Saranno Salini Impregilo, Fincantieri e Italferr le tre società che realizzeranno il "nuovo" Ponte Morandi, dopo il crollo del 14 agosto che ha causato la morte di 43 persone. La cordata eseguirà un progetto di Renzo Piano e l'opera avrà un costo complessivo di 220/230 milioni di euro. E' stata scartata l'ipotesi di affidare i lavori al gruppo trentino Cimolai, che aveva presentato un'offerta da 175 milioni, 14 dei quali per la demolizione, avvalendosi di un disegno di un'altra archistar Santiago Calatrava. La stessa ditta Cimolai di Pordenone ha dichiarato che non farà ricorso “per spirito di servizio nei confronti del Paese“.
Nel testo del "decreto 19",dedicato alla ricostruzione del viadotto, si legge che l'opera avrà un costo di 202 milioni di euro, Iva esclusa, e che la cordata Salini Impregilo, Fincantieri e Italferr è "disponibile a costituire un’unica struttura giuridica".
Dopo la firma del decreto ha annunciato alla stampa il sindaco di Genova e commissario Bucci che "non si chiamerà più ponte Morandi". Il primo cittadino ha anche sottolineato che alla gara per l’assegnazione dei lavori del viadotto "ha partecipato l’eccellenza italiana e straniera con progetti di altissimo livello". Renzo Piano vestirà il ruolo di supervisore di tutto il progetto affiancato da un team di altissimo livello. Per quanto riguarda invece gli "sconfitti" Bucci ha spiegato che "l’azienda Cimolai e l’architetto Calatrava si sono messi a disposizione per aiutare nel caso ce ne fosse bisogno".
Salini Impregilo e Fincantieri hanno spiegato che l'opera "sarà realizzata dalla neocostituita società PerGenova" sulla base di un progetto di Renzo Piano. "Si prevede il completamento dell’opera in 12 mesi, dal momento in cui l’area verrà resa disponibile, dopo il completamento delle attività di demolizione". Il viadotto "sarà costituito da un impalcato d’acciaio, con una travata continua di lunghezza totale pari a 1100 metri, costituita da 20 campate. Il progetto prevede 19 ‘pile' di cemento armato di sezione ellittica posizionate con un passo costante di 50 metri, a eccezione della campata sul torrente Polcevera e di quella sulle linee ferroviarie, dove l’interasse passa da 50 a 100 metri". Nel decreto commissariale poi si legge esplicitamente che è stato scelto un progetto che utilizza “pile” anziché “stralli” "nel rispetto della sensazione di avversione psicologica maturata in città dopo il crollo del Morandi". Tra le ragioni che hanno spinto il commissario a scegliere l’idea di Piano, anche il fatto che "estetica e progettualità sono derivate dalla storia e dall’immagine di Genova, città di mare, in ragione della forma delle “pile” e dell’impalcato, che richiamano la prua e sezione di una nave". Per finire nel decreto si commentano positivamente anche i materiali, con "struttura mista di acciaio e cemento armato", e le modalità esecutive, "in grado di ridurre i tempi di realizzazione e la riduzione delle interferenze con le infrastrutture e i sottoservizi".
“È un momento molto importante. A una grande azienda privata si affianca l’eccellenza ingegneristica e costruttrice pubblica italiana. Parlo naturalmente di Fincantieri, ma anche di Italferr, impegnata già nella progettazione di viadotti importanti in Italia e nel mondo”. Così il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Danilo Toninelli, commenta l’affidamento dei lavori della ricostruzione di Ponte Morandi a Salini Impregilo, Fincantieri e Italferr. “Il ponte di Genova sarà un ponte verso il futuro, quel futuro di riscatto e prosperità in cui il governo vuole portare tutta l’Italia”, chiosa il ministro.
La terza Sez. Civile della Corte di Cassazione nella sentenza in esame, si allontana sostanzialmente dal principio di omogeneità del confronto nella verifica dell’usura, stabilito dalla recente pronuncia delle Sezioni Unite n. 16303 del 20 giugno scorso. Nell'ordinanza del 30 ottobre, con una concisa quanto inconfutabile affermazione, la Suprema Corte, ha asserito l’inapplicabilità dell’articolo 1815 del Codice Civile agli interessi di mora usurari, discriminando gli interessi di mora dagli interessi corrispettivi, ponendosi, in tal modo, in contrasto con la stretta sovrapposizione di tale articolo all’articolo 644 del c.p. sulla quale si fonda l’altra pronuncia delle Sezioni Unite n. 24675 del 19 ottobre 2017.
Gli Ermellini, richiamando la Corte Costituzionale n. 29/02 e le reiterate pronunce della stessa Cassazione intervenute nel corso degli ultimi vent’anni, hanno affermato il seguente principio di diritto: è nullo il patto col quale si convengono interessi convenzionali moratori che, alla data della stipula, eccedano il tasso soglia di cui all’articolo 2 della l. 7.3.1996 n. 108, relativo al tipo di operazione cui accede il patto di interessi moratori convenzionali.
In sostanza, mentre il divieto di pattuizione usuraria previsto dall’articolo 644 c.p., integrato dall’articolo 2 della legge 108/96 si estende sia agli interessi corrispettivi che agli interessi di mora, questi ultimi rimarrebbero esclusi dalla sanzione prevista nell’articolo 1815 c.c., ed in presenza di interessi convenzionali moratori usurari, di fronte alla nullità della clausola, il ricalcolo dovrà essere effettuato al tasso legale.
L’edificio simbolo dell’Australia capolavoro di Jørn Utzon azzera le proprie emissioni di anidride carbonica diventando “carbon neutral”
È stato completato con cinque anni di anticipo il processo che ha permesso di azzerare il bilancio tra emissioni e compensazioni di anidride carbonica prodotte dalla Sydney Opera House.
L’edificio è frutto di un concorso di progettazione vinto nel 1957 dall’architetto danese Jørn Utzon, con il supporto strutturale di Arup, allora sotto il nome di “Ove Arup & Partners”. I lavori iniziarono nel 1959 e furono completati al termine di un tormentato processo costruttivo che si concluse con un ritardo di dieci anni sul tempo stimato, costi esponenzialmente incrementati e polemiche che nel 1966 portarono Utzon alle dimissioni.
Oggi l’Opera House di Sydney rappresenta uno degli edifici simbolo dell’Australia ed una pietra miliare dell’architettura del 20° secolo. La sua rilevanza è stata ufficialmente riconosciuta nel 2007, quando è stata riconosciuta patrimonio dell’umanità dall’UNESCO e descritta come “un indiscutibile prodotto della creatività umana, non solo del ventesimo secolo, ma nell’intera storia dell’umanità.”
Ma se fino ad oggi è stata celebrata soprattutto per le sue caratteristiche architettoniche e come simbolo del connubio tra design e ingegneria, a 45 anni dall’inaugurazione, l’Opera House celebra un altro evento significativo: il 24 settembre 2018 è stata premiata dall’Australian Government’s National Carbon Offset Standard (NCOS) per i risultati raggiunti nella riduzione delle emissioni di carbonio, con ben cinque anni di anticipo rispetto a quanto programmato.
Il processo per l’azzeramento del bilancio delle emissioni di carbonio, lanciato nel 2013, si è concentrato principalmente su due fronti, quello dei consumi elettrici e quello dei rifiuti.
Dal punto di vista energetico l’Opera House ha ridotto i consumi del 75%, mediante interventi volti alla sostituzione delle lampadine incandescenti della sala concerti con da lampade LED; le minori temperature di esercizio hanno consentito inoltre di impegnare meno l’impianto di climatizzazione, riducendo di circa 450 tonnellate l’anidride carbonica immessa ogni anno nell’atmosfera.
In ambito strettamente energetico, nel 2017 si è intervenuti in modo diretto anche sull’impianto di riscaldamento e raffrescamento: sono infatti state sostituite le vecchie unità di trattamento aria la cui migliore efficienza ha permesso di ridurre i consumi energetici del 9%.
Infine, grazie a sistemi BIM e con un Building Management Control System (BMCS) aggiornato e innovativo è possibile oggi controllare l’edificio e verificare i risultati degli interventi nel tempo.
Nella gestione dei rifiuti è stata incrementata dal 25% al 60% la quantità di quelli riciclati. Nel 2016 è stato introdotto un nuovo programma di trattamento dei rifiuti non organici che ha permesso di riciclare maggiori tipologie di materiali, che si oggi si sono allargate anche ai telefonini cellulari, ai tubi fluorescenti, a toner e batterie esausti. Anche i rifiuti organici sono sottoposti a un trattamento di recupero che li trasforma in energia. È stato inoltre definito un programma di informazione e buone pratiche per tutto lo staff e i lavoratori per la gestione dei rifiuti, misura necessaria per ottenere i risultati sperati.
Per raggiungere la neutralità nel bilancio delle emissioni di anidride carbonica sono state necessarie anche azioni passive, come l'umento delle possibilità naturali del loro assorbimento. A questo scopo la Sydney Opera House, in collaborazione con l’associazione no profit Greenfleet, ha piantumato nella vicina Campbelltown 300 alberi di essenze native che avranno anche un ruolo positivo e naturale nella rigenerazione del territorio.
Dopo il raggiungimento di questi importanti risultati, il cammino verso una sostenibilità ancora maggiore tuttavia prosegue: l'obiettivo è quello di raggiungere entro il 2023 la riduzione del 20% dei consumi energetici, il recupero dell’85% dei rifiuti e il raggiungimento delle 5 stelle (oggi sono 4) del Green Star Performance Rating del GBCA (Green Building Council of Australia).
I prototipi dei mini ospedali mobili saranno costruiti con materiali innovativi ecosostenibili
È questo l’obiettivo del progetto SOS (Smart Operating Shelter), cofinanziato dalla Regione Puglia, che vede insieme il Centro Ricerche ENEA di Brindisi, il Politecnico di Bari, l’industria R.I., il Consorzio CETMA (Centro di Ricerche Europeo di Tecnologie, Design e Materiali) e le aziende ENA Consulting, Kinema, Mespo, Protom group.
Il progetto, proposto dall’azienda R.I. punta a realizzare shelter medicali utilizzando con materiali innovativi ecosostenibili di facile assemblaggio e interconnessi per l’invio e la ricezione di indagini mediche.
Grazie all’esperienza dei ricercatori Enea impegnati da anni nello sviluppo di materiali innovativi e sostenibili per il risparmio energetico in edilizia, si sono studiati pannelli in fibra animale o vegetale di cui si testeranno requisiti termici, meccanici e di resistenza all’attacco del fuoco e di funghi e muffe.
Gli esperti dell’ENEA eseguiranno inoltre prove sulla salubrità degli ambienti interni e sul comfort abitativo degli shelter che saranno pronti il prossimo anno.
Il progetto nasce dalle richieste sollevate dalla sanità di poter operare in presidi mobili facilmente convertibili in funzione dell’aggiornamento tecnologico delle attrezzature diagnostiche e terapeutiche, che possano raggiungere facilmente utenti e comunità. Inoltre il prototipo risponderebbe all’esigenza sempre più sentita di ridurre le liste di attesa e ampliare il bacino di utenza in modo da garantire un miglio rapporto costi/benefici e più aliti livelli tecnologici e qualitativi.
“Attualmente molti shelter medicali vengono ancora realizzati con materiali non sempre riciclabili o riutilizzabili al 100%”, ha sottolineato Vincenza Luprano del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali dell’ENEA.
“Per questo motivo la nostra ricerca si sta focalizzando nella realizzazione di microarchitetture più sostenibili e anche più leggere in grado di contribuire alla continuità di funzionamento degli ospedali in caso di emergenza o ristrutturazione" , conclude Luprano.
900 euro per costruire una casa a km zero utilizzando la terra.
È stata presentata il 6 e il 7 ottobre a Massa Lombarda (RA) la prima casa realizzata con una stampante 3d a base di terra cruda e scarti di lavorazione del riso (paglia e lolla di riso), il tutto a km zero.
Gaia, denominata tale per l’utilizzo di terra cruda come principale legante della miscela costituente, è frutto della vincente collaborazione tra WASP, azienda leader nella stampa tridimensionale e RiceHouse, startup italiana che opera nel campo della bioedilizia attraverso l'uso degli scarti provenienti dalla produzione del riso, nell’ambito dell’evento “Viaggio a Shamballa” e della conferenza “A call to save the world”.
Per la realizzazione del prototipo è stata utilizzata una nuova tecnologia di stampante 3D, la Crane Wasp, che usa materiali naturali del territorio circostante per costruire abitazioni sostenibili: mediante l’utilizzo di fibre vegetali fornite da RiceHouse, WASP ha sviluppato una mescola composta per il 25% da terreno prelevato in sito (30% argilla, 40% limo e 30% sabbia), per il 40% da paglia di riso trinciata, per il 25% da lolla di riso e il 10% da calce idraulica. La mescola è stata impastata attraverso l’uso della molazza, in grado di rendere il composto omogeneo e lavorabile.
Gaia può essere dunque considerata un nuovo modello architettonico ecosostenibile, non solo per l’attenzione all’impiego di materiali naturali di scarto, ma anche per le caratteristiche performanti del suo involucro dal punto di vista energetico: stampate in poche settimane, le sue murature risultano essere particolarmente efficienti dal punto di vista bioclimatico e di salubrità degli ambienti; il prototipo non necessita né di riscaldamento né di un impianto di condizionamento, in quanto mantiene al suo interno una temperatura mite e confortevole sia d'inverno che d'estate.
Il progetto, firmato RiceHouse, prevede un orientamento sud-ovest, e, per sfruttare al meglio l’apporto passivo del sole e la luce naturale , la presenza di una grande vetrata. La copertura è realizzata in legno con un isolamento in calce-lolla (RH300), il massetto contro terra è realizzato in calce-lolla, leggero ma isolante per permettere di raggiungere un fabbisogno energetico pari a una classe A4.
L’involucro esterno è stato progettato con la finalità di integrare al proprio interno i sistemi di ventilazione naturale, di isolamento termo-acustico e di impiantistica. La deposizione del materiale a base di terra cruda, paglia e lolla di riso viene controllata attraverso articolati intrecci in grado di conferire al contempo solidità costruttiva e variazione geometrica lungo l’intero sviluppo murario. La parete monolitica stampata in 3d è poi stata rifinita internamente con una rasatura in argilla-lolla (RH400), levigata e oliata con oli di lino.
Grazie alla precisione e alla velocità della tecnologia 3d, si possono inoltre ottenere geometrie complesse, difficilmente replicabili con i sistemi tradizionali di costruzione. La realizzazione dell’involucro stampato in 3d, per un totale di 30 mq di parete dallo spessore di 40 cm, ha richiesto complessivamente 10 giorni, con un costo totale dei materiali di 900 €.
L’esperienza di Gaia offre l’occasione per divulgare le molteplici potenzialità che la stampa 3d può ancora esprimere grazie alle risorse presenti nel territorio agricolo mondiale, garantendo livelli minimi di impatto ambientale a fronte di infinite soluzioni progettuali, indispensabili per le nuove frontiere dell’abitare.
Tiziana Monterisi , CEO di RiceHouse, afferma: “Gaia è stata realizzata esclusivamente con materiali naturali quali terra cruda, paglia trinciata, lolla e legno ed è altamente performante dal punto di vista energetico e ambientale”.