarie decideranno sempre in composizione collegiale, con tre giudici vincitori di concorso pubblico. G) Sezione tributaria della Corte di Cassazione Salva la competenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione alle sole questioni di giurisdizione, la Sezione tributaria della Corte di Cassazione giudica le impugnazioni delle sentenze delle Corti di appello tributarie e dei Tribunali tributari per le sentenze pronunciate dai giudici onorari tributari. La suddetta Sezione è composta da trentacinque giudici, non facenti parte dei Tribunali tributari e delle Corti di appello tributarie, ripartiti in cinque sottosezioni, in ragione delle seguenti materie:

  • IMPOSTE SUI REDDITI;
  • IVA;
  • ALTRI TRIBUTI;
  • RISCOSSIONE;
  • RIMBORSI. I Collegi sono composti dal numero fisso di tre membri. I giudizi si svolgono esclusivamente con rito camerale. H) Consiglio della Giustizia tributaria È istituito a Roma l’organo di autogoverno denominato “CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA”, con propria autonomia contabile ed amministrativa. I) Disposizioni finali e transitorie Il legislatore, con proprie scelte politiche, dovrà emanare le specifiche disposizioni finali e transitorie. In conclusione, sono convinto che le direttrici di fondo, genericamente sopra esposte, di totale sostituzione degli attuali giudici tributari con i giudici professionali, consentono di raggiungere gli obiettivi di autonomia, indipendenza e professionalità previsti dagli arttt. 106, 108 e 111 della Costituzione. I tempi sono maturi per la radicale ed urgente riforma strutturale della giustizia tributaria.

Lecce, 27 luglio 2020

AVV. MAURIZIO VILLANI Avvocato Tributarista in Lecce Patrocinante in Cassazione www.studiotributariovillani.it - e-mail avvocato@studiotributariovillani.it