L'architetto giapponese Kengo Kuma ha realizzato un nuovo progetto per una caffetteria Starbucks a Hualien (Taiwan), la struttura comprende 29 container riciclati, che sporgono o arretrano da un nucleo centrale, dando vita ad un edificio a più piani con finestre a tutta altezza e lucernari incastonati nei contenitori dipinti di bianco, per creare un negozio drive-thru di circa 320 metri quadrati. L’architetto giapponese maestro nelle strutture in legno questa volta cambia direzione e interpreta il negozio drive-thru, della multinazionale statunitense, all'insegna del riuso dei materiali.
L’idea di utilizzare container riciclati non è nuova, ricordiamo il villaggio per le startup di Julius Taminiau ad Amsterdam o il Pop Brixton di Londra, nell’Ohio, negli Stati Uniti, Jonathan Barnes Architecture and Design ha trasformato un container per la costruzione di una torre di parcheggio, e ad Amsterdam Edward van Vliet ne ha inserito uno in una gru per creare un insolito appartamento per le vacanze; ma è la prima volta che i container vengono associati al marchio internazionale di Starbucks.
Obiettivo dichiarato dall’architetto Kuma, è quello di creare edifici sostenibili attraverso il recupero di materiali che finirebbero dismessi in discarica. Negli ultimi anni Starbucks sta lavorando molto nella direzione della ricerca e della sostenibilità. Il nuovo punto vendita si distribuisce su due livelli, ma si eleva per l’altezza di un totale di quattro container che si collegano fra loro creando visuali interne e passaggi per la luce che proviene dalle aperture. È avvicinabile con le auto, a cui è destinato un passaggio aperto al di sotto di uno degli sbalzi. La famosa catena di caffé Starbucks mostra l'icona rotonda verde fissata su un lato del contenitore più in alto. Kuma ha concepito la disposizione dei container per fare riferimento al fogliame che si espande tra i caffè e le tradizionali arcate a secchiello cinese: le staffe disposte tra la colonna e la trave sotto le gronde dei palazzi storici e dei templi. La formula del take-away si mostra architettonicamente tramite l'inserimento di una finestra in un container al piano terra vicino alla strada; l'ingresso considera una hall vetrata e lo spazio è articolato da accoglienti cabine rivestite di legno, tavolini bassi e panche che fiancheggiano le gallerie tra i container. Gli interni non rinunciano alle tipologie di spazi che hanno costruito il brand di Starbucks nel mondo, sebbene ridotti nelle dimensioni e nelle quantità per la particolare tipologia di intervento. Aree per le consumazioni di prodotti in loco si aprono all’interno delle larghezze dei container, separati dall’andamento della planimetria del negozio e illuminati dalle molte aperture consentite dalla complessa volumetria. Il legno non può non mancare, affiancato al richiamo alla tradizione locale: arredi e pavimentazioni di legno sono infatti accompagnati da decorazioni, poster e murales di ispirazione e colori locali.
La collaborazione tra Starbucks e Kuma è consolidata, l’architetto in precedenza a aveva progettato lo Starbucks Dazaifu a Fukuoka, in Giappone, utilizzando duemila bastoni di legno sottili per creare un interno a griglia. Inoltre a fine anno, Starbucks inaugurerà a Tokyo uno Starbucks Reserve Roastery progettato da Kengo Kuma: un’esperienza di vendita coinvolgente.
ecoLogicStudio sperimenta un involucro biodigitale che filtra CO2 e inquinanti attraverso colture di alghe installate sulle facciate degli edifici
Per il momento è una sperimentazione ma potrebbe diventare l’involucro dell’Antropocene che istallato sugli edifici sottoforma di schermature solari, sarebbe in grado di assorbire anidride carbonica dall’atmosfera e restituire ossigeno attraverso un processo di fotosintesi analogo a quello svolto in natura dagli alberi.
Presentata a Dublino in occasione del Climate Innovation Summit 2018, Photo.Synt.Etica rientra nel progetto europeo Climate-KIC e nasce dalla partnership di ecoLogicStudio, studio di architettura e progettazione urbana specializzato in progettazione ambientale, autosufficienza urbana e costruzione integrata della natura con l’Urban Morphgenesis Lab – UCL di Londra e il Synthetic Landscapes Lab – Università di Innsbruck.
L’istallazione di Dublino realizzata sulla facciata del Printworks Building è composta da 16 moduli di 2x7 metri che rivestono i due piani dell’edificio realizzando, in termini di assorbimento di CO2, gli stessi benefici ambientali equivalenti a quelli prodotti da venti alberi.
I moduli, realizzati in bioplastica, contengono microalghe disposte in una serpentina digitale; l’ anidride carbonica e gli agenti inquinanti catturati vengono immagazzinati dai fotobioreattori, che utilizzano la luce diurna per nutrire le culture viventi di microalghe e emettono una luminescenza nelle ore notturne. La biomassa viene poi raccolta e riutilizzata come materiale grezzo per la produzione di bioplastica utile, a sua volta, alla realizzazione di involucri dello stesso tipo.
Grazie al design a serpentina, i moduli ottimizzano il processo di sequestro del carbonio; inoltre il disegno visto in sequenza lungo la facciata dell’edificio ricorda i grafici finanziari, nello specifico l’andamento delle quotazioni dei certificati verdi.
I prossimi progetti includono una scultura fotosintetica per il Centre Pompidou (Parigi), un progetto di ricerca che prevede l’uso di Biogel al posto dell’acqua, come le alghe, le tecniche di stampa 3D per prototipare fotobioreattori architettonici e la progettazione di un sistema di facciata per un nuovo museo di microbi a Innsbruck (Austria).
Smart cities, case intelligenti, veicoli autonomi, fabbriche robotizzate, ecc. dominano l’attuale panorama degli scenari futuristici popolari, ma tutti hanno un disperato bisogno di un reframing spaziale e architettonico per generare benefiche transizioni sociali.
L’edificio simbolo dell’Australia capolavoro di Jørn Utzon azzera le proprie emissioni di anidride carbonica diventando “carbon neutral”
È stato completato con cinque anni di anticipo il processo che ha permesso di azzerare il bilancio tra emissioni e compensazioni di anidride carbonica prodotte dalla Sydney Opera House.
L’edificio è frutto di un concorso di progettazione vinto nel 1957 dall’architetto danese Jørn Utzon, con il supporto strutturale di Arup, allora sotto il nome di “Ove Arup & Partners”. I lavori iniziarono nel 1959 e furono completati al termine di un tormentato processo costruttivo che si concluse con un ritardo di dieci anni sul tempo stimato, costi esponenzialmente incrementati e polemiche che nel 1966 portarono Utzon alle dimissioni.
Oggi l’Opera House di Sydney rappresenta uno degli edifici simbolo dell’Australia ed una pietra miliare dell’architettura del 20° secolo. La sua rilevanza è stata ufficialmente riconosciuta nel 2007, quando è stata riconosciuta patrimonio dell’umanità dall’UNESCO e descritta come “un indiscutibile prodotto della creatività umana, non solo del ventesimo secolo, ma nell’intera storia dell’umanità.”
Ma se fino ad oggi è stata celebrata soprattutto per le sue caratteristiche architettoniche e come simbolo del connubio tra design e ingegneria, a 45 anni dall’inaugurazione, l’Opera House celebra un altro evento significativo: il 24 settembre 2018 è stata premiata dall’Australian Government’s National Carbon Offset Standard (NCOS) per i risultati raggiunti nella riduzione delle emissioni di carbonio, con ben cinque anni di anticipo rispetto a quanto programmato.
Il processo per l’azzeramento del bilancio delle emissioni di carbonio, lanciato nel 2013, si è concentrato principalmente su due fronti, quello dei consumi elettrici e quello dei rifiuti.
Dal punto di vista energetico l’Opera House ha ridotto i consumi del 75%, mediante interventi volti alla sostituzione delle lampadine incandescenti della sala concerti con da lampade LED; le minori temperature di esercizio hanno consentito inoltre di impegnare meno l’impianto di climatizzazione, riducendo di circa 450 tonnellate l’anidride carbonica immessa ogni anno nell’atmosfera.
In ambito strettamente energetico, nel 2017 si è intervenuti in modo diretto anche sull’impianto di riscaldamento e raffrescamento: sono infatti state sostituite le vecchie unità di trattamento aria la cui migliore efficienza ha permesso di ridurre i consumi energetici del 9%.
Infine, grazie a sistemi BIM e con un Building Management Control System (BMCS) aggiornato e innovativo è possibile oggi controllare l’edificio e verificare i risultati degli interventi nel tempo.
Nella gestione dei rifiuti è stata incrementata dal 25% al 60% la quantità di quelli riciclati. Nel 2016 è stato introdotto un nuovo programma di trattamento dei rifiuti non organici che ha permesso di riciclare maggiori tipologie di materiali, che si oggi si sono allargate anche ai telefonini cellulari, ai tubi fluorescenti, a toner e batterie esausti. Anche i rifiuti organici sono sottoposti a un trattamento di recupero che li trasforma in energia. È stato inoltre definito un programma di informazione e buone pratiche per tutto lo staff e i lavoratori per la gestione dei rifiuti, misura necessaria per ottenere i risultati sperati.
Per raggiungere la neutralità nel bilancio delle emissioni di anidride carbonica sono state necessarie anche azioni passive, come l'umento delle possibilità naturali del loro assorbimento. A questo scopo la Sydney Opera House, in collaborazione con l’associazione no profit Greenfleet, ha piantumato nella vicina Campbelltown 300 alberi di essenze native che avranno anche un ruolo positivo e naturale nella rigenerazione del territorio.
Dopo il raggiungimento di questi importanti risultati, il cammino verso una sostenibilità ancora maggiore tuttavia prosegue: l'obiettivo è quello di raggiungere entro il 2023 la riduzione del 20% dei consumi energetici, il recupero dell’85% dei rifiuti e il raggiungimento delle 5 stelle (oggi sono 4) del Green Star Performance Rating del GBCA (Green Building Council of Australia).
900 euro per costruire una casa a km zero utilizzando la terra.
È stata presentata il 6 e il 7 ottobre a Massa Lombarda (RA) la prima casa realizzata con una stampante 3d a base di terra cruda e scarti di lavorazione del riso (paglia e lolla di riso), il tutto a km zero.
Gaia, denominata tale per l’utilizzo di terra cruda come principale legante della miscela costituente, è frutto della vincente collaborazione tra WASP, azienda leader nella stampa tridimensionale e RiceHouse, startup italiana che opera nel campo della bioedilizia attraverso l'uso degli scarti provenienti dalla produzione del riso, nell’ambito dell’evento “Viaggio a Shamballa” e della conferenza “A call to save the world”.
Per la realizzazione del prototipo è stata utilizzata una nuova tecnologia di stampante 3D, la Crane Wasp, che usa materiali naturali del territorio circostante per costruire abitazioni sostenibili: mediante l’utilizzo di fibre vegetali fornite da RiceHouse, WASP ha sviluppato una mescola composta per il 25% da terreno prelevato in sito (30% argilla, 40% limo e 30% sabbia), per il 40% da paglia di riso trinciata, per il 25% da lolla di riso e il 10% da calce idraulica. La mescola è stata impastata attraverso l’uso della molazza, in grado di rendere il composto omogeneo e lavorabile.
Gaia può essere dunque considerata un nuovo modello architettonico ecosostenibile, non solo per l’attenzione all’impiego di materiali naturali di scarto, ma anche per le caratteristiche performanti del suo involucro dal punto di vista energetico: stampate in poche settimane, le sue murature risultano essere particolarmente efficienti dal punto di vista bioclimatico e di salubrità degli ambienti; il prototipo non necessita né di riscaldamento né di un impianto di condizionamento, in quanto mantiene al suo interno una temperatura mite e confortevole sia d'inverno che d'estate.
Il progetto, firmato RiceHouse, prevede un orientamento sud-ovest, e, per sfruttare al meglio l’apporto passivo del sole e la luce naturale , la presenza di una grande vetrata. La copertura è realizzata in legno con un isolamento in calce-lolla (RH300), il massetto contro terra è realizzato in calce-lolla, leggero ma isolante per permettere di raggiungere un fabbisogno energetico pari a una classe A4.
L’involucro esterno è stato progettato con la finalità di integrare al proprio interno i sistemi di ventilazione naturale, di isolamento termo-acustico e di impiantistica. La deposizione del materiale a base di terra cruda, paglia e lolla di riso viene controllata attraverso articolati intrecci in grado di conferire al contempo solidità costruttiva e variazione geometrica lungo l’intero sviluppo murario. La parete monolitica stampata in 3d è poi stata rifinita internamente con una rasatura in argilla-lolla (RH400), levigata e oliata con oli di lino.
Grazie alla precisione e alla velocità della tecnologia 3d, si possono inoltre ottenere geometrie complesse, difficilmente replicabili con i sistemi tradizionali di costruzione. La realizzazione dell’involucro stampato in 3d, per un totale di 30 mq di parete dallo spessore di 40 cm, ha richiesto complessivamente 10 giorni, con un costo totale dei materiali di 900 €.
L’esperienza di Gaia offre l’occasione per divulgare le molteplici potenzialità che la stampa 3d può ancora esprimere grazie alle risorse presenti nel territorio agricolo mondiale, garantendo livelli minimi di impatto ambientale a fronte di infinite soluzioni progettuali, indispensabili per le nuove frontiere dell’abitare.
Tiziana Monterisi , CEO di RiceHouse, afferma: “Gaia è stata realizzata esclusivamente con materiali naturali quali terra cruda, paglia trinciata, lolla e legno ed è altamente performante dal punto di vista energetico e ambientale”.
A dare l’esempio è l’Olanda, con la pista ciclabile realizzata in plastica riciclata
Il progetto rivoluzionario di mobilità sostenibile Plastic Road è stata inaugurato a Zwolle, città olandese sede del gruppo Wavin, leader europeo nella produzione di tubazioni in materiale plastico per l’edilizia residenziale e per le opere di ingegneria civile, grazie alla collaborazione di tre aziende: KWS, Wavin e Total.
Si tratta di una pista ciclabile di 30 metri contenente un quantitativo di plastica equivalente a 500.000 bottigliette oppure 218.000 bicchieri, costituita da una struttura prefabbricata modulare leggera; il progetto, ideato dai consulenti per la ricerca e lo sviluppo Anne Koudtaal e Simon Jorritsma di KWS , è pensato per rendere la costruzione e la manutenzione più veloce, semplice ed efficiante rispetto alle strutture tradizionali.
I moduli della Plastic Road sono permeabili e cavi all’interno, in modo tale da poter immagazzinare temporaneamente un certo quantitativo d’acqua per prevenire gli allagamenti durante le forti precipitazioni. Il progetto pilota include anche una serie di sensori per monitorare le performance della strada, quali la temperatura, il numero dei passaggi da parte delle biciclette e la tenuta, rendendola la prima vera “pista ciclabile intelligente al mondo”.
Il progetto segna l’inizio di una nuova era nel campo delle opere ingegneristiche stradali, in quanto elimina tutti i problemi di sicurezza dovuti alle buche e al dissesto dell’asfalto e migliora le caratteristiche del manto stradale con la riduzione del rumore del traffico, e offrendo una soluzione integrata per il passaggio sotterraneo di tubi e cavi.
La giornata di inaugurazione della Plastic Road si è aperta con una presentazione di Anne Koudtaal e Simon Jorritsma, che hanno mostrato agli invitati i primi schizzi del 2013 per poi spiegare come si è sviluppata la sua realizzazione. Successivamente, prima di dare agli ospiti la possibilità di iniziare a pedalare sulla nuova posta ciclabile, è stato mostrato davanti alla sede di Wavin uno dei moduli in plastica che la compone.
Nel mese di novembre verrà installata una seconda pista ciclabile nella città olandese di Overijssel, che prevederà ulteriori miglioramenti rispetto alla prima PlasticRoad di Zwolle. Nel frattempo i partner ricercheranno altre location per il lancio di nuovi progetti e per testare l’efficacia in campi di applicazione alternativi, come ad esempio parcheggi, banchine dei treni o marciapiedi.