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LE PRESUNZIONI NEL DIRITTO TRIBUTARIO

La Corte di Cassazione nel decidere varie questioni di diritto tributario ha più volte precisato la natura giuridica delle presunzioni. In questa sede, non può certo essere ripercorso in dettaglio il dibattito dottrinale sulla natura sostanziale o piuttosto processuale delle presunzioni legali relative, che, come anche di recente osservato, costituisce ancora «il vero punctum dolens» nell'ambito della disciplina generale delle presunzioni legali, su cui, infatti, si sono soffermati tanto gli studiosi del processo civile quanto quelli del diritto civile sostanziale; questione poi che, nell'ambito del diritto tributario, caratterizzato dal cospicuo ricorso agli accertamenti di natura presuntiva, assume indubbiamente un rilievo particolare. Tuttavia, non può farsi a meno di notare come, pur da autorevole dottrina processual - civilistica, non si sia mancato di porre in risalto come le presunzioni, in quanto ispirate alla finalità di facilitare la tutela di situazioni giuridiche, sotto tale profilo, siano indubbiamente appartenenti al diritto sostanziale, mentre, in quanto espedienti di tecnica legislativa imperniati sulla distribuzione dell'onere della prova, finiscano, sotto tale profilo, con l'assumere rilevanza come limiti o predeterminazioni dell'assetto dell'onere probatorio. Il problema, in effetti, è reso ancor più arduo dal fatto che, specialmente con riferimento al settore del diritto tributario, non tutte le presunzioni legali relative sono certamente riconducibili allo schema classico secondo cui, salva la prova contraria, la legge riconnette ad un fatto noto l'esistenza di un altro fatto ignoto. In tal caso - come pur si è autorevolmente osservato sul piano della dottrina generale del diritto civile - la presunzione legale relativa non può inquadrarsi perfettamente nell'ambito del fenomeno probatorio, restando «pur sempre il fatto dell'equipollenza, piuttosto che l'evento da provare, ad essere oggetto di prova contraria». Ritiene, quindi, la Corte di Cassazione che debba essere confermato tale indirizzo (già espresso da Cass. sez. 6-5, ord. 2 febbraio 2018, n. 2662, solo isolatamente contraddetto da Cass. sez. 6-5, ord. 12 febbraio, n. 3276, e di seguito viceversa riaffermato da Cass. sez. 5, 21 dicembre 2018, n. 33223 e da Cass. sez. 6-5, ord. 30 gennaio 2019, n. 2562), con qualche ulteriore opportuna precisazione. La prima può essere espressa nel principio secondo cui, per esempio: «La presunzione legale relativa di evasione introdotta - con riferimento all'omessa dichiarazione di investimenti e attività di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato - dall'art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009 non ha efficacia retroattiva, in quanto non può attribuirsi alla stessa natura procedimentale». Ciò consente di disattendere l’argomento speso dall'Amministrazione circa l'espletamento di ciascun accertamento riferito alle singole annualità d'imposta. Né soltanto processuale, non essendo riferibile esclusivamente al riparto dell'onere della prova, come ancora ulteriormente desumibile dalla collocazione delle norme in tema di presunzioni tra quelle sostanziali, nel codice civile, nonché, in generale (cfr. Cass. sez. lav. 19 marzo 2014, n. 6332), sempre riguardo al principio di distribuzione dell'onere probatorio, più che per la sedes materiae, perché consistenti in regole di giudizio che comportano una decisione di merito. D'altronde si è ancora dalla Corte di Cassazione, in maniera condivisibile, affermato che una differente interpretazione potrebbe, in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., pregiudicare l'effettività del diritto di difesa del contribuente in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione. L'ulteriore precisazione attiene all'interpretazione, per esempio, dell'incipit del citato comma 2 del d.l. n. 78/2009, così come convertito dalla L. n. 78/2009 «In deroga ad ogni vigente disposizione di legge...», segnatamente se esso possa intendersi come deroga espressa all'art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile ed all'art. 3, comma 1, della L. n. 212/2000 (Statuto del contribuente). Invero al riguardo non può farsi a meno di osservare, avuto riguardo all'art. 12 delle preleggi, come all'interpretazione letterale della norma debba, comunque, affiancarsi quella sistematica che consenta di rilevare l'intenzione del legislatore (voluntas legis). Ebbene, come è dato evincere anche dai successivi commi dell'art. 12 del d.l. n. 78/2009 in esame, quale risultante a seguito della legge di conversione, non vi è dubbio che la disposizione abbia la precipua finalità di avvantaggiare la posizione del Fisco sul piano dell'accertamento, dando per certo, salva la prova contraria, il fatto della costituzione degli investimenti ed attività finanziarie non dichiarati nei menzionati Paesi o territori a regime fiscale privilegiato mediante redditi sottratti a tassazione. Sicché appare coerente concludere nel senso che l'inciso sopra indicato debba intendersi in modo che la deroga espressa ivi contenuta sia da porre in relazione agli ordinari strumenti accertativi. A tal proposito, si ribadisce, per esempio, quanto già ritenuto, ugualmente in fattispecie inerente alla c.d. lista Falciani, dalla Corte di Cassazione sez. 5, ud. 16 maggio 2019 - dep. 14 novembre 2019, n. 29632, ovverosia: «La circostanza che la presunzione legale di evasione stabilita dal D.L. n. 78 del 2009, art. 12 comma 2, non sia suscettibile di applicazione retroattiva agli anni di imposta antecedenti alla sua entrata in vigore, non preclude all'Ufficio di provare l'esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, detenuti occultamente in paesi a fiscalità privilegiata, anche sulla base di presunzioni semplici gravi, precise e concordanti (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 2 con riguardo alla rettifica del reddito delle persone fisiche), senza fare ricorso alla presunzione legale in oggetto. A tal fine occorre considerare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, civile e tributaria, in tema di presunzioni semplici, gli elementi assunti a fonte di prova non devono essere necessariamente più d'uno, ben potendo il giudice fondare il proprio convincimento su uno solo di essi, purché grave e preciso, dovendo il requisito della "concordanza" ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi (Sez. 1 -, Ordinanza n. 23153 del 26/09/2018). Con riferimento alla materia tributaria, il convincimento del giudice, in ordine alla sussistenza di redditi maggiori di quelli dichiarati, può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purché grave e precisa. (Sez. 5, Ordinanza n. 30803 del 22/12/2017, con specifico riferimento alla "lista Falciani" Sez. 6 - 5, n. 3276 del 12/02/2018, secondo cui l'Amministrazione finanziaria può fondare la propria pretesa anche su un unico indizio, se grave e preciso, cioè dotato di elevata valenza probabilistica (nella specie, risultanze della cd. "lista Falciani)». Resta, dunque, confermato il principio di diritto secondo cui: «La presunzione legale relativa di evasione introdotta - con riferimento all'omessa dichiarazione di investimenti e attività di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato - dall'art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009 non ha efficacia retroattiva, in quanto non può attribuirsi alla stessa natura procedimentale e di deroga espressa all'art. 11 delle preleggi e all'art.3 dello statuto del contribuente; laddove il fisco ricorrente denunci anche la violazione dell'art. 2729 cod. civ. la Corte può rinviare al giudice di merito il riesame dei medesimi fatti addotti, sub specie di presunzione semplice)» (conf. anche Cass. sez. 5, ud. 16 maggio 2019 - dep. 14 novembre 2019, n. 29633). Proprio riguardo a casi riguardanti la c.d. lista Falciani, da Cass. sez. 6-5, ord. 28 aprile 2015, n. 8605 e 8606, si è stabilito il principio secondo cui: «In tema di accertamento tributario, è legittima l'utilizzazione di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche acquisito in modo irrituale, ad eccezione di quelli la cui inutilizzabilità discende da specifica disposizione di legge e salvi i casi in cui venga in considerazione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale» (cfr. tra le altre, sempre in caso di documentazione bancaria ottenuta dall'autorità italiana nel quadro degli strumenti di cooperazione comunitaria, Cass. sez. 5, 19 agosto 2015, n. 16950, in tema di c.d. "lista Vaduz" e n. 16951, in pari data, ancora riguardo alla c.d. "lista Falciani; Cass. sez. 5, 26 agosto 2015, n. 17183, con riferimento alla c.d. "lista Pessina"; la già citata Cass. n. 33223/18, in tema di "lista Falciani"). Né ha escluso che l'acquisizione di essa per il tramite dell'autorità francese potesse di per sé, come chiarito pure dalle citate Cass. nn. 8605 e 8606 del 2015, valere anche come unico elemento indiziario idoneo a fondare l'accertamento in relazione ai requisiti di cui all'art. 2729 cod. civ., ma ha preso in considerazione una serie di elementi di fatto che, esaminati singolarmente e, quindi, nella loro valutazione complessiva (dunque, in ossequio, ai canoni indicati dalla stessa Cass. n. 17183/2015, pur citata dall'Amministrazione finanziaria ricorrente), sono stati ritenuti dal giudice di merito tali da escludere in concreto che di per sé l'indicazione del nominativo della contribuente sull'unico foglio di quella che dovrebbe intendersi, come la scheda di sintesi riferita al contribuente, potesse ragionevolmente fondare la prova presuntiva in relazione all'art. 2729 cod. civ. Tali elementi sono stati individuati da ciascuna delle decisioni impugnate nella presenza di «codici che però non si relazionano l'uno con l'altro», nonché di «un elenco anonimo di importi afferente alla movimentazione del conto bancario codificato, ed ancora nella mancanza sulla documentazione acquisita di qualsiasi intestazione o riferimento. Ciò comporta che, sempre secondo la Corte di Cassazione, seppur erronea in sé in diritto la qualificazione, alla stregua di quanto osservato da Cass. sez. 6-5, ord. 13 maggio 2015, n. 9760, da parte delle decisioni impugnate, come "foglio anonimo" della scheda clienti (fiche) della banca prelevata da dipendente della stessa e consegnata all'Autorità francese che, a sua volta, lo ha scambiato con l'Amministrazione finanziaria italiana, “la formulazione della censura, che non attinge il complessivo accertamento in fatto così come svolto dal giudice tributario d'appello in ciascun giudizio ed estrinsecatosi nelle plurime rationes decidendi sopra esposte, deve ritenersi inammissibile” (in tal senso, correttamente, Corte di Cassazione – Sezione Tributaria Civile – sentenza n. 33893 depositata il 19 dicembre 2019). Lecce, 07 novembre 2020

                            Avv. Maurizio Villani
                            Avv. Antonella Villani

AVV. MAURIZIO VILLANI Avvocato Tributarista in Lecce Patrocinante in Cassazione www.studiotributariovillani.it e-mail avvocato@studiotributariovillani.it


LA CRISI DEL PROCESSO TRIBUTARIO DURANTE LA PANDEMIA COVID-19

A seguito dello stato di emergenza nazionale da COVID-19, ove sussistano divieti, limiti, impossibilità di circolazione su tutto o parte del territorio nazionale conseguenti al suddetto stato emergenziale ovvero altre situazioni di pericolo per l’incolumità pubblica o dei soggetti a vario titolo interessati nel processo tributario, il legislatore ha disciplinato lo svolgimento delle udienze con l’art. 27 del decreto-legge n. 137 del 28/10/2020 (in G.U. n. 269 del 28/10/2020), con decorrenza del 29/10/2020. Prima di commentare e criticare il suddetto articolo, secondo me, è necessario analizzare lo sviluppo normativo precedente la situazione emergenziale da COVID-19.

A) VIDEO UDIENZE. Il collegamento audiovisivo tra l’aula di udienza ed il luogo del collegamento da remoto del difensore, dell’ente impositore e di riscossione, nonché dei giudici tributari e del personale amministrativo delle Commissioni Tributarie, è disciplinato dalle seguenti normative.

1) Dal 24/10/2018 al 18/05/2020. L’art. 16, comma 4, decreto-legge n. 119 del 23/10/2018, convertito dalla Legge n. 136 del 17/12/2018, stabiliva che: • soltanto la partecipazione delle parti all’udienza pubblica di cui all’art. 34 D.Lgs. n. 546/1992 poteva avvenire a distanza; • era necessaria un’apposita richiesta formulata da una delle parti nel ricorso o nel primo atto difensivo per il collegamento audiovisivo tra l’aula di udienza ed il luogo del domicilio indicato dal contribuente, dal difensore, dall’ufficio; • tale collegamento doveva svolgersi con tassative modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto veniva detto; • il luogo dove la parte processuale si collegava in audiovisione era equiparato all’aula di udienza; • per le regole tecnico-operative erano necessari uno o più provvedimenti del Direttore Generale delle Finanze, sentito il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria e l’Agenzia per l’Italia Digitale; • almeno un’udienza per ogni mese e per ogni sezione doveva essere riservata alla trattazione di controversie per le quali era stato richiesto il collegamento audiovisivo a distanza.

2) DAL 19 MAGGIO 2020. Il succitato art. 16, comma 4, è stato totalmente sostituito dall’art. 135, comma 2, decreto-legge n. 34 del 19/05/2020, convertito dalla Legge n. 77 del 17/07/2020. Le novità sono: • la partecipazione alle udienze di cui agli artt. 33 e 34 D.Lgs. n. 546/1992 può avvenire a distanza mediante collegamento audiovisivo; • pertanto, a differenza della precedente normativa, il collegamento audiovisivo può riguardare anche le trattazioni in camera di consiglio (art. 33 citato); • solo la partecipazione da remoto all’udienza pubblica dell’art. 34 citato può essere richiesta dalle parti processuali nel ricorso o nel primo atto difensivo ovvero con apposita istanza da depositare in segreteria e notificare alle parti costituite prima della comunicazione dell’avviso di cui all’art. 31, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992; • le regole tecnico operative per consentire la partecipazione all’udienza a distanza devono sempre essere individuate preventivamente con uno o più provvedimenti del Direttore Generale delle Finanze, sentito il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, il Garante per la protezione dei dati personali, e l’Agenzia per l’Italia Digitale; • infine, i giudici, sulla base dei criteri individuati dai Presidenti delle Commissioni Tributarie, individuano le controversie per le quali l’ufficio di segreteria è autorizzato a comunicare alle parti lo svolgimento delle udienze a distanza.

3) MANCANO SINO AD OGGI TUTTI I PROVVEDIMENTI PREVISTI DALLA LEGGE. Sino ad oggi non sono stati emanati i succitati necessari provvedimenti. Oltretutto, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria (CPGT) ritiene questi atti una esplicita “interferenza” del MEF su tematiche di esclusiva competenza del Consiglio stesso. Infatti, il CPGT ha chiesto di correggere subito una prima bozza varata dal Direttore del Dipartimento delle Finanze, Fabrizia Lapecorella (vedi Il Sole 24 ore del 28 e 30 aprile 2020). In definitiva, il timore che ancora oggi serpeggia negli ambienti della giustizia tributaria è che questi strumenti tecnologici possono creare molti problemi, con il rischio di arrecare gravi ed irreparabili danni diretti ai contribuenti.

B) SENTENZE DIGITALI. L’art. 16 del Decreto n. 163 del 23/12/2013 del Ministero dell’Economia e delle Finanze (in G.U. n. 37 del 14/02/2014), vigente dall’01/03/2014, prevede che, ai fini della formazione delle sentenze, dei decreti e delle ordinanze, redatti come documenti informatici sottoscritti con firma elettronica qualificata o firma digitale dei soggetti di cui all’art. 36, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992, la trasmissione dei documenti possa avvenire tra i componenti del collegio giudicante tramite il S.I.G.I.T.. Dall’01/07/2020 le sentenze della CTP di Roma e della CTR Lazio dovevano diventare digitali, ma ciò non è ancora avvenuto a causa dell’emergenza COVID-19. Di conseguenza, l’utilizzo della casella di posta elettronica ordinaria per l’invio delle sentenze telematiche “introduce scenari di rischio con riguardo alla sicurezza informatica e alla protezione dei dati personali delle parti processuali”, come scritto nella nota del MEF inviata al Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, oltre al rischio di hackeraggio (vedi Il Sole 24 ore del 29/04/2020 e del 07/05/2020).

C) ART. 27 D.L. N. 137/2020 SINO AL 31/01/2021. Nell’attuale situazione normativa ed in assenza, sino ad oggi, dei relativi e necessari provvedimenti amministrativi, come sopra esposto, il legislatore, in piena emergenza COVID-19, è intervenuto con il citato art. 27, che ha disciplinato le seguenti situazioni processuali sino al 31/01/2021.

1) DECRETO MOTIVATO (COMMA 1). Lo svolgimento delle udienze pubbliche e camerali e delle camere di consiglio con collegamento da remoto è autorizzato, secondo la rispettiva competenza, soltanto con decreto motivato del Presidente della Commissione Tributaria provinciale o regionale da comunicarsi almeno cinque giorni prima della data fissata per un’udienza pubblica o una camera di consiglio. Per esempio, il Presidente della CTR Puglia ha provveduto con il Decreto n. 32/2020 del 29/10/2020, mentre il Presidente della CTP di Milano ha provveduto con decreto del 29/10/2020. I decreti possono disporre che le udienze e le camere di consiglio si svolgano anche solo parzialmente da remoto, sempre che le dotazioni informatiche lo consentano e nei limiti finanziari disponibili. La segreteria deve comunicare alle parti, di regola, almeno tre giorni prima della trattazione, l’avviso dell’ora e delle modalità di collegamento da remoto. Tutti i verbali ed i provvedimenti adottati in esito ad un collegamento da remoto si intendono assunti presso la sede dell’ufficio giudiziario. In ogni caso, sino ad oggi, per il processo tributario a distanza l’obiettivo non è stato raggiunto, nonostante siano passati due anni dall’art. 16 D.L. n. 119/2018 citato (vedi lett. A), richiamato peraltro dall’art. 27, comma 4, citato.

2) ESCLUSA L’ORALITA’ (COMMA 2). In alternativa alla discussione orale con collegamento da remoto: • tutte le controversie in pubblica udienza (art. 34 D.Lgs. N. 546 cit.) passano in decisione “in base agli atti”; • se almeno una delle parti insiste per la discussione, con apposita istanza da notificare e depositare almeno due giorni liberi prima dell’udienza, e non sia possibile procedere mediante collegamento da remoto (come sicuramente accade), si procede mediante “trattazione scritta”, con fissazione di un termine non inferiore a dieci giorni prima dell’udienza per il deposito di memorie conclusionali e di cinque giorni prima dell’udienza per memorie di replica; • se non si possono rispettare i suddetti termini, la controversia è rinviata a nuovo ruolo, con possibilità di prevedere sempre automaticamente la “trattazione scritta” nel rispetto dei medesimi termini e senza discussione orale; • in caso di decisione “sulla base degli atti” o di “trattazione scritta” i difensori e le parti sono considerati a tutti gli effetti presenti ed i provvedimenti si intendono comunque assunti presso la sede dell’ufficio giudiziario. In definitiva, nel processo tributario è stata esclusa l’oralità e si è dato il via libera soltanto al contenzioso documentale, almeno sino al 31/01/2021. “In sostanza, nel processo tributario si è deciso di introdurre il “contraddittorio cartolare coatto” contro la volontà delle parti che, per scelta difensiva, intendono far differire la causa pur di potersi confrontare direttamente con il Giudice” (condivisibile ed apprezzabile articolo di Paola Coppola, in Il Sole 24 ore di martedì 03-11/2020). Il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 2539 del 21 aprile 2020, ha stabilito che: “Il contraddittorio cartolare “coatto” – cioè non frutto di una libera opzione difensiva, bensì imposto anche contro la volontà delle parti che invece preferiscano differire la causa a data successiva al termine della fase emergenziale, pur di potersi confrontare direttamente con il proprio giudice – non appare una soluzione ermeneutica compatibile con i canoni della interpretazione conforme a Costituzione, che il giudice comune ha sempre l’onere di esperire con riguardo alla disposizione di cui deve fare applicazione”. La discussione orale nel processo tributario è importante perché, spesso, si tratta di chiarire ed esplicitare meglio concetti fiscali complessi nonché questioni tecniche difficili davanti a giudici non professionali né specializzati che, salvo rarissime eccezioni, non svolgono alcuna fase istruttoria (rarissime le nomine di CTU). Oltretutto, nel processo tributario non è ammessa la testimonianza per cui la discussione orale diventa necessaria per chiarire e puntualizzare determinate situazioni di fatto, come per esempio non aver partecipato alla gestione di una società a ristretta base azionaria. Non bisogna, altresì, dimenticare che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con la sentenza del 23/11/2006, ha stabilito che il divieto assoluto della testimonianza risulta incompatibile con i principi del giusto processo. Anche se l’art. 7, primo comma, D.Lgs. n. 546/92 lo prevede, i giudici tributari, quasi mai, ai fini istruttori e nei limiti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferiti agli uffici tributari ed all’ente locale da ciascuna legge d’imposta. Ecco perché è necessaria una urgente e strutturale riforma della giustizia tributaria con giudici a tempo pieno, professionali, competenti, ben retribuiti (non 15 euro a sentenza depositata!!!!) e, soprattutto, non più dipendenti dal MEF. Questa dirompente novità dell’art. 27 cit. nel processo tributario deve essere criticata non solo per la soluzione approntata ma anche per la littera legis. Infatti, non si riesce a comprendere perché se la parte chiede la discussione pubblica, e ciò non sia possibile, automaticamente si deve procedere alla “trattazione scritta” invece di rinviare l’udienza a nuovo ruolo quando l’emergenza sarà finita o quando saranno emanati i necessari provvedimenti amministrativi per le udienze da remoto (rinvio alla lett. A).

3) L’ART. 27 E’ CONTRARIO ALLA NORMATIVA COMUNITARIA E ALLA COSTITUZIONE. Giustamente il Consiglio Nazionale Forense, l’Organismo Congressuale Forense e l’Unione Nazionale delle Camere degli Avvocati Tributaristi (UNCAT) hanno contestato e criticato l’art. 27 cit. perché contrario alla normativa comunitaria ed alla Costituzione.

a) NORMATIVA COMUNITARIA. L’art. 6, primo paragrafo, CEDU stabilisce che “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un Tribunale indipendente e imparziale…..”. La Corte europea ha più volte chiarito e precisato che la pubblicità è un diritto posto a presidio di fondamentali istanze di garanzia “tutelandolo da una giustizia segreta che sfugge al controllo del pubblico” ma anche una garanzia per la collettività, “permettendo il sindacato sull’esercizio del potere giudiziario, finalizzato a preservare la fiducia nelle corti e nei tribunali; in altre parole, secondo i giudici di Strasburgo, attraverso la trasparenza che assicura all’amministrazione della giustizia, la pubblicità concorre a realizzare “l’equo processo” (si rinvia all’articolo di Livia Bongiorno, in www.lalegislazionepenale.eu ed al mio articolo scritto insieme alla Collega Lucia Morciano, “Il diritto tributario e la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo: la CEDU viene in aiuto del contribuente” in filodiritto del 18/09/2017).

b) ECCEZIONI DI INCOSTITUZIONALITA’. L’art. 27 cit. contrasta con i principi regolatori del giusto processo (art. 111, comma 2, della Costituzione) e compromette seriamente il diritto di difesa (art. 24 della Costituzione). La Corte Costituzionale ha più volte ritenuto illegittima la mancanza di pubblicità in un processo, proprio in riferimento al citato art. 6 CEDU, perché in contrasto con l’art. 117, comma 1, della Costituzione (sentenze n. 93/2010; n. 135/2014; n. 97/2015 ed altre).

4) L’ART. 27, TERZO COMMA: NO CAMERE DI CONSIGLIO DA REMOTO. L’art. 27, terzo comma, cit. testualmente dispone: “I componenti dei collegi giudicanti residenti, domiciliati o comunque dimoranti in luoghi diversi da quelli in cui si trova la Commissione di appartenenza sono esonerati, su richiesta e previa comunicazione al Presidente di sezione interessata, dalla partecipazione alle udienze o camere di consiglio da svolgersi presso la sede della Commissione interessata”. Innanzitutto, bisogna precisare che l’art. 35, primo comma, D.Lgs. n. 546 cit. stabilisce testualmente che: “Il collegio giudicante, subito dopo la discussione in pubblica udienza o, se questa non vi è stata, delibera la decisione in segreto nella camera di consiglio”. Di conseguenza, secondo me, per rispettare la segretezza della camera di consiglio, l’esonero dell’art. 27 comporta soltanto la sostituzione del giudice ma non la sua partecipazione a distanza nella camera di consiglio, proprio in mancanza dei più volte citati provvedimenti amministrativi (vedi lett. A), i soli che possono veramente garantire ed autorizzare il collegamento audiovisivo, anche per la protezione dei dati personali (infatti, come abbiamo scritto, si deve sentire obbligatoriamente anche il Garante per la protezione dei dati personali dopo le modifiche intervenute). In definitiva, oggi, in mancanza dei necessari e preventivi provvedimenti amministrativi, non si può consentire di svolgere le camere di consiglio con collegamento da remoto con l’utilizzo di adeguate tecnologie (piattaforme di videoconferenza o, peggio, altri generici strumenti di comunicazione) da parte del Presidente del collegio giudicante, che ne attesta il regolare funzionamento (contrariamente a quanto disposto al n. 4 del decreto del Presidente della CTR per la Puglia del 29/10/2020, già citato). Infatti, l’art. 27, primo comma, cit. riguarda soltanto lo “svolgimento delle udienze”: • pubbliche (art. 34 D.Lgs. n. 546 cit.); • camerali (art. 33 D.Lgs. n. 546 cit.); • con collegamento da remoto (art. 16 D.L. n. 119 cit.). Non si fa mai riferimento alle deliberazioni del collegio giudicante (art. 35 D.Lgs. n. 546 cit.). Inoltre, il “decreto motivato” dell’art. 27, primo comma, cit. è autorizzato sempre e soltanto dal Presidente della CTP o della CTR e non si fa mai riferimento al Presidente del collegio, con il rischio di avere presso una Commissione Tributaria camere di consiglio veramente segrete ed altre da remoto, senza alcuna garanzia legislativa ed amministrativa. Oltretutto, ammesso e non concesso che, oggi, in mancanza delle autorizzazioni, fosse possibile la camera di consiglio a distanza, non si capisce perché la stessa possibilità non viene concessa al difensore, costringendolo soltanto a depositare note scritte. Pertanto, oggi, mancando il collegamento da remoto, se il difensore non può partecipare alla pubblica udienza, anche le camere di consiglio non si devono né si possono fare da remoto (con il telefonino o con altri strumenti sul WEB, non ammissibili). Infine, il riferimento dell’art. 27, primo comma, cit. al fatto che i decreti possono disporre che le udienze e le camere di consiglio si svolgano anche solo “parzialmente da remoto” sta a significare che non tutte le parti processuali costituite devono o possono partecipare da remoto ma soltanto che si possa consentire il collegamento anche ad una sola di esse, perché tecnologicamente collegata ed assistita, sempre con le garanzie di legge più volte citate.

D) PROPOSTE DI MODIFICHE. Secondo me, l’art. 27 cit., illegittimo ed incostituzionale, come sopra esposto, deve essere assolutamente corretto nel senso di: • disporre il rinvio d’ufficio di tutte le udienze sino al 31/12/2020, come previsto nella precedente legislazione d’urgenza (art. 83, comma 21, D.L. n. 18/2020 “CURA ITALIA” e art. 36 D.L. n. 23/2020 “DECRETO LIQUIDITA”); • sospendere i termini processuali sino al 31/12/2020; • nel frattempo, emanare subito i necessari provvedimenti amministrativi per le video-udienze e mai per le camere di consiglio; • in ogni caso, rinviare a nuovo ruolo quanto meno le pubbliche udienze richieste e confermate con insistenza. In attesa che finalmente si riformi veramente e seriamente la giustizia tributaria, come da anni richiesto da tutti i contribuenti, almeno nella fase pandemica non si deve comprimere e pregiudicare il diritto di difesa dei contribuenti e dei loro difensori. Lecce, 04 novembre 2020 Avv. Maurizio Villani

AVV. MAURIZIO VILLANI Avvocato Tributarista in Lecce Patrocinante in Cassazione www.studiotributariovillani.it - e-mail avvocato@studiotributariovillani.it


IL GIUDICATO NEI CONFRONTI DELL’AGENTE DELLA RISCOSSIONE

Il giudicato formatosi tra il contribuente e l'Agente della Riscossione spiega in ogni caso effetti anche nei confronti dell'ente impositore. Durante l'attività di riscossione l'ente impositore conserva la propria qualità di creditore, ma la legge sancisce una scissione fra la titolarità del credito e la legittimazione all'esercizio delle azioni e delle tutele correlate alle situazioni giuridiche soggettive nascenti dal rapporto di imposta, spettando queste ultime all'Agente della Riscossione. Ne deriva, sul piano processuale, la sostituzione dell'Agente della Riscossione all'ente impositore e, conseguentemente, l'operatività nei confronti dell'Agenzia delle Entrate del giudicato formatosi nella lite tributaria fra il contribuente e l'Agente della Riscossione, indipendentemente dalla denuntiatio lítis all'Agenzia, la quale potrà unicamente rilevare nel rapporto interno ex art. 39 D. Lgs. n. 112 del 1999 (sulla scissione tra titolarità ed esercizio del credito tributario e sulle conseguenze processuali di tale configurazione si erano già pronunciate Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1748 del 06/05/1975; Cass, Sez. 1, Sentenza n. 3328 del 13/06/1979). In altri termini, «il concessionario è il soggetto legittimato ad agire, in nome proprio e per conto del titolare del credito stesso, per il compimento delle attività processuali di natura esecutiva, funzionali alla riscossione coattiva delegata, integrando la fattispecie uno dei casi fatti salvi dall'art. 81 cod. proc. civ.» (da ultimo, Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 24789 del 09/10/2018). Di conseguenza, le pronunce (anche di segno negativo) rese nei giudizi instaurati contro l'Agente della Riscossione spiegano effetti anche nei confronti dell'ente impositore, indipendentemente dalla sua partecipazione al processo, la quale deve essere sollecitata dall'Agente, a norma dell'art. 39 D. Lgs. n. 112 del 1999 («nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi»), ma non costituisce requisito per l'opponibilità delle statuizioni. Diversamente opinando, per considerare inutiliter data la sentenza resa senza la partecipazione al giudizio dell'ente impositore, occorrerebbe ipotizzare un litisconsorzio necessario tra quest'ultimo e l'Agente della Riscossione, ma ciò si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza costante di legittimità (Cass., Sezioni Unite, Sentenza n. 16412 del 25/07/2007: «L'azione può essere svolta dal contribuente indifferentemente nei confronti dell'ente creditore o del concessionario e senza che tra costoro si realizzi una ipotesi di litisconsorzio necessario, essendo rimessa alla sola volontà del concessionario, evocato in giudizio, la facoltà di chiamare in causa l'ente creditore»). Inoltre, secondo la giurisprudenza di legittimità della Corte di Cassazione, l'Agente della Riscossione ha soltanto l'obbligo di effettuare all'ente impositore la denuntiatio litis ex art. 39 D. Lgs. n. 112/1999 («con qualunque modalità», secondo Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 9250 del 03/04/2019), in mancanza della quale risponde in proprio della lite. Peraltro, sarebbe illogico concludere che l'ente impositore possa fare proprio l'esito favorevole della lite e considerare inter alios - e inopponibile - quello sfavorevole, sia perché in quest'ultimo caso il contribuente non trarrebbe alcun concreto beneficio dalla decisione resa (dato che l'ente potrebbe sempre reiterare gli atti anche in caso di riconosciuta insussistenza della pretesa tributaria), sia - e soprattutto - perché si determinerebbe una situazione in cui l'ente impositore non avrebbe mai un effettivo interesse a partecipare alla lite a seguito di denuntiatio (posto che l'esito favorevole all'Agente della Riscossione gli gioverebbe mentre quello sfavorevole gli sarebbe inopponibile). In tal senso, correttamente, Corte di Cassazione – Sezione Tributaria Civile – ordinanza n. 31476, depositata il 03 dicembre 2019. Lecce, 31 ottobre 2020

                            Avv. Maurizio Villani
                            Avv. Alessandro Villani

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NOTIFICHE PER POSTA SI PRONUNCERA’ LA CORTE DI CASSAZIONE A SEZIONI UNITE

Su detta questione si registrano decisioni di segno difforme e divergente nella giurisprudenza di legittimità della Corte di Cassazione. Secondo un primo avviso (formatosi proprio in relazione ad atti di accertamento tributario), la notificazione a mezzo posta, qualora l'agente postale non possa recapitare l'atto, si perfeziona, per il destinatario, trascorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata contenente l'avviso della tentata notifica e la comunicazione di avvenuto deposito del piego presso l'ufficio postale, sicché, ai fini della sua ritualità, è richiesta, ex art. 8 della L. n. 890 del 1982, la sola prova della spedizione della missiva raccomandata c.d. C.A.D. (che si evince dal numero della raccomandata di spedizione indicata sull'avviso di ricevimento) e non anche della sua avvenuta ricezione (in questo ordine di idee, Cass. 30/01/2019 n. 2638; Cass. 31/05/2018 n. 13833; Cass. 14/11/2017 n. 26945; Cass. 10/03/2017 n. 6242; Cass. 15/02/2017 n. 4043). L'opinione trae alimento, valorizzandone il significato sistematico, dal disposto precettivo dell'ultimo periodo del quarto comma del citato art. 8, a mente del quale «la notificazione si ha comunque per eseguita trascorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata» di comunicazione dell'avviso di deposito del piego. Con tale espressa e puntuale previsione - si argomenta - in caso di irreperibilità temporanea del destinatario dell'atto il legislatore ha inteso correlare, in via assoluta e generale (in tal senso deponendo l'utilizzo della locuzione «comunque»), il perfezionamento dell'iter notificatorio a mezzo posta all'evento «spedizione» (e non già ricezione) della c.d. C.A.D., e precisamente al decimo giorno successivo all'invio della raccomandata; con la fattispecie complessa costituita dalla spedizione della C.A.D. e dal decorso del tempo prescritto, si realizza, per chiara opzione positiva, la conoscenza legale dell'atto ad opera del destinatario, rilevante (salva un'anteriore conoscenza effettiva, conseguita con il materiale ritiro del piego prima del trascorrere dei dieci giorni: art. 8, quinto comma, L. n. 890 del 1982) quale dies a quo per l'esplicazione delle attività difensive legate all'atto notificato (ad esempio, per l'impugnativa giurisdizionale dell'atto impositivo tributario: Cass. 30/12/2015, n. 26088, Cass. 11/05/2012, n. 7324). Il meccanismo così configurato dall'art. 8 rappresenta, dunque, una declinazione, peculiare e specifica, della più generica nozione di «conoscenza legale» che segna, giusta l'art. 149 cod. proc. civ., il perfezionamento della notifica postale dal lato del destinatario, nella consapevolezza che, per comprensibili esigenze di funzionalità, il sistema delle notificazioni a mezzo posta non può indefettibilmente esigere la concreta conoscenza dell'atto ad opera del destinatario (cioè a dire, la materiale consegna o il ritiro del piego da parte dello stesso) ma postula, invece, come sufficiente l'ingresso dell'atto nella sfera di conoscibilità del soggetto notificato nei modi predeterminati dalla legge. Si richiama quanto autorevolmente chiarito dalla Corte di Cassazione, Sez. Unite, 01/02/2012, n. 1418, secondo cui la disposizione in parola «realizza - contemperandoli - due diversi e contrapposti interessi: quello del notificante, acché sia comunque assicurato un termine finale per il perfezionamento del procedimento di notificazione dallo stesso promosso, spirato il quale, appunto, "la notificazione si ha per eseguita" anche in mancanza di ritiro del piego depositato da parte del destinatario, che, pertanto, da tale momento, "ha la legale conoscenza dell'atto"; quello del notificato - nei casi, di cui allo stesso art. 8, comma 2, di mancato recapito del piego - a disporre di un termine ragionevole per il ritiro dello stesso presso l'ufficio postale preposto alla consegna, dal momento che la previsione di tale termine risponde al fondamentale diritto del destinatario della notificazione ad essere posto in condizione di conoscere, con l'ordinaria diligenza e senza necessità di effettuare ricerche di particolare complessità, il contenuto dell'atto e l'oggetto della procedura instaurata nei suoi confronti, non potendo ridursi il diritto di difesa del destinatario medesimo ad una garanzia di conoscibilità puramente teorica dell'atto notificatogli». In questa prospettiva, l'avviso di ricevimento (quello presentato dall'ufficiale giudiziario o dal messo notificatore all'ufficio postale, unitamente alla busta chiusa contenente l'atto da notificare) è documento idoneo e ad un tempo sufficiente a dare prova della ritualità del procedimento notificatorio, siccome estrinseca ed assevera (con l'efficacia fidefacente tipicamente propria delle attestazioni dell'ufficiale postale) gli elementi costitutivi della relativa fattispecie perfezionativa: l'infruttuoso tentativo di consegna dell'atto per temporanea assenza del destinatario (e per mancanza o inidoneità di persone abilitate alla ricezione), l'affissione alla porta d'ingresso (o l'immissione nella cassetta della corrispondenza) di avviso di tentata notifica e di deposito del plico in ufficio, la spedizione (completa dei dati identificativi: numero di missiva, data di invio) di identico avviso a mezzo lettera raccomandata indirizzata al destinatario, il mancato ritiro del plico nel termine di dieci giorni dalla data di spedizione (o l'effettivo ritiro, ove avvenuto prima dello spirare di detto termine). Non si ritiene, invece, necessaria la dimostrazione della ricezione della C.A.D. ad opera del destinatario, ovvero la produzione del secondo avviso di ricevimento, quello concernente la raccomandata informativa: siffatta comunicazione, tenuto conto del suo contenuto (riferito unicamente alle attività svolte dall'agente postale, senza alcuna notizia sull'intrinseco dell'atto notificato), configura soltanto una modalità di rafforzamento dell'iter notificatorio già perfezionatasi. Ad opposte conclusioni perviene altro orientamento, emerso più di recente nella giurisprudenza di legittimità della Corte di Cassazione, compendiato dal principio di diritto per cui «in tema di notificazione a mezzo posta, la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio nel caso di irreperibilità relativa del destinatario deve avvenire attraverso l'esibizione in giudizio dell'avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito (c.d. C.A.D.), in quanto solo l'esame di detto avviso consente di verificare che il destinatario abbia avuto effettiva conoscenza del deposito dell'atto presso l'ufficio postale e che ne sia stato pertanto tutelato il diritto di difesa» (è questa la massima ufficiale di Cass. 21/02/2019, n. 5077, da ritenere la pronuncia capofila dell'orientamento, seguita poi da Cass. 20/06/2019, n. 16601, e da Cass. 05/03/2020, n. 6363). Alla dichiarata ricerca di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 8 in disamina, quest'approccio ermeneutico reputa «imprescindibile» per il vaglio di regolarità della notifica, l'esibizione in giudizio anche dell'avviso di ricevimento relativo alla raccomandata contenente la C.A.D., «in considerazione del fatto che solo la verifica dell'effettivo e corretto inoltro di tale avviso di ricevimento a cura dell'ufficiale postale consente di acquisire la prova che sia stata garantita al notificatario l'effettiva conoscenza dell'avvenuto deposito dell'atto presso l'ufficio postale». Premesso che «le garanzie di conoscibilità dell'atto da parte del destinatario, perché sia assicurata una reale tutela al diritto di difesa riconosciuto dall'art. 24 Cost., devono essere ispirate ad un criterio di effettività» si evidenzia che «dall'avviso di ricevimento, e dalle annotazioni che l'agente postale appone su di esso quando lo restituisce al mittente, può emergere che la raccomandata non è stata consegnata perché il destinatario risulta trasferito, oppure deceduto o, ancora, per altre ragioni le quali comunque rivelano che l'atto in realtà non è pervenuto nella sfera di conoscibilità dell'interessato e che, dunque, l'effetto legale tipico, a tale evento ancorato, non si è prodotto». L'ulteriore adempimento processuale gravante sul notificante (ed il conseguente controllo giudiziale) è postulato, implicitamente ma inequivocabilmente, dalla previsione normativa che impone la spedizione della C.A.D. con raccomandata non semplice (come, invece, stabilito da altre norme: art. 139, terzo comma, cod. proc. civ.) bensì corredata da avviso di ricevimento (assoggettato peraltro alle disposizioni del regolamento postale ordinario), il quale deve, pertanto, essere allegato all'originale dell'atto, a pena di nullità della notifica. In tale impostazione, il perfezionamento della notifica per il destinatario con il decorso di dieci giorni dalla spedizione della raccomandata della C.A.D. degrada ad «effetto provvisorio o anticipato, destinato a consolidarsi con l'allegazione dell'avviso di ricevimento, le cui risultanze possono confermare o smentire che la notifica abbia raggiunto lo scopo cui era destinata». L'illustrato contrasto nella giurisprudenza della Corte di Cassazione rende non più differibile un pronunciamento della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nella sua più tipica espressione di organo della nomofilachia, così come richiesto dalla Corte di Cassazione – Sezione Tributaria Civile – con l’ordinanza interlocutoria n. 21714 depositata in cancelleria l’08 ottobre 2020. Lecce, 24 ottobre 2020

                            Avv. Maurizio Villani
                            Avv. Antonella Villani

AVV. MAURIZIO VILLANI Avvocato Tributarista in Lecce Patrocinante in Cassazione www.studiotributariovillani.it - e-mail avvocato@studiotributariovillani.it


Superbonus 110% - La pignorabilità del credito fiscale dei condòmini

1.Premessa- 2. La comunicazione dell’opzione per la cessione o per lo sconto in luogo delle detrazioni fiscali - 2.1 Attestazioni e asseverazioni per la comunicazione dell’opzione - 2.2 Termini per la comunicazione dell’opzione all’Agenzia delle Entrate- 2.3 Soggetti che effettuano la comunicazione dell’opzione per gli interventi eseguiti nei condomini- 3. Il contratto di cessione di un credito d’imposta (futuro)-4. Pignorabilità o sequestro di un credito d’imposta anche futuro- 5. Conclusioni.

1.Premessa Nel presente contributo, dopo un inquadramento dei termini e dei presupposti per la comunicazione dell’opzione per la cessione o per lo sconto in luogo delle detrazioni pari al 110%, si affronterà la quaestio iuris della facoltà per il Condominio di recuperare quanto dovuto dal condòmino moroso-previa comunicazione dell’amministratore di condominio all’Agenzia delle Entrate dell’esercizio del diritto di opzione di cessione del credito d’imposta da parte del condomino moroso-di procedere al pignoramento di un credito d’imposta futuro previsto dall’art. 121 D.L. n.34/2020. L’analisi di tale quaestio iuris ha innestato ulteriori riflessioni strettamente collegate, quali la cessione dei crediti futuri e, in particolare, la pignorabilità presso terzi di un credito d’imposta.

2.La comunicazione dell’opzione per la cessione o per lo sconto in luogo delle detrazioni fiscali Il superbonus, ex art. 119 D.L.n.34/2019 (convertito con modifiche dalla L.n.77/2020), è una detrazione pari al 110% della spesa documentata e rimasta a carico del contribuente, sostenuta dal 1° luglio 2020 fino al 31 dicembre 2021, che può essere scontata dalle imposte sui redditi o usata in compensazione nel modello F24 in cinque rate annuali. Tuttavia, il legislatore ha previsto al comma 1 dell’art. 121 del D.L.n.34/2020 la possibilità per i soggetti che sostengono, negli anni 2020 e 2021, spese per gli interventi elencati al comma 2 dello stesso articolo, di optare, in luogo dell'utilizzo diretto della detrazione spettante, alternativamente: • per un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, fino a un importo massimo pari al corrispettivo stesso, anticipato dai fornitori che hanno effettuato gli interventi e da questi ultimi recuperato sotto forma di credito d'imposta, di importo pari alla detrazione spettante, con facoltà di successiva cessione del credito ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari; • per la cessione di un credito d'imposta di pari ammontare, con facoltà di successiva cessione ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari. Il credito d’imposta è pari alla detrazione spettante, calcolata tenendo conto delle spese complessivamente sostenute nel periodo d’imposta, comprensive dell’importo non corrisposto al fornitore per effetto dello sconto praticato. Inoltre, il comma 1-bis dell’art.121 D.L. n.34/2020 nonchè il provvedimento direttoriale dell’Agenzia delle Entrate, prot n.283847/2020 dell’8 agosto 2020, al punto 1.3, prevedono che l’opzione può essere esercitata in relazione a ciascuno stato di avanzamento dei lavori. Per gli interventi di cui all’art. 119 D.L. n.34/2020, gli stati di avanzamento dei lavori non possono essere più di due per ciascun intervento complessivo e ciascuno stato di avanzamento deve riferirsi ad almeno il 30% del medesimo intervento. L’esercizio del diritto di opzione, sia per gli interventi eseguiti sulle unità immobiliari, sia per gli interventi eseguiti sulle parti comuni degli edifici, deve essere comunicato all’Agenzia delle Entrate utilizzando il modello allegato al provvedimento dell’08/08/2020 dell’Agenzia delle Entrate, denominato “Comunicazione dell’opzione relativa agli interventi di recupero del patrimonio edilizio, efficienza energetica, rischio sismico, impianti fotovoltatici e colonnine di ricarica”(approvato unitamente alle relative istruzioni). 2.1 Attestazioni e asseverazioni per la comunicazione dell’opzione Ai fini dell’opzione per la cessione o per lo sconto, in alternativa alle detrazioni spettanti nella misura del 110 per cento, il contribuente deve acquisire: • per gli interventi di efficienza energetica (di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 119 del decreto Rilancio), l’asseverazione tecnica che certifichi il rispetto dei requisiti tecnici necessari ai fini delle agevolazioni fiscali e la congruità delle spese sostenute in relazione agli interventi agevolati. Una copia dell’asseverazione deve essere trasmessa, esclusivamente per via telematica, all’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), secondo le modalità stabilite con il decreto “Asseverazioni” del Ministro dello sviluppo economico del 6 agosto 2020; • per gli interventi di riduzione del rischio sismico (di cui al comma 4 dell’articolo 119 del decreto Rilancio), l’asseverazione rilasciata dai professionisti incaricati della progettazione strutturale, della direzione dei lavori delle strutture e del collaudo statico, secondo le rispettive competenze professionali, iscritti agli ordini o ai collegi professionali di appartenenza, in base alle disposizioni del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n. 58/2017 e successive modificazioni, che certifichi il rispetto dei requisiti tecnici necessari ai fini delle agevolazioni fiscali e la congruità delle spese sostenute in relazione agli interventi agevolati; • il visto di conformità dei dati relativi alla documentazione che attesta la sussistenza dei presupposti che danno diritto alla detrazione d’imposta, rilasciato dagli intermediari abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni (dottori commercialisti, ragionieri, periti commerciali e consulenti del lavoro) nonché dai CAF. Si sottolinea, inoltre, che il soggetto che rilascia il visto di conformità verifica che i professionisti incaricati abbiano rilasciato le asseverazioni e attestazioni e che gli stessi abbiano stipulato una polizza di assicurazione della responsabilità civile. 2.2 Termini per la comunicazione dell’opzione all’Agenzia delle Entrate La comunicazione dell’opzione deve essere inviata entro il 16 marzo dell’anno successivo a quello di sostenimento delle spese per cui viene esercitata l’opzione. Per le spese sostenute nel 2020, la comunicazione può essere trasmessa a partire dal 15 ottobre 2020. La comunicazione della cessione del credito relativa alle rate di detrazione non fruite deve essere inviata entro il 16 marzo dell’anno di scadenza del termine ordinario di presentazione della dichiarazione dei redditi in cui avrebbe dovuto essere indicata la prima rata ceduta non utilizzata in detrazione. La comunicazione dell’opzione della cessione o dello sconto in fattura può essere inviata: • per gli interventi di efficienza energetica (di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 119 D.L. n.34/2020): a decorrere dal quinto giorno lavorativo successivo al rilascio da parte dell’ENEA della ricevuta di avvenuta trasmissione dell’asseverazione prevista; • per gli interventi di riduzione del rischio sismico (di cui al comma 4 dell’articolo 119 del D.L.n.34/2020): successivamente al deposito dell’asseverazione presso lo sportello unico competente di cui all’articolo 5 del D.P.R. n. 380/2001.

2.3 Soggetti che effettuano la comunicazione dell’opzione per gli interventi eseguiti nei condomini Una volta chiariti i termini e i presupposti per l’esercizio del diritto di opzione, giova effettuare un focus sulla comunicazione dell’opzione per gli interventi sulle parti comuni degli edifici, anche valutando le eventuali strade percorribili dal Condominio per recuperare, attraverso il credito d’imposta previsto dalla procedura del Superbonus, quanto dovutogli dal condòmino moroso. Tanto premesso, è opportuno dapprima indicare i soggetti incaricati della comunicazione per gli interventi eseguiti sulle parti comuni. a) Relativamente agli interventi eseguiti sulle parti comuni degli edifici, la comunicazione è inviata: • direttamente dall’amministratore di condominio; • oppure da un intermediario di cui all’articolo 3, comma 3, D.P.R. n. 322/1998, esclusivamente mediante i canali telematici dell’Agenzia delle entrate. Nel caso in cui, ai sensi dell’articolo 1129 c.c., non vi è obbligo di nominare l’amministratore del condominio e i condòmini non vi abbiano provveduto, la comunicazione è inviata da uno dei condòmini a tal fine incaricato. Nei casi di esercizio dell’opzione per le rate residue non fruite delle detrazioni riferite alle spese sostenute negli anni 2020 e 2021, la comunicazione è inviata dal condòmino, direttamente o avvalendosi di un intermediario di cui all’articolo 3, comma 3, D.P.R. n. 322/1998. b) In relazione agli interventi che danno diritto alla detrazione di cui all’articolo 119 D. L. n. 34/ 2020, la comunicazione relativa agli interventi eseguiti sulle parti comuni degli edifici può essere inviata, esclusivamente mediante i canali telematici dell’Agenzia delle entrate: • dal soggetto che rilascia il visto di conformità.; • dall’amministratore del condominio, direttamente oppure avvalendosi di un intermediario di cui all’articolo 3, comma 3, del D.P.R. n. 322/1998. Nel caso in cui, ai sensi dell’articolo 1129 c.c., non vi è obbligo di nominare l’amministratore del condominio e i condòmini non vi abbiano provveduto, la comunicazione è inviata da uno dei condòmini a tal fine incaricato. In tali casi, il soggetto che rilascia il visto, mediante apposito servizio web disponibile nell’area riservata del sito internet dell’Agenzia delle Entrate, è tenuto a verificare e validare i dati relativi al visto di conformità e alle asseverazioni e attestazioni. Tanto chiarito, occorre evidenziare che il condòmino beneficiario della detrazione che cede il credito (se i dati della cessione non sono già indicati nella delibera condominiale) deve comunicare tempestivamente all’amministratore del condominio l’avvenuta cessione del credito e la relativa accettazione da parte del cessionario, indicando, oltre al proprio codice fiscale, l’ammontare del credito ceduto e il codice fiscale del cessionario. Per di più, i predetti dati dell’accettazione da parte del cessionario della cessione del credito, nel caso in cui, ai sensi dell’articolo 1129 c.c., non vi è obbligo di nominare l’amministratore del condominio e i condòmini non vi abbiano provveduto, sono comunicati al condòmino incaricato di inviare la Comunicazione all’Agenzia delle Entrate. L’amministratore del condominio, una volta notiziato dell’accettazione del cessionario, comunica ai condòmini che hanno effettuato l’opzione il protocollo telematico della comunicazione; ossia che lo stesso amministratore o un suo intermediario deve effettuare la comunicazione dell’esercizio del diritto di opzione all’Agenzia delle Entrate, esclusivamente mediante i canali telematici. Orbene, dopo l’invio della comunicazione è rilasciata, entro 5 giorni, una ricevuta che ne attesta la presa in carico, ovvero lo scarto, con l’indicazione delle relative motivazioni. In ultimo, qualora la comunicazione dell’esercizio dell’opzione non avvenga nei termini e con le modalità previste dal citato provvedimento direttoriale dell’Agenzia delle Entrate, l’opzione è inefficace nei confronti dell’Agenzia delle Entrate.

  1. Il contratto di cessione di un credito d’imposta (futuro) Ebbene, nel paragrafo precedente si è esaminata l’ipotesi degli interventi eseguiti sulle parti comuni in cui condòmino beneficiario della detrazione che cede il credito d’imposta deve comunicare tempestivamente all’amministratore di condominio l’avvenuta cessione del credito e la relativa accettazione da parte del cessionario. A questo punto ci si è chiesti se è possibile effettuare la cessione di un credito d’imposta futuro; a tal fine giova inquadrare dal punto di vista civilistico la cessione del credito d’imposta. La cessione del credito rappresenta una delle principali fattispecie di modificazione del rapporto obbligatorio sul piano soggettivo e, segnatamente, dal lato creditorio. Tale istituto è disciplinato dagli artt. 1260 e ss. c.c; esso è un contratto bilaterale in forza del quale il creditore originario (detto “cedente”) trasferisce la titolarità del proprio diritto ad altro soggetto, il quale prende il nome di “cessionario”. Alla luce della succitata definizione, emerge con evidenza l’estraneità del debitore ceduto rispetto alla vicenda della cessione; si precisa che, quanto enunciato al comma 1 dall’art. 1264 c.c., ovvero“ la cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata”, deve essere inteso quale mera dichiarazione di scienza, in funzione di garanzia del soggetto obbligato ad adempiere, affinché possa avere consapevolezza che, ai fini della propria liberazione, il debitore ceduto dovrà eseguire la propria prestazione a vantaggio del cessionario e non più del cedente. Tuttavia, anche prima della notificazione, il debitore che paga al cedente non è liberato, se il cessionario prova che il debitore medesimo era a conoscenza dell'avvenuta cessione. Posto che il contratto di cessione ha effetti traslativi immediati (ossia, in ossequio al principio consensualistico, il diritto si trasferisce immediatamente, in virtù del consenso legittimamente manifestato dalle parti), occorre analizzare tale fattispecie contrattuale in relazione all’art. 1346 c.c., sui requisiti dell’oggetto del contratto, che prevede oltre alla possibilità e alla liceità, anche la sua determinatezza o determinabilità. Tanto premesso, si sono sollevati dei dubbi interpretativi per quanto riguarda i crediti incerti, ossia quelli connotati da incertezza, potendo venire o meno a esistere. Sul punto la giurisprudenza più risalente ha ritenuto che rientrano nel concetto di determinabilità tutti quei crediti che, seppur indeterminati e incerti nel loro ammontare, erano definiti e determinati nell’origine (Cass. n. 4040/1990); così facendo, tuttavia, si creava un’eccessiva delimitazione dell’ambito di operatività del contratto di cessione, restandovi esclusi tutti quei crediti eventuali, astratti o sperati. Per tale ragione, successivamente, i giudici di legittimità per allargare il confine della cessione del credito, hanno affermato l’importanza di valorizzare la norma dell’art. 1384 c.c., laddove con riferimento alle “cose future”, dando un’interpretazione estensiva della norma de qua, potevano rientrarvi anche i crediti futuri (Cass. n. 5141/2002); da ciò ne discende che possono rientrare nel novero dei crediti futuri non solo quelli inerenti a una fonte certa, ma anche tutte quelle situazioni di aspettativa riguardanti la venuta ad esistenza di un credito. Alla luce di tanto, si è ritenuta configurabile la cessione di crediti futuri sia in presenza di un’eventualità astratta che concreta. A tal proposito, di recente è intervenuto il Supremo Consesso, con sentenza n. 31896/2018, dirimendo qualsivoglia dubbio interpretativo, statuendo che “non esiste una norma che vieta la disponibilità dei diritti futuri perché meramente eventuali, bastando che, nel negozio dispositivo, sia individuata o sia determinata (o determinabile) la fonte dei crediti perché automaticamente siano ricompresi nella vicenda traslativa quelli che da tale fonte deriveranno (e non solo nel caso in cui oggetto del negozio sia un singolo credito futuro, ma anche in quello in cui ne sia oggetto una pluralità di essi)”. Venendo al caso di cui trattasi, il condòmino beneficiario della detrazione può cedere il proprio credito d’imposta(credito futuro) comunicando tempestivamente all’amministratore del condominio l’avvenuta cessione del credito e la relativa accettazione da parte del cessionario; a sua volta, l’amministratore di condominio provvede a comunicare- a partire dal 15 ottobre 2020(per le spese sostenute nel 2020) o entro il 16 marzo dell’anno successivo a quello di sostenimento delle spese per cui viene esercitata l’opzione- l’opzione della cessione del credito dopo che sia stato reso edotto dal condòmino beneficiario della detrazione. Giova sottolineare, come in tale frangente-ossia nelle more della comunicazione da parte dell’amministratore di condominio all’Agenzia delle Entrate dell’esercizio del diritto d’opzione del condòmino beneficiario- il condominio possa pignorare (qualora in possesso di un titolo esecutivo) o attuare un sequestro preventivo sul credito d’imposta futuro del condòmino moroso. A tal proposito, prima di esaminare tale quaestio iuris nel dettaglio, appare opportuno affrontare il tema della pignorabilità dei crediti futuri e, in particolare, la pignorabilità presso terzi di un credito d’imposta. 4.Pignorabilità o sequestro di un credito d’imposta anche futuro Il tema della pignorabilità o meno di un credito futuro sottoposto a condizione o, comunque, incerto ed eventuale, è stato più volte oggetto delle pronunce della giurisprudenza di legittimità. A riguardo, si precisa sin da subito che, è fuori da ogni dubbio che nel caso di cessione di crediti futuri il credito si trasferisca in capo al cessionario soltanto nel momento in cui il credito stesso venga in essere; precisamente, è di tutta evidenza che l’effetto traslativo si produca soltanto quando il credito venga effettivamente ad esistenza e che, pertanto, la cessione di crediti futuri, abbia effetti non traslativi reali, ma meramente obbligatori. Tanto premesso, il legislatore ha consentito la pignorabilità di crediti futuri, chiarendo nel codice di che il credito, affinchè possa essere oggetto di pignoramento e, quindi, concretamente pignorabile, debba essere certo e liquido. Più nel dettaglio, l’art. 553, commi 1 e 2, espressamente esclude la necessità del requisito della esigibilità, così enunciando: “se il terzo si dichiara o è dichiarato debitore di somme esigibili immediatamente o in termine non maggiore di novanta giorni, il giudice dell’esecuzione le assegna in pagamento, salvo esazione ai creditori concorrenti. Se le somme dovute dal terzo sono esigibili in termine maggiore, o si tratti di censi o di rendite perpetue o temporanee, e i creditori non ne chiedano d’accordo l’assegnazione, si applicano le regole richiamate per la vendita delle cose mobili”. Dall’esegesi dello stesso articolo 553 c.p.c., si deduce che, lo stesso, nel citare la pignorabilità dei censi e delle rendite (crediti periodici i cui ratei probabilmente non verranno a maturazione), pone il problema della pignorabilità dei crediti futuri. Anche la giurisprudenza di legittimità è stata unanime sul punto, ritenendo pignorabili anche i crediti futuri, atteso che l’esigibilità del credito non è condizione della sua pignorabilità; difatti, oggetto dell’espropriazione forzata non è tanto un bene suscettibile di esecuzione immediata, quanto una posizione giuridica attiva dell’esecutato. Da ciò ne consegue che, il credito futuro, per quanto ancora inesigibile ed illiquido, ha la concreta possibilità di essere soddisfatto, e pertanto è pignorabile (Cass. Civ. n.15141/2002; Cass. Civ.n. 19501/2009; Cass. Civ. n.28300/2005; Cass.n.19967/2005; Cass. Civ., n. 17590/2005; Cass.Civ. n. 5235/2004; Cass. Civ. n. 6422/2003; Cass .Civ .n. 15141/2002; Cass. Civ. n. 9997/1996; Cass.Civ.n.9027/1987). Tanto chiarito, l’espropriazione presso terzi, in difetto di espressa deroga, può configurarsi anche con riguardo a crediti illiquidi o condizionati ma suscettibili di una capacità satisfattiva futura (o per via di assegnazione, o per via di vendita e successiva aggiudicazione), concretamente prospettabile nel momento della assegnazione. Quanto sin qui argomentato si applica anche nell’ipotesi di detrazione delle spese a carico del contribuente per gli interventi previsti dall’art. 119 D.L.n.34/2020. 5.Conclusioni Alla luce delle coordinate legislative e giurisprudenziali sin qui delineate, venendo al caso specifico del credito d’imposta oggetto dell’esercizio dell’opzione di cessione del credito da parte del condòmino beneficiario della detrazione e, più nel dettaglio, alla questione se tale credito d’imposta possa essere oggetto di pignoramento presso terzi(qualora vi sia il titolo esecutivo) o di sequestro giudiziario ex art. 670 c.p.c. da parte del Condominio, sulla base del fatto che il credito de qua è liquido e certo, si osserva quanto segue. Il credito d’imposta ceduto in alternativa alle detrazioni spettanti nella misura del 110 per cento, è un credito liquido e certo, atteso che il contribuente deve essere in possesso del visto di conformità e delle asseverazioni tecniche per comunicare l’opzione. Sul punto, giova precisare che il pignoramento presso terzi dei crediti d'imposta è tendenzialmente consentito, alla luce del fatto che non vi sono disposizioni generali o speciali dell'ordinamento tributario che escludono tale possibilità. E’ pacifico in ambito tributario che il pignoramento presso terzi dei crediti d'imposta è consentito salva l'ipotesi in cui il debitore esecutato abbia utilizzato il credito in compensazione. Pertanto, nell’ipotesi in cui il credito d’imposta sia stato formalmente riconosciuto dall’Agenzia delle Entrate, o accertato con sentenza passata in giudicato, esso è pignorabile, e pertanto l’Agenzia delle Entrate, alla quale è stato notificato il pignoramento, sarà tenuta a rendere dichiarazione ex art. 547 c.p.c. di sussistenza del debito nei confronti del contribuente (debitore esecutato). Dopo tali dovute premesse e a seguito della ricognizione normativa e giurisprudenziale sulla cessione di crediti d’imposta futuri, ne discende che il Condominio, prima di dare comunicazione all’Agenzia delle Entrate dell’esercizio dell’opzione di cessione- qualora venga avvisato tempestivamente dal condòmino beneficiario della detrazione dell’avvenuta cessione del credito e della relativa accettazione da parte del cessionario, ha la possibilità di recuperare i crediti del condòmino moroso attraverso il credito d’imposta ceduto attraverso la procedura del superbonus. Il Condominio può prospettate tre possibilità al condòmino moroso per rendere solvibile la sua situazione debitoria: • ricorrere in giudizio intraprendendo la procedura di esecuzione forzata del pignoramento presso terzi, qualora il Condominio sia già in possesso di un titolo esecutivo (sentenza passata in giudicato; decreto ingiuntivo ecc.), oppure proporre ricorso ex art. 670 c.p.c nei confronti dell’Agenzia delle Entrate per ottenere il sequestro giudiziario di un credito d’imposta futuro. • valutare la convenienza di cessione del credito d’imposta del condòmino moroso al Condominio; • il condòmino moroso beneficiario della detrazione può cedere tale credito d’imposta a terzi sino all’ammontare della somma da corrispondere al Condominio per estinguere il suo debito. In conclusione, a parere dello Scrivente, l’amministratore di condominio, nel momento in cui venga reso edotto da un condòmino moroso dell’avvenuta accettazione da parte del cessionario della cessione del credito d’imposta, prima di comunicare all’Agenzia delle Entrate l’opzione( la cui comunicazione rende efficace l’esercizio del diritto di opzione), può cogliere l’opportunità di recuperare attraverso la procedura del superbonus i crediti vantati nei confronti del condòmino debitore, attraverso le tre vie alternative innanzi illustrate.

Lecce, 15/10/2020

Avv. Maurizio Villani Avv. Lucia Morciano