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Arx Vivendi, un progetto tra memoria ed accoglienza

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Un monastero del XVII sec. sul Lago di Garda viene riconvertito a struttura ricettiva all’insegna del benessere e della meditazione.

Il progetto condotto dal team di noa network of architecture trasforma infatti l’antico monastero delle Serve di Maria Addolorata della città di Arco edificato da Leopoldo d’Austria, sottoposto a vincolo, secondo una linea di intervento che asseconda le tracce del passato. Parte dell’edificio, con le sue alte mura ed il suo giardino interno, ha mantenuto la sua antica funzione di luogo di clausura, così come resta l’antica chiesa. Ci si è concentrati infatti sull’ala Ovest, i lavori si sono conclusi nell’arco di circa un anno con il contributo della Soprintendenza per i Beni Culturali di Trento. Uno dei connotati principali della struttura, ovvero il suo rigore formale diventa punto di forza e di partenza ai fini progettuali, come racconta l’architetto Francesco Padovan, del team noa*:

“La grandiosità e il rigore delle architetture, i lunghi corridoi, i soffitti a volta, tutto concorre a dare a questi spazi un carattere fuori dal tempo. Una filosofia progettuale che ci ha guidato e aiutato a mantenere la chiarezza compositiva, statica e visiva, che rende il monastero un luogo davvero speciale".

Emerge una spiccata attenzione al dettaglio, alla scelta di colori e materiali da impiegare, al mantenimento dei percorsi originari e alla volontà di adeguare a tali criteri i nuovi volumi. La struttura, dunque, offre 37 camere standard, 3 suites ed un’area wellness realizzata ex novo ispirata alla ruralità del territorio. Le strutture vetrate dell’area, infatti, corroborano il rapporto fra la storia antica del monastero con quella del paesaggio rurale che lo circonda. Il carattere spirituale della struttura ben si sposa con l’offerta ricettiva predisposta, aggiunge infatti Padovan:

“È un rifugio capace di offrire esperienze antiche, valorizzando al massimo la particolarità e la storia del luogo. Dove ogni scelta costruttiva, ogni materiale e dettaglio sono stati studiati per trarre forza dalla monumentalità del contesto preesistente, esaltandola e portandola a nuova vita.”

I tre livelli del monastero presentano una differente configurazione interna, in particolare al piano terra si sono voluti valorizzare i percorsi esistenti, dunque la reception, la sala colazione e una sala lettura si susseguono linearmente lungo i corridoi voltati a crociere; sullo stesso corridoio affacciano il bar ed una cucina. Infine, al piano terra è presenta un delle tre suites, dotata di un giardino privata a disposizione degli ospiti.

Il primo piano è connotato dalle travi lignee che corrono lungo il corridoio centrale, dove trovano posto le altre camere, ricavate dalla fusione delle celle monastiche. Anche al secondo piano, il sottotetto, sono state restaurate le capriate di copertura e ricavate ulteriori stanze.

"Si va dagli spazi concentrici del piano terra al maestoso corridoio del primo piano, alla selva di travi lignee del sottotetto. Su questa varietà di ambienti abbiamo lavorato, definendo soluzioni che non alterassero i diversi disegni, ma ne restituissero rafforzati il fascino e l’originalità".

A completamento dell’opera una grande importanza ha rivestito il progetto degli arredi che vede scelte mirate, su misura, con l’impiego delle tonalità del bianco, del grigio e del nero e sfrutta i soffitti ed i decori esistenti, conservati e restaurati. Come afferma l’interior designer del gruppo di progettazione, Niccolò Panzani:

"La cura del dettaglio, il disegno su misura, ci consentono di offrire un progetto sempre unico, esclusivo, mai ripetitivo, creato ad hoc per il committente, ma qui, l’eccezionalità del luogo ha ulteriormente plasmato le nostre scelte, per restituire quel senso di pace e di tranquillità che il monastero ha custodito per secoli”.


La Pilotta, una rivoluzione per gli istituti museali di Parma

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Oggetto di un progetto di rigenerazione dell’esistente è il singolare complesso monumentale emiliano, costituito da ben 5 istituti museali, punto di riferimento culturale a scala europea.

Si tratta del Teatro Farnese, della Biblioteca Palatina, della Galleria Nazionale, del Museo Bodoniano e del Museo Archeologico uniti sotto il nome di un’istituzione autonoma dal 2017.

Alle origini era sede dei servizi della corte dei Farnese, quale integrazione delle residenze ducali, un progetto del 1583, durante gli ultimi anni del ducato di Ottavio Farnese (1547-1586) su progetto dell’urbinate Francesco Paciotto. Si tratta di una vera e propria cittadella, con un articolato sistema di corridoi e cortili interni con scuderie, caserme, una sala d’armi. Il complesso prende il nome dal gioco nobiliare della “pelota” che si svolgeva nei suoi cortili in particolari occasioni di rappresentanza.

Nello stesso anno a guidare un innovativo ed articolato cantiere fisico e delle “idee” per il Pilotta è lo storico dell’arte Simone Verde, che così descrive il complesso alle porte del nucleo storico della città:

“Una delle rarissime sopravvivenze degli esperimenti che, a cavallo tra XVI e XVII secolo, condussero all’invenzione moderna del museo, il complesso si andò organizzando attorno a un gabinetto ducale, a collezioni librarie di corte e a una sala d’armi trasformata in seguito in teatro, arricchita da uno scalone monumentale dall’alta dimensione teocratica”.

Uno degli obiettivi primari era quello di valorizzare l’integrazione del Pilotta con il contesto territoriale ed al tempo stesso di elevarlo ad istituzione di valenza internazionale secondo una serie di operazioni integrate e parallele quali restauri, riallestimenti, acquisizioni ed adeguamenti.

Di fondamentale importanza è stata dunque anche la collaborazione con le istituzioni locali, imprenditori, associazioni e con le testate giornalistiche locali. La stessa fusione delle istituzioni museali, più che un’operazione burocratica, ma è un’operazione che mira ad unificare la percezione stessa del polo quale unica entità, o come meglio spiega Verde:

“È stata l’opportunità per riscoprire, attraverso la ricucitura filologica dei vari istituti, l’ottica intellettuale originaria con cui le raccolte sono state costituite, per poi essere smembrate verso la fine dell’Ottocento secondo le logiche ‘per generi’ – architettonici, librari, artistici – tipici della metodologia positivista”.

Uno dei primi interventi ha riguardato gli spazi di connessione del complesso, nello specifico lo scalone monumentale è stato restaurato e sono state realizzate delle biglietterie, al contrario per il vestibolo del teatro l’ex biglietteria ed un magazzino sono stati restaurati e trasformati in sale espositive. Il parcheggio che si trovava nel cortile esterno della Cavallerizza è stato eliminato e l’area riqualificata. Altro intervento ha come fil rouge la riconnessione tra il contenuto ed il contenitore, sono stati infatti rimossi i vetri oscuranti per lasciar posto a chiusure che non urtino la vista interna dell’edificio, ed è stato riportato alla luce il soffitto ligneo del Museo Archeologico. Infine, l’ordinamento delle sezioni ha richiesto un’attenzione particolare, le sezioni partono dal paleolitico per arrivare al tardo antico, passando poi per la Galleria si arriva al romanico ed in ultimo al gotico.


Palazzo Maffei, la Casa-Museo veronese

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Un sistema museale in via di sviluppo che amplia il suo spazio espositivo rinnovandosi quale imprescindibile polo attrattivo per i visitatori. Il progetto Casa-Museo, nato per esporre la Collezione Carlon, si apre al pubblico dopo un anno e mezzo trascorso dalla sua prima inaugurazione.

Il Palazzo barocco, posto sul lato nord-occidentale, funge da quinta scenografica e fulcro per lo sviluppo allungato degli edifici che affacciano sulla Piazza delle Erbe di Verona. La stessa facciata del Palazzo Maffei, quelle delle corti interne e la scala elicoidale di connessione verso il piano nobile sono state interessate da un restauro, così come sono stati effettuati interventi non invasivi di consolidamento delle parti strutturali ed un adeguamento impiantisco, una volta acquisito l’edificio da parte della famiglia Carlon.

L’allestimento museologico e museografico del Palazzo ha previsto una rimodulazione degli spazi interni al fine di rendere il percorso strutturato più fluido e senza barriere architettoniche. L’ordinamento è stato progettato dalla direttrice della Fondazione Musei Civici di Venezia, Gabriella Belli, la progettazione complessiva è stata curata invece dallo studio Baldessari e Baldessari già intervenuto sugli Archivi del 900 di Rovereto.

L’innovazione del sistema illuminotecnico e del controllo climatico ben si sposa con l’antico, in una mescolanza ben riuscita fra l’eclettica collezione di Luigi Carlon e gli apparati decorativi del palazzo. Le opere esposte sono in totale 350 tra cui dipinti, sculture, disegni e oggetti d’arte applicata (mobili d’epoca, vetri antichi, ceramiche rinascimentali e maioliche sei-settecentesche, argenti, avori, manufatti lignei, pezzi d’arte orientale, rari volumi).

Al primo piano il percorso è in sequenza cronologica e il visitatore viene accolto da un’installazione in neon blu. Al secondo piano sono esposte opere legate dal Futurismo e alla Metafisica che riconducono agli interessi del collezionista. Ultima tappa la project room per l’arte contemporanea per le nuove generazione, al momento è esposto il “tecnofiore” dell’architetto e designer Daan Roosegaarde.

Il corpus esposto sarà mutevole, come racconta lo stesso Luigi Carlon: “Varierà nel tempo: molte opere ad esempio non sono state esposte per problemi legati agli spazi. Palazzo Maffei ospiterà circa 350 opere, ma la collezione ne conta almeno altre 100. Ci sarà una rotazione. Poi abbiamo intenzione di fare mostre, anche monografiche. Abbiamo riservato delle stanze per il settore dell’education, inoltre abbiamo una biblioteca molto fornita, che ho costruito io nel tempo fino ad arrivare a 500 volumi. Stiamo affrontando in modo non passivo l’operazione. Vorrei che Palazzo Maffei diventasse qualcosa che vive per la città per i giovani.”


Tanzhaus Zürich, una monumentalità sentimentale.

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La scuola di danza e centro culturale Tanzhaus di Zurigo torna a vivere con il progetto di Barozzi Veiga definendo nuovi connotati per il lungofiume.

L’edificio era andato distrutto a causa di un incendio nel 2012, successivamente nel 2014 è stato bandito un concorso internazionale, promosso dall’ente committente Eigentümerin Immobilien Stadt Zürich, vinto dai due architetti Fabrizio Barozzi e Alberto Veiga per un budget di approssimativamente 12.960.000 €.

Si estende per circa 1.500 metri quadrati e costituisce un esemplare caso di ricucitura del tessuto urbano, le aperture trapezoidali, i pieni e i vuoti enfatizzano il rapporto dell’edificio con il contesto, integrando perfettamente il nuovo con il vecchio. Come affermano i progettisti:

“La scelta della forma trapezoidale delle aperture è il risultato di una rivisitazione del tradizionale sistema ortogonale di pilastri, travi e finestre rettangolari. Una forma, quella del trapezio, a cui si è arrivati come sintesi tra la passeggiata lungo la riva e la passeggiata del foyer”.

Si sviluppa su due livelli e gli ambienti affacciano sul portico discretizzato, al piano inferiore sono sistemati una serie di ambienti di servizio: una sala ricreativa, uffici, guardaroba ecc. al piano superiore invece, si sviluppano gli ambienti principali dell’edificio. Un secondo porticato, arretrato rispetto a quello inferiore, ospita il foyer con caffetteria su cui affacciano l’auditorium per spettacoli, due sale di produzione, ed una sala prove oltre che a ulteriori servizi e locali tecnici. La grande permeabilità tra estero ed interno non si sottrae tuttavia al mantenimento degli standard climatici dell’edificio.

La facciata strutturale, spessa 68 cm, realizzata con cemento isolante nella sua essenzialità permette da un lato di proteggere il nucleo interno, prescindendo dall’impiego di sistemi oscuranti, e dall’altro di connotare, attraverso il susseguirsi dei trapezi, la sponda del fiume Limmat. Ulteriore espediente per limitare il passaggio delle radiazioni solari è la piantumazione di piante rampicanti che nella stagione invernale diradandosi, permettono alla luce solare di entrare e nella stagione estiva di mantenere i valori normativi.

La realizzazione durata tre anni termina nel 2019 riaprendo finalmente al pubblico quella che è un’istituzione per il mondo della danza contemporanea.


Porto di Knubben, reinventato da Snøhetta il lido anni ’30

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In Norvegia un’antica piattaforma sul porto viene riproposta secondo una rivisitazione del celebre studio Snøhetta.

Nella regione norvegese di Arendal un caratteristico avamposto sull’acqua, comunemente definiti “harbour bath”, viene realizzato già nel 1937, anno in cui Ketil Ugland progettò una piattaforma per l’Arendal Swimming Club, tra le isole Tromøy e Hisøy. La struttura modernista era provvista anche di piattaforma per i tuffi alta 10 metri, piscine, spogliatoi ed un chiosco. Venne utilizzata per circa dieci anni per attività subacquee e gare agonistiche, successivamente venne reimpiegato quale jazz club ed infine demolita nel 1980.

Inizialmente ci si sarebbe dovuti attenere ad un semplice lavoro di restauro di quello che è un esempio dell’architettura funzionalista norvegese; tuttavia, le forti potenzialità insieme alle esigenze legate all’incremento del turismo hanno portato alla decisione di creare qualcosa di più.

L’obiettivo dello studioSnøhetta, a cui il progetto è stato affidato nel 2018, è stato quello di non travalicare il passato e dunque l’importanza della struttura che già era esistita ed allo stesso tempo di integrare la nuova struttura con la città quale connettore urbano e nuovo polo attrattivo. Come afferma il responsabile del progetto Marius Hauland Næss:

“Nel riportare il tradizionale bagno del porto alla sua gloria originale, ci siamo resi conto che la risposta volumetrica doveva parlare un linguaggio architettonico diverso. È il nostro modo di onorare l’orgogliosa storia del bagno degli anni ’30”.

L’inaugurazione è prevista per il 2024 e celebra il 300° anniversario della città di Arendal. La superfice della struttura è ampliata rispetto all’originale ed arriva fino a 750 m circa, l’aspetto esteriore in blocchi di pietra su pali d’acciaio e dal forte impatto ricorda le coste norvegesi quasi come se si trattasse di un elemento naturale che emerge dalle acque. La forte orizzontalità è data inoltre dalle linee sinuose digradanti che rimandano alle naturali curve di livello del terreno pronte ad assecondare la marea ed i bagnanti e come racconta lo stesso studio:“assomiglierà a un blocco di pietra modellato durante l’ultimo periodo glaciale”.

Un punto ormai di fondamentale importanza è quello ecologico: “Uno dei nostri obiettivi è quello di infondere al progetto altre tecnologie supplementari che si concentrano sul recupero e il riciclaggio dei materiali, come, ma non solo, il vetro. Finora, non ci sono state composizioni che producono emissioni di CO2 pari a zero o addirittura negative, quindi stiamo considerando di passare a un’alternativa verde”, afferma Næss.

All’interno è prevista la realizzazione di ristoranti e zone dedicate a spettacoli e concerti anche all’aperto implementando la componente culturale del nuovo luogo di attrazione, o anora come lo descrive Næss :

”un ibrido che combina in modo fluido cultura, ricreazione, biologia marina e apprendimento e un’esperienza alimentare molto ancorata a livello locale”.