Il muretto a secco diventa patrimonio culturale dell'umanità. Ad annunciarlo è l'Unesco (l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura).
Tra le tecniche costruttive del passato ancora oggi assai diffuse e facili da ritrovare in giro per le nostre campagne c'è la realizzazione di muretti a secco (di confine, di divisione, di sostegno). Una tecnica rintracciabile in quasi tutte le tradizioni culturali del passato e che può essere considerata quale primo tentativo di modificare l'ambiente per la realizzazione di un semplice riparo o delimitare una qualsiasi superficie. La storia dei muretti a secco è più antica di quanto si pensi. Diffusi in tutto il mondo, sono la prima forma di costruzione dell'uomo, che ancora oggi resiste al tempo. Tutte le grandi culture del passato hanno fatto ricorso ai muri a secco, dai Greci ai Romani alle altre popolazioni del bacino mediterraneo fino alle culture del'Europa continentale, dell'America Latina e della Cina.
Nella motivazione dell'organizzazione delle Nazioni Unite si legge: "L'arte dei muri a secco riguarda tutte le conoscenze legate alla costruzione di strutture di pietra ammassando le pietre una sull'altra, non usando altri elementi se non le pietre stesse e a volte terra a secco. È uno dei primi esempi di manifattura umana ed è presente a vario titolo in quasi tutte le regioni italiane, sia per fini abitativi che per scopi collegati all'agricoltura, in particolare per i terrazzamenti necessari alle coltivazioni in zone particolarmente scoscese". "Le strutture a secco sono sempre fatte in perfetta armonia con l'ambiente e la tecnica esemplifica una relazione armoniosa fra l'uomo e la natura. La pratica viene trasmessa principalmente attraverso l'applicazione concreta alle particolari condizioni di ogni luogo in cui viene utilizzata", espone ancora l'organizzazione, ricordando che spesso i muretti a secco "svolgono un ruolo vitale nella prevenzione delle slavine, delle alluvioni, delle valanghe, nel combattere l'erosione e la desertificazione delle terre, migliorando la biodiversità e creando le migliori condizioni microclimatiche per l'agricoltura".
In Italia è possibile identificare diverse tipologie di muri a secco non solo per l'utilizzo che se ne fa, ma anche per la tecnica che si utilizza per realizzarli, spesso diversa da regione a regione.
Il Regolamento per la Riqualificazione del Patrimonio Edilizio edito dalla Regione Liguria prescrive che “il ripristino dei muri di sostegno deve attuarsi senza utilizzo di malta ma con l’inserimento, ad opera ultimata, di una eventuale rete geosintetica di rinforzo non visibile, avendo l’accorgimento di convogliare opportunamente le acque meteoriche e di reimpiegare in modo opportuno le pietre pericolanti”. Anche in Sardegna il Piano Paesaggistico Regionale prevede la tutela dei muri a secco esistenti; in Toscana non mancano i bandi per il loro recupero e in Sicilia il nuovo PSR 2014-2020 prevede finanziamenti a loro favore.
La Puglia è una delle regioni italiane in cui la diffusione delle costruzioni a secco ha dato vita a tipologie edilizie uniche (si pensi ad esempio ai trulli) e in cui i muri a secco in particolare sono elemento unico e caratterizzante del paesaggio rurale da centinaia di anni.
La Giunta della Regione Puglia, con la Deliberazione n.1544/2010, ha approvato le indicazioni tecniche per gli interventi di ripristino dei muretti a secco nelle aree naturali protette e nei siti Natura 2000, erogando negli anni, e non da ultimo con una sottomisura ad hoc in vigore, anche dei contributi per il ripristino degli stessi (Sottomisura 4.4 PSR Regione Puglia 2014-2020 - Salvaguardia e recupero di manufatti in pietra (muretti a secco e jazzi) e habitat naturali e seminaturali (siepi, cisterne)). Obiettivo di questa ultima sottomisura è quello di "salvaguardare e migliorare il paesaggio agrario e conservare elementi naturali e seminaturali in grado di promuovere il mantenimento delle capacità di autoregolazione (omeostasi) degli agroecosistemi regionali, quali i muretti a secco, ossia elementi in grado di filtrare, tamponare e conservare le qualità dell'ambiente e, più nel dettaglio, a salvaguardare l'attività degli organismi vegetali e animali che vivono negli agroecosistemi dei muretti a secco, in quanto 'aree rifugio' per i nemici naturali dei parassiti delle colture". Tra le raccomandazioni della delibera, ancora in vigore, vi è quella che prevede che i muretti siano in “uno stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat presenti nel sito”, proprio a significare la loro funzione di elementi ecologici che contribuiscono non solo a scopi antropici ma contribuiscono a non intralciare la normale vita biologica dei terreni. In merito alla loro funzione é stato anche specificato che con gli interventi di ripristino occorre impegnarsi a “rispettare l’originale tipologia costruttiva del muretto a secco senza apportare elementi estranei come reti, malta cementizia, ecc…”.
Un muretto a secco rappresenta un bene paesaggistico e culturale tutto italiano da conservare e tramandare, ed è fondamentale apprezzarne il valore, salvaguardarlo e tramandare le tecniche originarie costruttive per replicarli nel rispetto della tradizione e dell'ambiente.
L’industria dei materiali edili, sfruttando le nuove tecnologie e le nuove strumentazioni a disposizione della ricerca, si sta evolvendo sempre di più verso soluzioni innovative e moderne che possano soddisfare le più svariate esigenze del mercato. Nel settore delle grandi infrastrutture si sta cercando di rendere più smart i nuovi processi di costruzione, ma ci si sta concentrando anche sugli interventi di manutenzione e ristrutturazione dell’esistente, che spesso richiedono delle tempistiche lunghe non compatibili con una resa ottimale del servizio. Un esempio di intervento di manutenzione definibile smart è la pista d’atterraggio dell’aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna, chiusa per lavori, è tornata operativa dopo sole 36 ore trascorse dal getto del calcestruzzo. Lavori resi possibili, in tempo record, grazie all’impiego di una speciale miscela a presa rapida, frutto di ricerche condotte negli ultimi anni dalla società Calcestruzzi Spa di proprietà del gruppo Italcementi.
Il calcestruzzo, che si ottiene dall’azione combinata di acqua, sabbia e ghiaia amalgamate insieme da un legante, solitamente cementizio, può offrire differenti prestazioni in base all’eventuale aggiunta di particolari additivi, che svolgono un ruolo fondamentale e che mirano a migliorarne le caratteristiche di resistenza meccanica, la durabilità, la lavorabilità e il processo di indurimento del materiale.
Il calcestruzzo ad alte prestazioni o HPC, High Performance Concrete, è un conglomerato connotato da un basso rapporto acqua/cemento e dall’impiego di aggiunte minerali e di aggregati di frantumazione di notevole qualità. Si possono raggiungere elevati livelli di resistenza e durabilità grazie a dei superadditivi, ad aggiunte minerali e ad inerti di alta qualità come basalto, quarzite e granito. Il calcestruzzo ad alte prestazioni soddisfa particolari requisiti prestazionali per la facilità di messa in opera e la compattazione del calcestruzzo fresco senza segregazione, per la resistenza meccanica iniziale e la tenacità, per la stabilità di volume e la vita di servizio in ambienti aggressivi. Come evoluzione dei calcestruzzi HPC, attualmente è in fase di ricerca avanzata, la messa a punto di calcestruzzi speciali ad altissima resistenza meccanica, spesso fibrorinforzati, denominati RPC, Reactive Powder Concrete, con prestazioni straordinarie molto superiori a quelle del calcestruzzo HPC. Gli RPC prevedono l’aggiunta di fibre alla miscela, additivata con superfluidicanti e dotata di fumo di silice e sabbia quarzosa come aggregato, per accrescerne ulteriormente la resistenza meccanica.
Nel calcestruzzo a presa rapida la qualità del materiale si fonde con la velocità d’esecuzione dell’opera. I tempi di maturazione, ovvero di indurimento del materiale fluido, si riducono sensibilmente, passando da circa 28 giorni di stagionatura del calcestruzzo tradizionale a pochi giorni o addirittura poche ore necessarie per un calcestruzzo arricchito con particolari additivi acceleranti di presa e di indurimento. Gli additivi acceleranti, spesso a base di silicati di sodio, svolgono il ruolo di aumentare la velocità di idratazione del cemento, ovvero la reazione chimica alla base della maturazione. In genere, sono spesso utilizzati di fronte a un clima freddo (la velocità di idratazione provoca un aumento della temperatura del fluido) o per concludere una lavorazione in tempi più brevi. Il calcestruzzo, indurendo prima, sviluppa rapidamente la sua resistenza meccanica. Il velocissimo rifacimento del manto della pista aeroportuale, che rientra nella attività di manutenzione straordinaria dell’aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna, è stato possibile anche grazie all’utilizzo di una particolare miscela di calcestruzzo a presa rapida della Calcestruzzi Spa, gettata con scarico diretto da betoniera, consentendo agli aerei di percorrere la pista d’atterraggio dopo sole 36 ore dal getto. La scelta di un materiale dalle elevate caratteristiche tecniche è stata fondamentale per poter dare agli utenti la quasi continuità del servizio aeroportuale, riducendo quindi notevolmente i tempi di chiusura di un tratto di pista lungo circa 1 kilometro e 300 metri e del grande raccordo che connette la pista al terminal. La particolare miscela a presa rapida è stata utilizzata in Italia per la prima volta, e rientra in una più vasta gamma di prodotti che, a seconda delle necessità, è in grado di assicurare tre diversi livelli di performance corrispondenti a tre differenti tempistiche: 4, 12 e 36 ore di indurimento dopo il getto. Le ricerche del gruppo Italcementi, iniziate nel 2010 nei laboratori di Bergamo, hanno fornito un prodotto innovativo utile per agevolare la realizzazione e la manutenzione delle grandi infrastrutture.
Il gruppo Italcementi, tramite la sua società Calcestruzzi Spa, promuove la ricerca e lo sviluppo di nuovi prodotti high-performance da immettere sul mercato delle costruzioni.
900 euro per costruire una casa a km zero utilizzando la terra.
È stata presentata il 6 e il 7 ottobre a Massa Lombarda (RA) la prima casa realizzata con una stampante 3d a base di terra cruda e scarti di lavorazione del riso (paglia e lolla di riso), il tutto a km zero.
Gaia, denominata tale per l’utilizzo di terra cruda come principale legante della miscela costituente, è frutto della vincente collaborazione tra WASP, azienda leader nella stampa tridimensionale e RiceHouse, startup italiana che opera nel campo della bioedilizia attraverso l'uso degli scarti provenienti dalla produzione del riso, nell’ambito dell’evento “Viaggio a Shamballa” e della conferenza “A call to save the world”.
Per la realizzazione del prototipo è stata utilizzata una nuova tecnologia di stampante 3D, la Crane Wasp, che usa materiali naturali del territorio circostante per costruire abitazioni sostenibili: mediante l’utilizzo di fibre vegetali fornite da RiceHouse, WASP ha sviluppato una mescola composta per il 25% da terreno prelevato in sito (30% argilla, 40% limo e 30% sabbia), per il 40% da paglia di riso trinciata, per il 25% da lolla di riso e il 10% da calce idraulica. La mescola è stata impastata attraverso l’uso della molazza, in grado di rendere il composto omogeneo e lavorabile.
Gaia può essere dunque considerata un nuovo modello architettonico ecosostenibile, non solo per l’attenzione all’impiego di materiali naturali di scarto, ma anche per le caratteristiche performanti del suo involucro dal punto di vista energetico: stampate in poche settimane, le sue murature risultano essere particolarmente efficienti dal punto di vista bioclimatico e di salubrità degli ambienti; il prototipo non necessita né di riscaldamento né di un impianto di condizionamento, in quanto mantiene al suo interno una temperatura mite e confortevole sia d'inverno che d'estate.
Il progetto, firmato RiceHouse, prevede un orientamento sud-ovest, e, per sfruttare al meglio l’apporto passivo del sole e la luce naturale , la presenza di una grande vetrata. La copertura è realizzata in legno con un isolamento in calce-lolla (RH300), il massetto contro terra è realizzato in calce-lolla, leggero ma isolante per permettere di raggiungere un fabbisogno energetico pari a una classe A4.
L’involucro esterno è stato progettato con la finalità di integrare al proprio interno i sistemi di ventilazione naturale, di isolamento termo-acustico e di impiantistica. La deposizione del materiale a base di terra cruda, paglia e lolla di riso viene controllata attraverso articolati intrecci in grado di conferire al contempo solidità costruttiva e variazione geometrica lungo l’intero sviluppo murario. La parete monolitica stampata in 3d è poi stata rifinita internamente con una rasatura in argilla-lolla (RH400), levigata e oliata con oli di lino.
Grazie alla precisione e alla velocità della tecnologia 3d, si possono inoltre ottenere geometrie complesse, difficilmente replicabili con i sistemi tradizionali di costruzione. La realizzazione dell’involucro stampato in 3d, per un totale di 30 mq di parete dallo spessore di 40 cm, ha richiesto complessivamente 10 giorni, con un costo totale dei materiali di 900 €.
L’esperienza di Gaia offre l’occasione per divulgare le molteplici potenzialità che la stampa 3d può ancora esprimere grazie alle risorse presenti nel territorio agricolo mondiale, garantendo livelli minimi di impatto ambientale a fronte di infinite soluzioni progettuali, indispensabili per le nuove frontiere dell’abitare.
Tiziana Monterisi , CEO di RiceHouse, afferma: “Gaia è stata realizzata esclusivamente con materiali naturali quali terra cruda, paglia trinciata, lolla e legno ed è altamente performante dal punto di vista energetico e ambientale”.
A dare l’esempio è l’Olanda, con la pista ciclabile realizzata in plastica riciclata
Il progetto rivoluzionario di mobilità sostenibile Plastic Road è stata inaugurato a Zwolle, città olandese sede del gruppo Wavin, leader europeo nella produzione di tubazioni in materiale plastico per l’edilizia residenziale e per le opere di ingegneria civile, grazie alla collaborazione di tre aziende: KWS, Wavin e Total.
Si tratta di una pista ciclabile di 30 metri contenente un quantitativo di plastica equivalente a 500.000 bottigliette oppure 218.000 bicchieri, costituita da una struttura prefabbricata modulare leggera; il progetto, ideato dai consulenti per la ricerca e lo sviluppo Anne Koudtaal e Simon Jorritsma di KWS , è pensato per rendere la costruzione e la manutenzione più veloce, semplice ed efficiante rispetto alle strutture tradizionali.
I moduli della Plastic Road sono permeabili e cavi all’interno, in modo tale da poter immagazzinare temporaneamente un certo quantitativo d’acqua per prevenire gli allagamenti durante le forti precipitazioni. Il progetto pilota include anche una serie di sensori per monitorare le performance della strada, quali la temperatura, il numero dei passaggi da parte delle biciclette e la tenuta, rendendola la prima vera “pista ciclabile intelligente al mondo”.
Il progetto segna l’inizio di una nuova era nel campo delle opere ingegneristiche stradali, in quanto elimina tutti i problemi di sicurezza dovuti alle buche e al dissesto dell’asfalto e migliora le caratteristiche del manto stradale con la riduzione del rumore del traffico, e offrendo una soluzione integrata per il passaggio sotterraneo di tubi e cavi.
La giornata di inaugurazione della Plastic Road si è aperta con una presentazione di Anne Koudtaal e Simon Jorritsma, che hanno mostrato agli invitati i primi schizzi del 2013 per poi spiegare come si è sviluppata la sua realizzazione. Successivamente, prima di dare agli ospiti la possibilità di iniziare a pedalare sulla nuova posta ciclabile, è stato mostrato davanti alla sede di Wavin uno dei moduli in plastica che la compone.
Nel mese di novembre verrà installata una seconda pista ciclabile nella città olandese di Overijssel, che prevederà ulteriori miglioramenti rispetto alla prima PlasticRoad di Zwolle. Nel frattempo i partner ricercheranno altre location per il lancio di nuovi progetti e per testare l’efficacia in campi di applicazione alternativi, come ad esempio parcheggi, banchine dei treni o marciapiedi.
Una ricerca spagnola ha dimostrato che i noccioli di oliva, carbonizzati, possono essere utilizzati per realizzare materiali da costruzione sostenibili.
Per un Paese come l’Italia, produttore di olio di oliva di eccellenza, i noccioli rappresentano ad oggi semplici rifiuti da smaltire, eppure possono diventare una risorsa preziosa per l’edilizia.
A dar nuova luce a questa possibilità è uno studio condotto dalla squadra guidata dalla professoressa Mercedes del Río, della School of Building Engineering (ETSEM), e dal professor Francisco Fernández, della Scuola di Disegno Industriale e Ingegneria dell'Università Politecnica di Madrid che hanno cercato di dimostrare che i noccioli carbonizzati possono sostituire gli aggregati leggeri attualmente utilizzati nella costruzione di edifici e opere civili, come ad esempio, l’argilla espansa. Quest’ultima, infatti, sebbene rappresenti un prodotto naturale, richiede processi di estrazione onerosi e conseguenti impatti ambientali non trascurabili.
Per verificare la fattibilità di questo nuovo uso delle olive, i ricercatori, in collaborazione con lo studente Javier Guijarro, hanno effettuato prove con diversi tipi di rifiuti: noccioli interi, frantumati e calcinati. Le prove includevano la caratterizzazione fisica dei noccioli, sui quali sono state effettuate analisi della densità, morfologiche e termo-gravimetriche. Inoltre per le tre tipologie di noccioli sono stati preparati campioni di malta e confrontati i risultati tra di oro.
Gli scienziati sono così arrivati alla conclusione che è possibile sostituire l'argilla espansa e gli altri aggregati leggeri con noccioli calcinati di olive per produrre malte leggere. Ciò è dovuto alla loro grande porosità, alla granulometria uniforme e alla bassa densità.
“Né i noccioli interi né quelli triturati hanno dato risultati confacenti con gli obiettivi della ricerca - conclude il team guidato da Mercedes Del Rio - "a differenza di quanto si è osservato per i noccioli calcinati la cui eccellente qualità ne permette l’utilizzo per la produzione di malte leggere per rivestimento”.
Con l’impiego di un microscopio elettronico a scansione è stata confermata l’ottima adesione fisica tra il preparato ottenuto dai noccioli di oliva calcinati e la malta. Inoltre, aggiungendo un plastificante allo scopo di migliorare la lavorabilità e la consistenza del prodotto, si ottiene una malta con una resistenza alla compressione del 20% migliore di quella registrata nelle comuni preparazioni con argilla espansa; anche la densità che ne risulta è inferiore del 30% così come i costi energetici necessari al processo.
Secondo **Mercedes del Rio** “l'eccellente qualità di questi aggregati può essere utilizzata nelle costruzioni o nelle opere civili per produrre non solo malte leggere per rivestimento ma anche calcestruzzi leggeri strutturali”. Inoltre continua *"Questo materiale funziona bene per l'isolamento termico allo spessore richiesto del prodotto, nonché per l'isolamento acustico dovuto alla sua porosità"
Gli esperti, infatti, affermano il nuovo materiale sostenibile può essere utilizzato anche per la produzione di calcestruzzo isolante in quanto il nocciolo di oliva ha proprietà isolanti termiche e fonoassorbenti.