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RIFORMA DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA - PROPOSTA DI LEGGE DELEGA – (N° 40 PRINCÌPI)

Il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 05 ottobre 2020, ha approvato la Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2020 (NADEF) nella quale, tra i Disegni di Legge collegati alla decisione di bilancio, ha finalmente previsto il Disegno di Legge Delega di riforma della giustizia tributaria, come da anni sollecitata da tutti i contribuenti ed i professionisti del settore. La NADEF è stata approvata dalla Camera e dal Senato mercoledì 14 ottobre 2020. Come da oltre venti anni vado scrivendo sull’argomento, la giustizia tributaria non deve essere gestita, come oggi, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) ma dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, organismo terzo ed indipendente, come previsto dall’art. 111, secondo comma, della Costituzione. Inoltre, i giudici tributari devono essere vincitori di concorso pubblico, a tempo pieno, professionali, competenti e, di conseguenza, dignitosamente retribuiti. Si deve prevedere la figura del Giudice Tributario Monocratico (G.T.M.) e del Giudice Tributario Collegiale (G.T.C.), tutti togati e vincitori di pubblico concorso. A determinate condizioni, è prevista la figura e la funzione del Giudice Tributario Onorario (G.T.O.), che non è un giudice togato vincitore di pubblico concorso. L’organico nazionale dei giudici tributari deve essere al massimo di 1.000 unità, rispetto ai 2.730 giudici tributari di oggi. In definitiva, la figura del nuovo giudice tributario deve integrare quel modello di giudice indipendente, terzo ed imparziale, a tempo pieno, previsto dagli artt. 106, 108 e 111 della Costituzione, che deve utilizzare la fase istruttoria del processo, oggi pochissimo utilizzata; ecco perché è necessario inserire nel processo tributario la prova testimoniale ed il giuramento con abrogazione dell’art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 546 del 31/12/1992 e successive modifiche ed integrazioni. La presente proposta di legge si prefigge di riformare la giustizia tributaria, un’esigenza largamente avvertita nella società e condivisa dagli addetti ai lavori nel tentativo di saldare un rinnovato legame fiduciario tra contribuenti, fisco ed istituzioni nonché di garantire la qualità delle sentenze al fine di ridurre il contenzioso che grava, in ultimo, sulla Corte di Cassazione, come più volte denunciato in occasione delle inaugurazioni degli anni giudiziari. C’è da precisare che un progetto di riforma non ben “studiato” sortirebbe disastrose conseguenze non solo sulla giustizia tributaria ma anche su quella civile se ad essa venisse affidato anche il peso del contenzioso tributario. In occasione della redazione e presentazione del Disegno di Legge Delega della riforma della giustizia tributaria, con questo mio scritto, mi permetto indicare i 40 (quaranta) princìpi che, secondo me, si dovrebbero rispettare.

  • PROPOSTA DI LEGGE DELEGA - Art. 1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per la riforma della giustizia tributaria, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi, rispettando gli artt. 106, 108 e 111, primo e secondo comma, della Costituzione:

1) affidamento alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dell'organizzazione degli organi di giurisdizione tributaria e dell'inquadramento ed amministrazione dei giudici tributari, nel rispetto delle prerogative del Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria;

2) deve essere istituito il ruolo autonomo della magistratura tributaria, distinto da quello delle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile e militare, sia per quanto riguarda il trattamento economico, che deve essere congruo e dignitoso, sia per quanto riguarda lo sviluppo di carriera;

3) attribuire la giurisdizione tributaria ai Tribunali tributari, alle Corti di Appello tributarie ed alla Sezione tributaria della Corte di Cassazione;

4) sopprimere le Commissioni tributarie provinciali e regionali nonché le relative sezioni distaccate, apportando le necessarie modifiche alle disposizioni vigenti in materia, comprese quelle relative al procedimento;

5) articolazione del giusto processo tributario in due gradi di giudizio da espletarsi dai Tribunali tributari in primo grado, siti nei capoluoghi di provincia, e dalle Corti di Appello tributarie in secondo grado, site nei capoluoghi sedi attuali di Corti di Appello; abrogazione dell’articolo 7, comma 4, D.Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992, e successive modifiche ed integrazioni, ammettendo così la prova testimoniale ed il giuramento;

6) vietare lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali nei gradi di merito ai giudici in servizio presso la Corte di Cassazione;

7) previsione dei requisiti generali e delle cause di incompatibilità di tutti i giudici tributari, analoghe a quelle previste per le altre magistrature; previsione delle tassative ipotesi di decadenza dall’incarico;

8) tutti i giudici tributari cessano la loro funzione al compimento del settantesimo anno di età;

9) il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria, determina il numero delle sezioni e dei giudici, togati e non togati, che compongono i Tribunali tributari e le Corti di Appello tributarie; il numero massimo di tutti i giudici tributari è di 1.000 unità;

10) i Tribunali tributari e le Corti di Appello tributarie sono divisi in sezioni composte da un Presidente, un Vicepresidente e quattro giudici e decide con la presenza del Presidente o del Vicepresidente e due giudici togati, vincitori di concorso pubblico, in caso di composizione collegiale; è istituito presso ciascuna Corte di Appello tributaria un ufficio del massimario;

11) dotare i Tribunali tributari e le Corti di Appello tributarie di infrastrutture adeguate, a cominciare dal sistema di rappresentazione audiovisiva delle udienze da remoto, già previsto dall’art. 16, comma 1, lettera b), del decreto legge n. 119/2018, convertito con legge n. 136/2018;

12) i componenti togati dei Tribunali tributari e delle Corti di Appello tributarie sono magistrati tributari vincitori di apposito concorso pubblico, ai sensi dell’art. 106, primo comma, della Costituzione;

13) i giudici onorari, non togati, sono nominati a semplice domanda degli attuali giudici tributari, da assegnare soltanto ai Tribunali tributari e decidono sempre in composizione monocratica;

14) prevedere che il reclutamento dei giudici tributari togati abbia luogo mediante due distinte procedure concorsuali da indire entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del relativo decreto legislativo;

15) il fabbisogno da coprire mediante concorso pubblico per titoli ed esami è determinato in sede di prima attuazione dai decreti legislativi di cui alla presente legge delega e, successivamente, con cadenza almeno triennale dal Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria, sentiti i Presidenti dei Tribunali tributari e delle Corti di Appello tributarie, sulla base del carico di lavoro di ciascuna sede e dei tempi medi di trattazione dei giudizi;

16) prevedere che:

a) al concorso per Presidenti dei Tribunali tributari e delle Corti di Appello tributarie possano essere ammessi solo i Presidenti di sezione dei Tribunali tributari e delle Corti di Appello tributarie; b) al concorso per Presidenti e per Vice presidenti di sezione dei Tribunali tributari e delle Corti di Appello tributarie possano essere ammessi solo i giudici togati che, alla data di indizione del concorso, abbiano maturato un’anzianità di servizio di almeno quindici anni;

17) prevedere per i giudici tributari togati vincitori di concorso pubblico il medesimo trattamento economico dei magistrati ordinari;

18) i giudici onorari tributari, invece, sono nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, in conformità alle deliberazioni del Consiglio della Giustizia Tributaria (organo di autogoverno);

19) ai giudici onorari tributari è corrisposta soltanto l’indennità di cui all’art. 23, comma 2, del D.Lgs. n. 116 del 13 luglio 2017. I giudici onorari tributari sono competenti per le sole controversie tributarie il cui valore, determinato ai sensi dell’art. 12, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, non superi 5.000 euro e decidono sempre in composizione monocratica; il giudice onorario che interviene nelle procedure di mediazione e di sospensione non può decidere il merito;

20) l’appello avverso le sentenze del giudice onorario tributario si propone alla Corte di Appello tributaria in composizione monocratica, con la presenza di un giudice togato vincitore di concorso pubblico; il giudice togato che interviene nella procedura di sospensione non può decidere il merito;

21) prevedere per i giudici onorari tributari l’obbligo di immediata cancellazione dagli Albi o Registri ed il divieto di continuare a svolgere qualsiasi attività professionale; in caso di mancato rispetto, il giudice tributario onorario sarà escluso dalla magistratura tributaria;

22) il Tribunale tributario e la Corte di Appello tributaria, con giudici vincitori di concorso pubblico, giudicano in composizione monocratica nelle seguenti tassative controversie:

a) di valore non superiore a 50.000 euro, secondo le disposizioni di cui agli artt. 12, comma 2, secondo periodo, e 17-bis, D.Lgs. n. 546/92; b) relative alle questioni catastali di cui all’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 546/92; c) relative ai giudizi di ottemperanza, senza alcun limite di importo; d) negli altri casi tassativamente previsti dalla legge.

Inoltre, la procedura di reclamo e mediazione di cui all’art. 17-bis, D.Lgs. n. 546/92 si deve svolgere presso il competente giudice onorario tributario o presso il competente giudice tributario togato monocratico e non più presso le Agenzie delle Entrate, per cui devono essere modificati i commi 4 e 5 dell’art. 17-bis citato; il giudice togato che interviene nelle procedure di mediazione e di sospensione non può decidere il merito;

23) al di fuori dei casi di cui al n. 22), i Tribunali tributari e le Corti di Appello tributarie decidono sempre in composizione collegiale, con tre giudici togati vincitori di concorso pubblico; il giudice togato che interviene nelle procedure di mediazione e di sospensione non può decidere il merito;

24) deve essere specificamente regolamentato il procedimento disciplinare e devono essere tassativamente previste le sanzioni disciplinari;

25) a tutti i giudici tributari, sia vincitori di concorso pubblico sia onorari, si applicano le attuali disposizioni normative concernenti il risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali;

26) prevedere la possibilità della difesa personale soltanto dinanzi al giudice onorario tributario, in composizione monocratica, per le controversie con valore calcolato, al netto di eventuali sanzioni e interessi, non superiore a 5.000 euro;

27) confermare i meccanismi di mediazione tributaria e gli istituti deflattivi del contenzioso vigenti alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui alla presente legge delega;

28) garantire la possibilità di patrocinare davanti ai Tribunali tributari, anche in composizione monocratica, ed alle Corti di Appello tributarie ai soggetti appartenenti alle medesime categorie per le quali la legislazione vigente, alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui alla presente legge delega, consente l’assistenza tecnica;

29) prevedere percorsi di formazione permanente per tutti i giudici tributari, togati e non togati, assunti in base alle procedure di cui alla presente legge delega, così articolati:

a) la Scuola superiore di formazione dei giudici tributari, istituita presso il Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria, provvede alla formazione iniziale dei nuovi giudici e, successivamente, al periodico, programmato ed obbligatorio aggiornamento professionale, anche mediante percorsi di alta specializzazione, soggetto a specifica valutazione finale;

b) al termine del periodo di formazione iniziale di cui alla lettera a), il giudice è tenuto a svolgere un periodo, di almeno dodici mesi, di tirocinio retribuito presso una sezione di Tribunale tributario. L’immissione in ruolo è subordinata alla valutazione positiva del tirocinio da parte del Presidente della sezione, sentiti gli altri componenti togati della sezione stessa;

30) salva la competenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione alle sole questioni di giurisdizione, la Sezione tributaria della Corte di Cassazione giudica le impugnazioni delle sentenze delle Corti di Appello tributarie. La suddetta Sezione è composta da trentacinque giudici, non facenti parte dei Tribunali tributari e delle Corti di Appello tributarie, ripartiti in cinque sottosezioni, in ragione delle seguenti materie:  IMPOSTE SUI REDDITI;  IVA;  ALTRI TRIBUTI;  RISCOSSIONE;  RIMBORSI. I Collegi sono composti dal numero fisso di tre membri. I giudizi si svolgono esclusivamente con rito camerale;

31) prevedere che il Consiglio superiore della magistratura, al fine della definizione del contenzioso pendente in materia tributaria dinanzi alla Corte di Cassazione, possa nominare giudici ausiliari esclusivamente tra i magistrati ordinari in quiescenza da non più di due anni che abbiano svolto nella loro carriera effettive funzioni di legittimità per almeno dieci anni;

32) prevedere che il Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria sia formato da undici componenti eletti dai giudici tributari togati e da quattro componenti eletti dal Parlamento, due dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, scelti per metà tra i Professori di Università in materie giuridiche o economiche, tra gli Avvocati, i Dottori Commercialisti ed i Consulenti del Lavoro iscritti all'Albo da oltre venti anni;

33) prevedere che la sede del Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria sia stabilita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri a Roma;

34) il Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria indica le cause di incompatibilità e di ineleggibilità ed i criteri per la relativa verifica, le regole relative alle elezioni dei giudici tributari togati, quelle per la valutazione dei candidati e delle liste elettorali, la sede delle operazioni elettorali, il periodo entro il quale deve avere termine la valutazione dei candidati e la promulgazione dell'elenco definitivo dei candidati alle elezioni, le regole per la proclamazione degli eletti, per la valutazione di eventuali reclami sull'eleggibilità e per l'assunzione delle funzioni;

35) il Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria, in corso alla data di entrata in vigore della presente legge delega, dovrà provvedere all'emanazione di tutti i Regolamenti di attuazione entro tre mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti delegati;

36) il Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria indica le proprie attribuzioni ed i princìpi come Organo di Vigilanza sull'attività della magistratura tributaria, adottando anche le regole per le proprie convocazioni e deliberazioni;

37) prevedere che il personale amministrativo assegnato alle segreterie delle soppresse Commissioni tributarie provinciali e regionali transiti nei ruoli del personale amministrativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri e sia assegnato alla qualifica funzionale corrispondente a quella del personale adibito alle medesime funzioni, nonché prevedere che il transito del personale di cui al presente numero abbia luogo, per metà della consistenza effettiva, alla data di entrata in vigore del relativo decreto legislativo e, per la restante metà, decorso un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge;

38) abrogare il decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 545 e apportare al decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546 le modificazioni necessarie ad adeguarli alle disposizioni dei decreti legislativi di cui alla presente legge delega;

39) previsione di un limitato periodo transitorio di un anno intercorrente tra il momento in cui verrà indetto il primo concorso pubblico per i nuovi giudici tributari togati e l'insediamento di questi ultimi, nel quale:

a) prevedere che le Commissioni tributarie provinciali e regionali esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge continuino ad operare per la definizione del contenzioso tributario relativo ai soli procedimenti iscritti prima della citata data di entrata in vigore;

b) prevedere che, in ogni caso, le Commissioni tributarie provinciali e regionali cessino dalle loro funzioni decorso un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, con riassegnazione dei procedimenti tributari ancora pendenti ai Tribunali tributari ed alle Corti di Appello tributarie;

c) se sono magistrati, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto o dei decreti delegati approvati, devono optare per la magistratura tributaria o per quella ordinaria, amministrativa, contabile o militare; in ogni caso, i magistrati conservano l’anzianità di servizio ai fini pensionistici, se optano per la magistratura tributaria;

d) se non sono magistrati, i giudici tributari oggi in servizio devono optare per la magistratura tributaria o per quella onoraria;

e) nel caso di cui alla lettera d), se optano per la magistratura tributaria, dovranno presentarsi a sostenere gli esami di idoneità alla nuova attività di giudice tributario se vorranno essere inclusi nei ruoli dei nuovi giudici togati, sostenendo l'esame scritto e trovando una sensibile agevolazione nel sostenimento dell'orale, oppure dovranno sostenere solo l'esame orale, senza sconti, di materie giuridiche, tributarie, processuali, contabili ed amministrative;

f) nel caso di cui alla lettera d), se optano, invece, per la magistratura tributaria onoraria, proseguono la propria attività senza necessità di superamento di esami di ammissione, ma devono rispettare le tassative condizioni previste dalla presente legge delega e dal decreto o dai decreti delegati approvati;

g) i giudici tributari onorari sono sempre tenuti alla formazione obbligatoria valida per tutti i giudici tributari e dovranno conseguire i crediti formativi necessari, a pena di decadenza dalla funzione di giudice tributario;

40) il decreto legislativo o i decreti legislativi devono entrare in vigore il 01 gennaio 2022.

Art. 2. Il decreto o i decreti legislativi di cui alla presente legge sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro della Giustizia e con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, sentite le competenti Commissioni parlamentari. I pareri sono resi nel termine di due mesi dall’assegnazione, decorso il quale i decreti devono essere comunque adottati.

Art. 3. Il Governo, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui alla presente legge delega e con la procedura di cui alla presente legge delega, entro tre anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi, può emanare disposizioni integrative e correttive dei medesimi decreti legislativi.

Art. 4. Nel rispetto delle disposizioni dell’articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n.196, a ciascuno schema di decreto legislativo è allegata una relazione tecnica che dà conto della neutralità finanziaria del medesimo decreto.

Art. 5. All’attuazione delle disposizioni della presente legge delega e dei decreti legislativi si provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, tenuto conto che il numero massimo di tutti i nuovi giudici tributari è di 1.000 unità.

Lecce, 15 ottobre 2020 Prof. Avv. Maurizio Villani

AVV. MAURIZIO VILLANI Avvocato Tributarista in Lecce Patrocinante in Cassazione www.studiotributariovillani.it - e-mail avvocato@studiotributariovillani.it


PRESUNZIONI DI CESSIONE E DI ACQUISTO DEI BENI

Il disposto dell'art. 53 DPR 633/1972 è stato sostituito dal DPR 10-11-1997, n. 441, emanato in attuazione dell'art. 3, comma 137, della legge n. 662 del 1996, con efficacia sostitutiva dell'art. 53, e prevede all'art. 1 (presunzione di cessione) che "si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, né in quelli dei suoi rappresentanti. Tra tali luoghi rientrano anche le sedi secondarie, filiali, succursali, dipendenze, stabilimenti, negozi, depositi ed i mezzi di trasporto nella disponibilità dell'impresa". La prova contraria può essere fornita solo ai sensi dell'art. 1, comma 2, DPR 441/1997 (" la presunzione di cui al comma 1 non opera se è dimostrato che i beni stessi: a. sono stati impiegati per la produzione, perduti o distrutti; b. sono stati consegnati a terzi in elaborazione, deposito, comodato o in dipendenza di contratti estimatori, di contratti di opera, appalto, trasporto, mandato, commissione o di altro titolo non traslativo della proprietà"). Ai sensi dell'art. 3 (presunzione di acquisto) "i beni che si trovano in uno dei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni si presumono acquistati se lo stesso non dimostra di averli ricevuti in base ad un rapporto di rappresentanza o ad uno degli altri titoli di cui all'articolo 1, nei modi ivi indicati". L'art. 4 (operatività delle presunzioni) prevede, poi, che "gli effetti delle presunzioni di cessione e di acquisto, conseguenti alla rilevazione fisica dei beni, operano al momento dell'inizio degli accessi, ispezioni e verifiche. Le eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino..., o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta, e le consistenze delle rimanenze registrate costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d'imposta oggetto del controllo". Ai sensi dell'art. 1, comma 3, del DPR 441/97, poi, "la disponibilità delle sedi secondarie, filiali o succursali, nonché delle dipendenze, degli stabilimenti, dei negozi, dei depositi, degli altri locali e dei mezzi di trasporto che non emerga dalla iscrizione al registro delle imprese, alla Camera di Commercio o da altro pubblico registro, può risultare dalla dichiarazione di cui all'art. 35 del DPR 633/72, se effettuata anteriormente al passaggio dei beni, nonché da altro documento dal quale risulti la destinazione dei beni esistenti presso i luoghi su indicati, ha notato in uno dei registri in uso, tenuto ai sensi dell'art. 39 DPR 633/72". L'art. 35 del DPR 633/72 (disposizione regolamentare concernente le dichiarazioni di inizio, variazione e cessazione attività) dispone al comma 2 che "dalla dichiarazione di inizio attività devono risultare:...d) il tipo e l'oggetto dell'attività e il luogo o i luoghi in cui viene esercitata anche a mezzo di sedi secondarie, filiali, stabilimenti, succursali, negozi, depositi e simili...". Per il comma 3 "in caso di variazioni di alcuno degli elementi di cui al comma 2 o di cessazione dell'attività, il contribuente deve entro 30 giorni farne dichiarazione ad uno degli uffici indicati dal comma 1, utilizzando modelli conformi a quelli approvati con provvedimento del direttore dell'agenzia delle entrate". Per il comma 6 "le dichiarazioni previste dal presente articolo sono presentate in via telematica secondo le disposizioni di cui ai commi 10 e seguenti ovvero, in duplice esemplare, direttamente ad uno degli uffici di cui al comma 1. Le dichiarazioni medesime possono, in alternativa, essere inoltrate in unico esemplare a mezzo servizio postale mediante raccomandata, con l'obbligo di garantire l'identità del soggetto dichiarante mediante allegazione di idonea documentazione". Per la Corte di Cassazione, in tema di accertamento delle imposte sul reddito, trovano applicazione, in virtù del principio di unitarietà dell'ordinamento, le presunzioni di cessione e di acquisto dei beni rinvenuti nel luogo o in uno dei luoghi in cui il contribuente esercita la propria attività, poste in materia di IVA dall'art. 53 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633; tali presunzioni, peraltro, non operando in via diretta ed immediata in materia di imposte dirette, non sono da sole sufficienti a giustificare l'accertamento, ma necessitano di ulteriori riscontri, adeguati alla disciplina delle singole imposte; inoltre, trattandosi di presunzioni legali relative, annoverabili tra quelle c.d. miste, è consentita la prova contraria da parte del contribuente, ma solo entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova indicati dall'art. 53 cit., e da quest'ultimo previsti ad evidenti fini antielusivi (Cass., 19 luglio 2006, n. 16483). Si esclude, dunque, una completa libertà di prova contraria e questo all'evidente fine di contrastare l'elusione della normativa in materia di Iva che potrebbe essere aggirata affidandosi a prove aventi un limitato grado di affidabilità (Cass., 4 febbraio 2015, n. 1976; Cass., 1134/2001; Cass., 7121/2003; Cass., 10947/2002). La presunzione legale relativa di cessione opera solo se la differenza quantitativa , in negativo, tra beni esistenti nei luoghi indicati e quelli acquistati, importati o prodotti risulti o a seguito della verifica fisica dei beni giacenti, oppure dal confronto - differenza inventariale - tra la consistenza delle rimanenze registrate e le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino, di cui all'art. 14, primo comma lettera d del DPR 600/1973 , o di altra documentazione obbligatoria (Cass., 13 giugno 2012, n. 9628). Pertanto, in tema di IVA, il mancato rinvenimento, nei luoghi in cui il contribuente esercita la sua attività, di beni risultanti in carico all'azienda in forza di acquisto, importazione o produzione – per esempio, rilevati sulla base di annotazioni provvisorie contenute nelle schede di magazzino - determina l'applicabilità dell'art. 53, primo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, il quale pone la presunzione legale di cessione senza fattura dei beni medesimi, salvo che il contribuente, su cui incombe la prova contraria, fornisca spiegazioni in merito all'assenza degli stessi in sede di verifica, e non, invece, dell'art. 54, secondo comma, ultimo inciso, del D.P.R. citato, il quale legittima il ricorso al metodo induttivo anche sulla base di presunzioni semplici, purchè siano gravi, precise e concordanti (Cass., 16 dicembre 2011, n. 27195; Cass., 30 luglio 2014, n. 17298). Per la Corte di Cassazione, invero, in tema di imposta sul valore aggiunto, in virtù della disposizione di cui all'art. 1 del D.P.R. n. 441 del 1997, avente valenza integrativa e ricognitiva della previgente disciplina dettata dall'art. 53 del D.P.R. n. 633 del 1972 (Cass., 11 agosto 2017, n. 20035; Cass., 15 marzo 2005, n. 5558), la destinazione dei beni in un deposito (non dichiarato) di pertinenza dell'impresa non dà luogo a presunzione di avvenuta cessione, se il "passaggio" in esso è accompagnato da particolari modalità di tenuta della contabilità (bolle, annotazioni negli appositi registri) o da "comportamenti concludenti" tenuti dal contribuente da cui desumere il luogo di destinazione degli stessi beni (Cass., 20 giugno 2008, n. 16838; Cass., 21 marzo 2014, n. 6663; Cass., 15 ottobre 2018, n. 25662; Corte di Cassazione – Sezione Quinta Civile – sentenza n. 1217/2020). Del resto, anche nella circolare dell’Agenzia delle Entrate del 23-7-1998, n. 193 (regolamento recante norma per il riordino della disciplina delle presunzioni di cessione e di acquisto) si afferma che "va inoltre chiarito che il particolare mezzo di prova consistente nell'esibizione di documentazione di data anteriore a quella della verifica, regolarmente annotata in uno dei registri in uso ai fini Iva, per essere idoneo allo scopo, deve dimostrare due fatti essenziali, diversi fra loro:

  1. che il soggetto dispone di una determinata sede secondaria, filiale, altri locali, ecc.;
  2. che in tale luogo sono stati destinati i beni esattamente individuati e che costituiscono oggetto delle presunzioni di cui è questione. Necessita, pertanto, ad esempio, l'esistenza di un contratto d'affitto regolarmente registrato, da cui risulti la destinazione degli specifici beni, in relazione ai quali potrebbe rendersi operante la presunzione, presso i luoghi suindicati". Lecce, 10 ottobre 2020

                                Avv. Maurizio Villani
                                Avv. Antonella Villani

AVV. MAURIZIO VILLANI Avvocato Tributarista in Lecce Patrocinante in Cassazione www.studiotributariovillani.it - e-mail avvocato@studiotributariovillani.it


PATTEGGIAMENTO E REATI TRIBUTARI

In relazione al delitto di omesso versamento dell'IVA, l'estinzione dei debiti tributari mediante integrale pagamento, da effettuarsi prima dell'apertura del dibattimento, non costituisce presupposto di legittimità del patteggiamento, ai sensi dell'art. 13-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, in quanto l'art. 13, comma 1, configura detto comportamento come causa di non punibilità dei delitti previsti dagli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater del medesimo decreto e il patteggiamento non potrebbe certamente riguardare reati non punibili (così Sez. 3, n. 38684 del 12/04/2018). I succitati articoli riguardano (D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000):

  • art. 10-bis: “omesso versamento di ritenute dovute o certificate”;
  • art. 10-ter: “omesso versamento di IVA”;
  • art. 10-quater: “indebita compensazione”. Per una più agevole comprensione della ricostruzione del sistema, è utile procedere ad una esposizione dei dati normativi rilevanti. Innanzitutto, l'art. 13-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, fissa in termini generali, per tutti i delitti previsti dal medesimo provvedimento normativo, il seguente presupposto di accesso al rito del c.d. "patteggiamento": «Per i delitti di cui al presente decreto l'applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale può essere chiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all'articolo 13, commi 1 e 2.». L'art. 13-bis, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, a sua volta, così tipizza la circostanza indicata nel comma 2 quale presupposto per accedere al rito del c.d. "patteggiamento": «Fuori dai casi di non punibilità, le pene per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell'articolo 12, se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie.». Le cause di non punibilità, poi, sono previste dall'art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000, sulla base di presupposti diversi per i delitti di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, da un lato, e per i delitti di cui agli artt. 4 e 5, dall'altro. Precisamente, a norma dell'art. 13, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000: «I reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.». A norma dell'art. 13, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, invece: «I reati di cui agli articoli 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.». Dalla combinazione di tutte le disposizioni indicate, risulta innanzitutto evidente che problemi di ammissibilità del c.d. "patteggiamento", per i delitti di cui agli artt. 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, non si pongono quando il pagamento del debito tributario dà luogo ad una causa di non punibilità a norma dell'art. 13 d.lgs. n. 74 del 2000, perché in tal caso il giudice deve pronunciare sentenza di assoluzione, in linea con quanto disposto dall'art. 444, comma 2, cod. proc. pen.. Ciò premesso, operando il raffronto tra gli elementi costituivi della circostanza di cui all'art. 13-bis, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, la cui verificazione è presupposto per l'accesso al rito del c.d. "patteggiamento", e gli elementi costitutivi della fattispecie integrante la causa di non punibilità di cui all'art. 13, comma 1, del medesimo d.lgs., per i reati previsti dagli artt. 10-bis, 10-ter e 10- quater, comma 1, emerge una totale sovrapposizione. Ne discende che, per i reati appena indicati, l'estinzione integrale dei debiti tributari prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado dà luogo alla causa di non punibilità, in quanto prevista da una norma che è speciale rispetto a quella relativa alla circostanza attenuante ad effetto speciale. Infatti, in presenza dei medesimi presupposti, mentre l'art. 13-bis, comma 1, prevede la diminuente per tutti i reati di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, l'art. 13, comma 1, si riferisce ad un sottoinsieme di fattispecie comprese in quella categoria, prefigurando una causa di non punibilità esclusivamente per i delitti di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1. Di conseguenza, per i reati appena indicati, l'integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione dell'apertura del dibattimento di primo grado non può mai costituire presupposto per l'accesso al rito del c.d. "patteggiamento" perché, se si verifica, dà luogo, in ogni caso, alla causa di non punibilità. In presenza delle indicate fattispecie, quindi, l'alternativa è o ritenere preclusa in radice la definibilità del procedimento penale a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., o, al contrario, ammetterla, ma senza richiedere il preventivo pagamento del debito tributario. La prima soluzione, però, sembra poco plausibile perché l'art. 13-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, nei suoi enunciati testuali, non fissa, in linea generale e programmatica, un divieto generale di accesso al c.d. "patteggiamento" per i delitti di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1. Diversamente deve ritenersi con riferimento ai reati di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000. I succitati articoli riguardano (D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000):
  • art. 4: “dichiarazione infedele”;
  • art. 5: “omessa dichiarazione”. Innanzitutto, per questi delitti, è giuridicamente ed empiricamente ipotizzabile ritenere che l'accesso al rito di cui all'art. 444 cod. proc. pen. sia subordinato al verificarsi della circostanza di cui all'art. 13-bis, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000. Invero, la causa di non punibilità di cui all'art. 13, comma 2, d.lgs. cit. si verifica esclusivamente se l'integrale pagamento del debito è effettuato: a) in collegamento con il ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo; b) «sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali». È, quindi, evidente che, per i reati in questione, il pagamento del debito tributario effettuato prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, ma dopo la formale conoscenza, da parte dell'autore del reato, di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, non potrà integrare la causa di non punibilità, ma solo la circostanza attenuante ad effetto speciale. Inoltre, la ricostruzione secondo cui l'adempimento del debito tributario è condizione necessaria per accedere al rito di cui all'art. 444 cod. proc. pen. appare coerente con il dato normativo. Infatti, la deroga alla necessità dell'avvenuto integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado quale presupposto per la definizione del processo nelle forme del c.d. "patteggiamento" è prevista dall'art. 13-bis, comma 2, d.lgs. cit. non in relazione a tipologie di reato puntualmente richiamate, ma avendo riguardo alla integrazione di una delle «ipotesi» previste dall'art. 13, e, quindi, sembra far riferimento all'avvenuta integrazione di una causa di non punibilità. Ancora, l'esito ermeneutico di soluzioni differenziate per le fattispecie di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, rispetto alle fattispecie di cui agli artt. 4 e 5, peraltro, non solo è logicamente e sistematicamente ammissibile e risulta coerente con il dato normativo, ma appare giustificabile anche alla luce della diversa gravità delle fattispecie. Invero, mentre i delitti di cui agli artt. 10- bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, sono tutti puniti con la pena della reclusione da sei mesi a due anni, i delitti di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000 sono puniti, il primo, con la reclusione da uno a tre anni, e, il secondo, con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni. Quindi, per i reati di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000, il rito speciale previsto dall'art. 444 e ss. cod. proc. pen. è ammissibile solo quando vi sia stato l'integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, pur se dopo la formale conoscenza, da parte dell'autore del reato, di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali (Corte di Cassazione – Terza Sezione Penale – sentenza n. 47287, depositata in cancelleria il 21 novembre 2019). Infine, a norma dell'art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000: «Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto». Lecce, 03 ottobre 2020

                            Avv. Maurizio Villani
                            Avv. Alessandro Villani

AVV. MAURIZIO VILLANI Avvocato Tributarista in Lecce Patrocinante in Cassazione www.studiotributariovillani.it - e-mail avvocato@studiotributariovillani.it


LE SEZIONI UNITE DELLA CORTE DI CASSAZIONE DECIDERANNO SULLA SCISSIONE DEI TERMINI DI NOTIFICA PER POSTA

La Corte di Cassazione – Sez. Tributaria Civile – con l’ordinanza interlocutoria n. 15545 depositata in cancelleria il 21 luglio 2020 ha trasmesso gli atti al Primo Presidente della Corte stessa per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della delicata questione della scissione dei termini di notifica per posta degli atti tributari impositivi. Infatti, sulla scia dell'insegnamento di Cass., Sez. Un. n. 12332/2017, in tema di notifica di sanzioni amministrative, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha recentemente affermato che tale principio opererebbe anche per la notifica degli atti impositivi tributari, con ogni conseguenza in tema di tempestività dell'attività di recupero fiscale [in tal senso, Cass. n. 9749/2018, in tema di accertamento IMU, così massimata: "L'esercizio del potere impositivo è assoggettato al rispetto di un termine di decadenza, insuscettibile d'interruzione a garanzia del corretto instaurarsi del rapporto giuridico tributario, ai fini del rispetto del quale, a differenza di quanto avviene per il termine di prescrizione, assume rilevanza la data nella quale l'ente ha posto in essere gli adempimenti necessari ai fini della notifica dell'atto, e non quello, eventualmente successivo, di conoscenza dello stesso da parte del contribuente"]. Hanno dichiaratamente dato seguito a tale innovativo arresto le successive ordinanze, della Corte di Cassazione, Sez. Tributaria, n. 3091/2019 (in tema di cartella di pagamento per errato rimborso ex art. 43 D.P.R. n. 602/1973), nonché Cassazione, Sez. 6-Tributaria, n. 3560/2019 (che, sia pure in obiter dictum, afferma addirittura sussistere un principio consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, circa l'efficacia interruttiva della prescrizione del credito tributario per effetto della mera consegna dell'atto impositivo all'ufficio postale, all'uopo richiamando i già citati precedenti del 2018 e del 2017, che non riguardano invero detta questione). Per la verità, non mancano anche più risalenti pronunce che hanno fatto applicazione del detto principio anche alla materia della notifica degli atti impositivi tributari a mezzo del servizio postale, sulla base di un supposto principio generale evincibile dalla già citata Corte Costituzionale n. 477/2002 (così, Cass. n. 1647/2004, Cass. 15298/2008; Cass. n. 26053/2011, Cass. n. 22320/2014, nonché, ancora recentemente, Cass. n. 33277/2019). Tale orientamento, tuttavia, si pone in non dichiarato contrasto con altro insegnamento, seguito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria - e ben più consistente, secondo cui "In tema di atti d'imposizione tributaria, la notificazione non è un requisito di giuridica esistenza e perfezionamento, ma una condizione integrativa d'efficacia, sicché la sua inesistenza o invalidità non determina in via automatica l'inesistenza dell'atto, quando ne risulti inequivocamente la piena conoscenza da parte del contribuente entro il termine di decadenza concesso per l'esercizio del potere all'Amministrazione finanziaria, su cui grava il relativo onere probatorio" così, Cass. n. 8374/2015, conforme, Cass. n. 21071/2018, sulla non estensibilità della sanatoria ex art. 156 c.p.c. per raggiungimento dello scopo alla decadenza dal potere impositivo già verificatasi per mancato perfezionamento della notifica entro il prescritto termine, si vedano anche Cass. n. 2272/2011, Cass., n. 10445/2011, Cass. n. 12007/2011, Cass. n. 1088/2013, Cass. n. 654/2014, Cass. n. 2203/2018, tutte rese nel solco di Cass., Sez. Un., n. 19854/2004, così massimata: "La natura sostanziale e non processuale (né assimilabile a quella processuale) dell'avviso di accertamento tributario - che costituisce un atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l'amministrazione enuncia le ragioni della pretesa tributaria - non osta all'applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria. Pertanto, l'applicazione, per l'avviso di accertamento, in virtù dell'art. 60 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, delle norme sulle notificazioni nel processo civile comporta, quale logica necessità, l'applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie per quelle dettato, con la conseguenza che la proposizione del ricorso del contribuente produce l'effetto di sanare la nullità della notificazione dell'avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell'atto, ex art. 156 cod. proc. civ.. Tuttavia, tale sanatoria può operare soltanto se il conseguimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza - previsto dalle singole leggi d'imposta - per l'esercizio del potere di accertamento". In particolare, nell'affrontare il problema dell'applicabilità dell'istituto della sanatoria per raggiungimento dello scopo, ex art. 156 c.p.c., al tema della notifica degli atti impositivi tributari, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, hanno affermato (in motivazione) che: "La notificazione costituisce un elemento essenziale della fattispecie necessaria per evitare la decadenza dell'amministrazione. In altri termini, dall'esercizio del diritto di difesa mediante proposizione del ricorso non può mai derivare una convalida ex tunc di un atto imperfetto, di per sé inidoneo ad evitare la decadenza. Si tratta di una conseguenza dell'applicazione di principi generali, nei casi in cui la legge pone limiti temporali all'esercizio di poteri amministrativi". A conferma della amplissima diffusione, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, del superiore convincimento, è sufficiente osservare che numerose altre pronunce (ben più di venti), ancora di recente, hanno dato seguito all'insegnamento dell'ultima decisione selezionata. La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione è ben consapevole che l'arresto di Cass., Sez. Un., n. 12332/2017, oltre che equiparare quoad effectum la "comunicazione" alla "notificazione" di un atto, opera una ulteriore estensione del noto principio della scissione anche riguardo agli atti amministrativi sanzionatori di indiscutibile natura recettizia. Tale estensione è stata operata anche sulla scorta dell'apertura offerta da Cass., Sez. Un., n. 24822/2015, che - ampliando l'orizzonte rispetto al tradizionale ambito oggettivo di riferimento del tema in discorso, offerto dai soli atti processuali - ha ritenuto applicabile il detto principio anche agli effetti sostanziali di tali atti, ove non altrimenti producibili (pronuncia resa in tema di azione revocatoria ordinaria e relativa interruzione del termine prescrizionale), ricorrendo al metodo del bilanciamento degli interessi coinvolti. Tuttavia, l'ulteriore estensione dell'insegnamento in questione agli effetti sostanziali degli atti impositivi tributari, come operata de plano dalla citata Cass. n. 9749/2018 (e comunque come applicata dall'ulteriore sequenza giurisprudenziale indipendente dalle stesse pronunce delle Sezioni Unite del 2015 e del 2017), non convince la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione fino in fondo, necessitando almeno di un opportuno approfondimento. Del resto, la progressiva cesellatura di nuovi spazi di manovra per il principio della scissione rischia di tradursi in una sua generalizzata estensione, ad eccezione dei soli atti negoziali recettizi, i cui effetti sono espressamente disciplinati dall'art. 1334 c.c.. Non sembra, dunque, affatto casuale che, nella motivazione di Cass. n. 24822/2015, da cui muove la successiva pronuncia del 2017, siano addirittura dedicati almeno due paragrafi alla necessità di un self restraint da parte dell'interprete, il quarto e il quinto, significativamente intitolati "Non esiste una soluzione generalizzata per tutte le norme e per tutti i casi" e "La scissione soggettiva degli effetti della notificazione: non è un principio valido per tutte le ipotesi normative". Non pare, poi, secondario, su un piano più generale, il disposto dell'art. 6, comma 1, della legge n. 212/2000 (Statuto del contribuente), che nel mantenere ferme le norme in tema di notifica degli atti tributari, stabilisce espressamente che "L'amministrazione finanziaria deve assicurare l'effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati". Infatti, ribadita la pacifica natura recettizia dell'atto impositivo (natura che, di per sé, - secondo il più volte citato arresto delle Sezioni Unite del 2017 - non sarebbe però ostativa all'applicazione del principio della scissione), resta indefinito il complessivo regime di efficacia dell'atto impositivo nella fase precedente alla sua conoscenza da parte del contribuente, e ciò anche al lume del disposto dell'art. 21-bis della legge n. 241/1990 ("Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso ...". Sull'applicabilità all'ambito tributario dei principi generali desumibili dalla legge sulla trasparenza amministrativa si veda, ex plurimis, Cass. n. 27561/2018, ove si tenga conto del fatto che la stessa decadenza dal potere impositivo è, indiscutibilmente, un effetto favorevole al contribuente stesso, di cui egli legittimamente potrebbe decidere di avvalersi. Quanto precede, dunque, amplifica il dubbio sulla effettiva estensibilità del principio della scissione anche alla materia che occupa, perché l'atto acquista efficacia, nei confronti del contribuente, con l'ingresso nella sua sfera di conoscenza (o legale conoscibilità). Opinare che ciò non valga del tutto, almeno riguardo alla decadenza dal potere impositivo - per la quale, peraltro, la legge attribuisce all'Amministrazione termini sufficientemente ampi - significherebbe porre la decadenza stessa su un piano diverso ed esterno rispetto a quello dell'efficacia dell'atto, o quantomeno ipotizzarne un dispiegamento di effetti a geometria variabile, in ogni caso sottraendo spazi di tutela tradizionalmente riconosciuti al contribuente, il che non pare consentito dalle norme sopra richiamate. Del resto, già la più volte citata Cass., Sez. Un., n. 24822/2015 avvertiva che "Il vero problema è l'incertezza giuridica medio tempore" (questo il titolo del par. 5.1 della motivazione), questione che per l'atto impositivo sostanziale sembra, in ogni caso, atteggiarsi in maniera differente che per l'atto processuale (quand'anche esplicante effetti sostanziali): quest'ultimo è regimentato all'interno di un percorso (il processo) esattamente disciplinato e adeguatamente governato dal giudice, mentre il primo è dotato di intrinseca autosufficienza, sicché l'incertezza sulla sua efficacia che, applicando il principio della scissione, potrebbe protrarsi anche per un tempo assai significativo. A tutto quanto precede può, infine, aggiungersi che assai di recente, nell'ambito della legislazione emergenziale relativa alla pandemia da Covid-19, l'art. 157, comma 1, del d.l. n. 34/2020 (c.d. Decreto rilancio) ha codificato il principio della scissione in discorso per gli atti impositivi tributari la cui decadenza matura tra 1'8 marzo e il 31 dicembre 2020, sancendo che detto termine decadenziale si intende traslato a quest'ultima data quanto alla sola emissione degli atti stessi, mentre la relativa notificazione deve perfezionarsi tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2021, salvo eccezioni che qui non interessano. Pertanto, argomentando a contrario, se ne ha che un simile principio non sembra potersi ricavare dalla normativa previgente, giacché in siffatta evenienza il legislatore emergenziale non avrebbe avuto ragione di adottare una simile norma (o meglio, avrebbe dovuto connotarla diversamente, tenuto conto della sua finalità). Alla luce di tutte le considerazioni sopra esposte, la Corte di Cassazione – Sezione Tributaria – con l’ordinanza interlocutoria citata n. 15545/2020 ha trasmesso gli atti al Primo Presidente della Corte di Cassazione per l’eventuale assegnazione della questione alle Sezioni Unite perché, una volta per tutte, decida la problematica. Lecce, 26 settembre 2020

                        Avv. Maurizio Villani
                        Avv. Antonella Villani

AVV. MAURIZIO VILLANI Avvocato Tributarista in Lecce Patrocinante in Cassazione www.studiotributariovillani.it - e-mail avvocato@studiotributariovillani.it


PRIME CRITICITÀ DEL DECRETO SEMPLIFICAZIONE IN MATERIA DI APPALTI PUBBLICI

  1. Considerazioni introduttive Il Decreto Legge n. 76/2020, c.d. “Decreto Semplificazioni”, in vigore dal 17 luglio 2020, convertito dalla Legge n. 120 dell’11 settembre 2020 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 228 del 14 settembre 2020, ha previsto, tra le varie disposizioni normative atte a garantire la semplificazione e l’innovazione digitale (!!), anche una specifica modifica alla disciplina degli appalti pubblici, con particolare riferimento ai motivi di esclusione di cui all’art. 80, comma 4, del Decreto Legislativo n. 50/2016, c.d. “Codice dei Contratti Pubblici”. Tale modifica è destinata ad incidere in modo fortemente negativo su tutti gli operatori economici che dal 17 luglio 2020 rischiano di essere esclusi da una procedura d’appalto qualora presentino irregolarità fiscali anche non definitive, causando gravi rischi economici e finanziari alle imprese partecipanti. Si rammenta, infatti, che l’art. 8, comma 5, lettera b), del Decreto Semplificazioni, nel modificare l’art. 80, comma 4, quinto periodo, del Decreto Legislativo n. 50 del 18 aprile 2016 (Nuovo Codice degli Appalti) ha previsto espressamente che “….all'articolo 80, comma 4, il quinto periodo è sostituito dai seguenti: “Un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali non definitivamente accertati qualora tale mancato pagamento costituisca una grave violazione ai sensi rispettivamente del secondo o del quarto periodo. Il presente comma non si applica quando l'operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, ovvero quando il debito tributario o previdenziale sia comunque integralmente estinto, purché l'estinzione, il pagamento o l'impegno si siano perfezionati anteriormente alla scadenza del termine per la presentazione delle domande.”; Così disponendo l’art. 8, comma 5, del D.L. 76/2020 ha di fatto modificato e reso più stringente la disciplina relativa ai motivi di esclusione recata dall’art. 80 del Codice dei Contratti Pubblici, introducendo tra i casi di esclusione anche le irregolarità fiscali non definitivamente accertate. Più precisamente la nuova disposizione, così come riformata, riconosce alle stazioni appaltanti il potere discrezionale di escludere gli operatori economici dalle gare, nel caso in cui si viene a conoscenza di debiti fiscali anche non definitivi. Dunque, per causare l’esclusione di un operatore economico da una procedura d’appalto sarà adesso sufficiente un semplice accertamento, anche di tipo induttivo, riguardante un’irregolarità fiscale o contributiva che superi i 5 mila euro. Tuttavia, si ritiene opportuno sottolineare che la suddetta normativa, così come riformata dal Decreto Semplificazioni, presenta numerose criticità non solo all’interno della stessa norma, a causa di un contrasto interno tra il primo ed il quinto periodo del comma 4 del D.Lgs. 50/2016, ma anche per quanto attiene i profili comunitari nonché quelli di legittimità costituzionale, stante la potenziale lesione del diritto di difesa ex art. 24 della Costituzione. Questo perché un operatore economico sarà costretto a rinunciare al proprio diritto di difesa, costituzionalmente garantito, al solo fine di accedere ad una gara d’appalto, altrimenti preclusa qualora decidesse di instaurare un giudizio avverso un atto impositivo. Per di più, sotto questo aspetto, l’assurdo si verifica se l’operatore economico ha comunque instaurato il giudizio, vinto la causa e nulla deve al Fisco ma, in questo caso, è sufficiente che il giudizio sia pendente, persino in Cassazione, per bloccare la partecipazione alla gara di appalto. In sostanza, vi è una palese lesione del diritto di difesa in quanto si costringe l’operatore economico a non istaurare un giudizio ma a pagare tutto e subito, seppure a rate, persino nell’ipotesi di intervenuta sospensione da parte dei giudici tributari o di rimborso da parte dell’Agenzia delle Entrate a seguito di una sentenza favorevole immediatamente esecutiva, e il tutto al solo ed esclusivo fine di accedere ad una gara d’appalto, altrimenti preclusa.

  2. Contrasti all’interno della nella nuova norma Sul punto occorre evidenziare che una prima criticità si rinviene proprio all’interno della nuova disposizione dell’art. 80, comma 4, del D.Lgs. n. 50/2016 cosi come formulata dal Decreto Semplificazioni. Infatti la modifica introdotta dall’art. 8, comma 5, del suddetto Decreto, nel limitarsi a sostituire solo il quinto periodo del comma 4 del Codice dei Contratti Pubblici, non ha affatto tenuto in considerazione i primi quattro periodi che, contrariamente a quanto disposto dalla novella normativa, prevedono tuttora, in quanto non modificati, che tra i casi di esclusione ad una procedura d’appalto vi sono le violazioni gravi definitivamente accertate. Dunque, sorge un contrasto interno tra il primo periodo del comma 4, secondo cui l’operatore economico è escluso da una procedura d’appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, ed il quinto periodo del medesimo comma 4, che, così come modificato dal Decreto Semplificazioni, prevede che un operatore economico possa essere escluso da una procedura d’appalto anche se ha commesso violazioni gravi, non definitivamente accertate. Per meglio comprendere la modifica apportata si ritiene opportuno porre a confronto il vecchio testo previgente del D.Lgs 50/2016 con il nuovo testo, così come modificato dal Decreto Semplificazioni: TESTO PREVIGENTE DEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI DECRETO LEGISLATIVO 18 aprile 2016, n. 50 Art. 80, comma 4 (Motivi di esclusione)
    1. Un operatore economico e' escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti. Costituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all'importo di cui all'articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. Costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non piu' soggetti ad impugnazione. Costituiscono gravi violazioni in materia contributiva e previdenziale quelle ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC), di cui all'articolo 8 del decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 30 gennaio 2015, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 125 del 1° giugno 2015. Il presente comma non si applica quando l'operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, purche' il pagamento o l'impegno siano stati formalizzati prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande.

NUOVO TESTO VIGENTE DEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI DECRETO LEGISLATIVO 18 aprile 2016, n. 50 Art. 80, comma 4 (Motivi di esclusione)

  1. Un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti. Costituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all'importo di cui all'articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. Costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione. Costituiscono gravi violazioni in materia contributiva e previdenziale quelle ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC), di cui al decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 30 gennaio 2015, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 125 del 1° giugno 2015, ovvero delle certificazioni rilasciate dagli enti previdenziali di riferimento non aderenti al sistema dello sportello unico previdenziale. Un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali non definitivamente accertati qualora tale mancato pagamento costituisca una grave violazione ai sensi rispettivamente del secondo o del quarto periodo. Il presente comma non si applica quando l'operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, ovvero quando il debito tributario o previdenziale sia comunque integralmente estinto, purché l'estinzione, il pagamento o l'impegno si siano perfezionati anteriormente alla scadenza del termine per la presentazione delle domande.

Orbene, l’articolo 80, comma 4, del Codice degli Appalti nel suo testo previgente, al primo paragrafo, disponeva che un operatore economico è escluso dalla partecipazione ad una procedura d’appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, degli obblighi relativi al pagamento di imposte, tasse o contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui è stabilito. Il suddetto articolo precisa poi che costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione. È però necessario che si tratti di gravi violazioni, ovvero che si tratti di violazioni superiori a 5.000 euro (limite fissato attraverso il rinvio all’art. 48-bis, D.P.R. n. 602/1973) ovvero che si tratti di violazioni ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC) o delle certificazioni rilasciate dagli enti previdenziali. Facendo, invece, riferimento al quinto periodo, oggetto di modifica, appare evidente come nella formulazione previgente dell'articolo 80 si prevedeva che il comma non si applica quando l'operatore economico ha comunque ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, purché il pagamento o l'impegno siano stati formalizzati prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande. Il Legislatore italiano, invece, con il Decreto Semplificazioni ha modificato e sostituito il suddetto periodo con l’introduzione della “facoltà”, riconosciuta alle stazioni appaltanti di poter escludere l’operatore economico dalle procedure d’appalto ogni qual volta la stazione appaltante sia a conoscenza che l’operatore economico non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali non definitivamente accertati e qualora tale mancato pagamento costituisca una grave violazione. Dunque, la modifica si aggiunge a quanto era, ed è ancora previsto dall’art. 80, comma 4, primo periodo, D.Lgs. n. 50/2016, in merito all’obbligo di esclusione dalla procedura d’appalto, generando un conflitto interno allo stesso comma. Infatti nel primo periodo è previsto un obbligo di esclusione per le irregolarità gravi definitivamente accertate, mentre nel quinto periodo si prevede una facoltà di esclusione anche per le irregolarità gravi non definitive.

  1. Criticità sotto l’aspetto comunitario Occorre rammentare che la novella introdotta con l’art. 8 del Decreto Semplificazioni è nata nel tentativo di recepire i precetti comunitari delle direttive europee n. 2014/23/UE e n. 2014/24/UE e di rispondere alla procedura di infrazione n. 2018/2273 avviata dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia con lettera del 24 gennaio 2019. Quest’ultima nasceva dalla constatazione che l’Italia non avesse recepito le predette direttive comunitarie le quali prevedono, accanto all’ipotesi di esclusione obbligatoria per irregolarità fiscali definitivamente accertate, anche una “facoltà” di esclusione in tutti qui casi in cui la stazione appaltante fosse stata comunque a conoscenza della situazione di irregolarità fiscale dell’operatore economico. A riguardo, quello che si ritiene doveroso sottolineare è che il legislatore comunitario in nessuna delle direttive comunitarie ha mai previsto o citato le “irregolarità non definitive”, condizione questa inserita solo dal Legislatore italiano. A riguardo, l’art. 38, par. 5 della direttiva n. 2014/23/UE recita testualmente: “5. Le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), escludono un operatore economico dalla partecipazione a una procedura di aggiudicazione di una concessione qualora siano a conoscenza del fatto che l’operatore economico non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali e se ciò è stato stabilito da una decisione giudiziaria o amministrativa avente effetto definitivo e vincolante secondo la legislazione del paese in cui è stabilito o dello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore.” Orbene, da una attenta lettura, si evince chiaramente che la facoltà riconosciuta alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere un operatore economico da una procedura d’appalto deve sempre e comunque scaturire da una irregolarità definitiva ovvero se “ciò è stato stabilito da una decisione giudiziaria o amministrativa avente effetto definitivo e vincolante secondo la legislazione del paese in cui è stabilito o dello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore.” Dello stesso avviso, infatti, è anche la direttiva europea n. 2014/24/UE, dove all’art. 57, paragrafo 2, si legge testualmente: “2. Un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se l’amministrazione aggiudicatrice è a conoscenza del fatto che l’operatore economico non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali e se ciò è stato stabilito da una decisione giudiziaria o amministrativa avente effetto definitivo e vincolante secondo la legislazione del paese dove è stabilito o dello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice.” Detto ciò, nella nuova formulazione dell’art. 80, comma 4, quinto periodo, del D.Lgs. n. 50 /2016, la novella normativa mira a superare la contestazione sollevata con la procedura di infrazione n. 2018/2273, andando ben oltre il disposto contenuto nelle suddette direttive comunitarie dove non si menziona minimamente alle irregolarità non definitive”. Orbene, l'art. 80, comma 4, D.Lgs. n. 50/2016 nel testo finora vigente, non consentiva di escludere un operatore economico che ha violato gli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali qualora tale violazione, non sia stata prima accertata da una decisione giudiziaria o amministrativa avente effetto definitivo. Viceversa, il nuovo comma 4 dell’art. 80, D.Lgs. n. 50/2016, così come riformato dal decreto Semplificazioni, introduce, sebbene ciò non fosse testualmente previsto dal legislatore europeo, il riferimento anche alle irregolarità fiscali “non definitivamente accertati”. Infatti, né le direttive europee n. 2014/23/UE e 2014/24/UE né la procedura d’infrazione contengono alcun riferimento diretto ed esplicito alle violazioni “non definitivamente accertate”. Tutt’al più quello che la procedura d’infrazione si limita a prevedere è che la violazione dell’obbligo di pagamento può anche “non essere stabilita da una decisione giudiziaria o amministrativa avente effetto definitivo”. Ciò però non significa necessariamente che la violazione dell’obbligo di pagamento debba provenire da “provvedimenti non definitivi”, condizione questa inserita solo dal legislatore italiano. In conclusione, l’introduzione di tale inciso “non definitivamente accertati” non può ritenersi conforme alla direttiva del legislatore comunitario e, di conseguenza, va eliminato.

  2. Criticità sotto l’aspetto costituzionale Infine, il nuovo comma 4 dell’art. 80, D.Lgs. n. 50/2016, presenta anche criticità sotto l’aspetto costituzionale, con particolare riferimento all’art. 24 della Costituzione che garantisce il diritto di difesa. È evidente, infatti, come tale diritto verrebbe violato se solo si costringesse un operatore economico a pagare, ad esempio, tutto quanto richiesto con un avviso di accertamento appena notificato al solo fine di non essere escluso dalla partecipazione a un appalto pubblico. Così facendo l’operatore economico non avrebbe grandissima scelta: solo il pagamento, infatti, per come potrebbe essere interpretata la norma, gli consentirebbe di sottrarsi all’esclusione dalla gara.

  3. Considerazioni conclusive In conclusione, ritengo opportuno una sollecita correzione legislativa dell’art. 8, comma 5, lett b), del D.L. n. 76/2020, con la conseguente cancellazione della locuzione “non definitivamente accertati” e lasciando l’unica condizione sino ad oggi esistente e cioè che le gravi violazioni devono essere definitivamente accertate. Infatti, qualora la norma non venisse modifica porterebbe all'esclusione di molti operatori economici per il solo fatto di non aver ottemperato al pagamento dei debiti fiscali e contributivi richiesti con l’avviso di accertamento, anche non definitivo, e in assenza di qualsivoglia obbligo di pagamento. Pertanto, solo modificando la suddetta norma si può evitare di aggravare pesantemente la situazione economica e finanziaria degli operatori economici, impedendogli di partecipare alle procedure di appalto sol perché gli uffici fiscali notificano accertamenti o cartelle esattoriali che potrebbero essere totalmente annullati dalle Commissioni Tributarie. Tutti gli imprenditori, con le rispettive Associazioni di categoria, sono fortemente preoccupati perché gli si impedisce di partecipare alle gare di appalto una volta notificato l’avviso di accertamento, anche non definitivo, per cui sono costretti a pagare tutto e subito anche se gli accertamenti sono stati annullati in primo grado e in secondo grado ma pendenti in Cassazione.

Lecce, 24 settembre 2020 Avv. Maurizio Villani Avv. Alessandro Villani

AVV. MAURIZIO VILLANI Avvocato Tributarista in Lecce Patrocinante in Cassazione www.studiotributariovillani.it - e-mail avvocato@studiotributariovillani.it