Una spinta all’innovazione nel riciclo dei materiali firmata Enea e Università della Calabria permetterà al settore delle costruzioni di chiudere il cerchio produttivo
Nascono dalla collaborazione tra Enea, l’Università della Calabria e due aziende calabresi i due nuovi progetti denominati PFU PREDECORE e PVC UpCycling che permetteranno di realizzare nuovi prodotti ecosostenibili per l’edilizia a partire da pneumatici in disuso e vecchi cavi elettrici.
Le due iniziative, del valore complessivo di oltre 1,1 milioni di euro, applicano il concetto di upcycling, versione potenziata delle moderne pratiche di riciclo, che trasformano i rifiuti e gli scarti in prodotti con un valore più alto del materiale originale.
Il progetto PFU PREDECORE (PRemiscelati per l’EDilizia ECOcompatibili e a Risparmio Energetico) prevede la realizzazione di prodotti edilizi sostenibili come intonaci, malte e colle con premiscelati a base di pneumatici fuori uso (PFU) in sostituzione di un materiale aggregante tradizionale come la sabbia. Questo rifiuto viene trattato meccanicamente riducendolo polverino o granuli che sono poi utilizzati in sostituzione parziale o totale all’aggregato tradizionale. Le attività di ricerca consisteranno nella caratterizzazione fisica, chimica e meccanica dei manufatti, valutazione di durabilità e proprietà isolanti e allestimento di un impianto pilota su scala semi-industriale.
“L’importanza di questo progetto è duplice: da una parte consente di ottenere prodotti a basso impatto ambientale, caratterizzati da una matrice ad elevate prestazioni. Dall’altra offre la possibilità di incrementare notevolmente il valore economico del materiale PFU, aumentando di conseguenza la domanda e, quindi, valorizzando l’intera filiera che si occupa del recupero/trattamento”, sottolinea la responsabile ENEA del progetto Maria Bruna Alba.
L’obiettivo è quello di realizzare materiali performanti dal punto di vista delle caratteristiche di conducibilità termica e di isolamento acustico. “Le caratteristiche termoacustiche dei manufatti realizzati con PFU sono risultate ampiamente soddisfacenti. Per quanto riguarda la capacità di isolamento termico, i campioni analizzati sono risultati di pari caratteristiche rispetto ad analoghi intonaci e malte isolanti presenti sul mercato. Dal punto di vista dell’isolamento acustico, invece, i manufatti realizzati con PFU si sono dimostrati più performanti, migliorando l’abbattimento acustico del 9%”, aggiunge Maria Bruna Alba.
Il secondo progetto, denominato PVC UpCycling, prevede la realizzazione di prodotti edili a basso impatto ambientale a partire dal PVC di vecchi cavi elettrici provenienti dalla dismissione di impianti energetici. Gli ambiti di applicazione sono rivestimenti per pavimentazioni esterne (piastrelle in PVC su massetto esistente), i piazzali carrabili (massetto armato con malta miscelata con granuli di PVC) e green parking (blocchi a spessore in PVC riciclato e giunti strutturali in PLA stampati in 3D).
Gli obiettivi sono quelli di ottenere un’innovazione di processo tramite un modello circolare in cui l’intera parte degli scarti (PVC, alluminio e rame) provenienti dalla dismissione dei cavi elettrici degli impianti industriali è avviata al riciclo e realizzare nuovi manufatti ecosostenibili. “In questo progetto – spiega il ricercatore ENEA Corradino Sposato – mettiamo in campo le linee programmatiche prioritarie di ENEA, quali la valorizzazione, gestione e salvaguardia dell’ambiente, il recupero e riutilizzo di materiali in processi ecosostenibili e l’efficienza energetica, supportando aziende come R.ED.EL. che si prefiggono il triplice obiettivo di migliorare l’efficienza del sistema produttivo, ampliare il proprio mercato con nuovi prodotti e potenziare la propria competitività sul lungo periodo”.
Lo studio di nuovi materiali ecosostenibili è da sempre una sfida aperta nel campo dell'edilizia, ogni giorno ci si ingegna e si studiano nuovi prodotti per la produzione di materiali innovativi e che allo stesso tempo risultino confortevoli, garantendo, comunque, alte prestazioni in termini di caratteriste meccaniche. L'ecocompatibilità dei materiali si valuta attraverso diversi parametri e tra questi c'è il processo di produzione. Esso tende a favorire lavorazioni più semplici che richiedono minore uso di acqua e di energia, elevata capacità di recupero e riciclo in seguito alla dismissione dei materiali e capacità di isolamento degli ambienti contribuendo ad una minore emissione di sostanze nocive.
Trasformare i rifiuti in prodotti con un valore più alto del materiale originale: questo il concetto alla base dell’upcycling, versione potenziata delle moderne pratiche di riciclo. Due nuovi progetti, del valore complessivo di oltre 1,1 milioni di euro, vedono ENEA collaborare con l’Università della Calabria e due aziende calabresi per la realizzazione di nuovi prodotti ecosostenibili per l’edilizia, come: piastrelle, intonaci e malte; ricavati da pneumatici fuori utilizzo e cavi elettrici dismessi.
Il progetto PFU PREDECORE (PRemiscelati per l’EDilizia ECOcompatibili e a Risparmio Energetico), coordinato dalla società Gatim srl, punta a realizzare intonaci, malte e colle con premiscelati a base di PFU, in sostituzione di un materiale aggregante tradizionale come la sabbia. Sono previste attività di vario tipo, che coinvolgono la caratterizzazione fisica, chimica e meccanica dei prodotti, la valutazione di durabilità e le proprietà isolanti, inoltre ci sarà l'allestimento di un impianto pilota su scala semi-industriale.
Maria Bruna Alba, responsabile ENEA del progetto, spiega che oltre a realizzare nuovi prodotti sostenibili ed efficienti, questo progetto si caratterizza per la possibilità di aumentare il valore economico del materiale PFU e dunque la sua domanda, con interessanti possibilità per l’intera filiera del recupero/trattamento. L’Enea è responsabile delle attività sperimentali relative alla definizione della conducibilità termica e dell’isolamento acustico necessarie per verificare le proprietà isolanti dei vari prodotti. “Le caratteristiche termoacustiche dei manufatti realizzati con PFU sono risultate ampiamente soddisfacenti. Per quanto riguarda la capacità di isolamento termico, i campioni analizzati sono risultati di pari caratteristiche rispetto ad analoghi intonaci e malte isolanti presenti sul mercato. Dal punto di vista dell’isolamento acustico, invece, i manufatti realizzati con PFU si sono dimostrati più performanti, migliorando l’abbattimento acustico del 9%”, spiega Maria Bruna Alba.
Il secondo progetto, denominato PVC UpCycling, coordinato da R.ED.EL. srl, prevede di realizzare prodotti edili a basso impatto ambientale utilizzando PVC recuperato da cavi elettrici dismessi. Tre i principali ambiti: i rivestimenti per pavimentazioni esterne (piastrelle in PVC su massetto esistente), i piazzali carrabili (massetto armato con malta miscelata con granuli di PVC) e green parking (blocchi a spessore in PVC riciclato e giunti strutturali in PLA stampati in 3D).
L’ENEA ha sviluppato malte cementizie contenenti PVC riciclato studiandone gli aspetti meccanici, termici e di assorbimento dell’acqua. Inoltre ha realizzato prototipi in PVC e resina poliuretanica per il settore edilizio, conducendo test di durabilità, resistenza e tenuta del colore rispetto alla radiazione solare.
“In questo progetto mettiamo in campo le linee programmatiche prioritarie di ENEA, quali la valorizzazione, gestione e salvaguardia dell’ambiente, il recupero e riutilizzo di materiali in processi ecosostenibili e l’efficienza energetica, supportando aziende come R.ED.EL. che si prefiggono il triplice obiettivo di migliorare l’efficienza del sistema produttivo, ampliare il proprio mercato con nuovi prodotti e potenziare la propria competitività sul lungo periodo”, commenta il ricercatore ENEA Corradino Sposato.
La posizione dell’ Anit in merito alla proposta di provvedimento denominato “bonus facciate”.
L’Associazione Nazionale per l’Isolamento Termico ed Acustico lancia l’allarme su uno dei contenuti del disegno di Legge di Bilancio 2020, ossia sul cosiddetto “bonus facciate”. Secondo l’associazione l’agevolazione proposta dal Governo potrebbe pregiudicare la politica energetico ambientale che l’Italia sta portando avanti ormai da anni.
Nonostante la volontà positiva del Governo di sostenere un settore in crisi come l’edilizia, l’Anit ritiene che “sia indispensabile una strategia a lungo termine mirata al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale, economica e sociale.”
Secondo la bozza proposta il bonus facciate, comprenderebbe qualsiasi intervento sulla facciata, “sia interventi di finitura estetica, di rifacimento dei balconi o dei cornicioni, di opere di lattoneria, di pura tinteggiatura o rivestimenti esterni che interventi di isolamento termico e quindi di efficientamento energetico con conseguente riduzione di consumi e di emissioni inquinanti”.
L’incentivazione al 90% degli interventi di pura finitura estetica e al 65%-75% interventi di efficientamento energetico e messa in sicurezza statica porterebbe quindi ad una promozione dei primi a discapito dei secondi; infatti deliberare lavori puramente estetici su strutture su cui presumibilmente non verranno eseguiti altri interventi per moltissimi anni, significa per ANIT perdere un’ottima occasione per una riqualificazione energetica durevole, dato che, quando un condominio interviene sull’involucro esterno prevede un investimento importante, di cui una buona parte riguarda le opere provvisionali (ossia i ponteggi).
Altra segnalazione di ANIT: i progetti di riqualificazione energetica non ancora iniziati ma approvati, potrebbero essere bloccati con la prospettiva di poter usufruire nel 2020 di migliori coefficienti di detrazione e minori requisiti, senza alcun vantaggio energetico ambientale e con conseguente rischio di bloccare il mercato edilizio.
La proposta di ANIT, pertanto, è quella di apportare al provvedimento alcune modifiche. In primo luogo chiede che siano ammessi al “bonus facciate” gli interventi che prevedono anche un miglioramento dell’efficienza energetica e che dovranno, nei propri ambiti di applicazione, rispettare i limiti di legge previsti per l’Ecobonus; che possano accedere al “bonus facciate” anche interventi di finitura ma solo nel caso degli edifici di valore storico artistico e sotto la tutela dei beni culturali che oggi vengono esclusi dall’applicazione del DM 26 giugno 2015 e s.m.; infine, che nei soli casi sopra citati rientrino negli interventi incentivabili anche quelli di manutenzione ordinaria e le opere accessorie a completamento dell’opera e che sia resa obbligatoria la comunicazione all’ENEA come previsto per tutti gli interventi di efficientamento al fine di quantificare il risparmio conseguito.
In tale modo il “bonus facciate” diventerebbe una sorta di Ecobonus potenziato, valido solo per l’anno 2020. Ciò creerebbe un forte impulso alla riqualificazione (sia estetica, sia energetica) delle facciate e risulterebbe in linea con la Strategie Energetica Nazionale necessaria per il raggiungimento degli obiettivi previsti dall’Europa e inseriti nelle Direttive Europee.
Il biogas si forma spontaneamente dalla fermentazione di materia organica. Le discariche di rifiuti urbani possono diventarne grandi produttori, visto che normalmente il 30–40% del rifiuto è appunto materiale organico, altre fonti principali potrebbero essere l'industria agricola o zootecnica; tale gas per essere utilizzabile ed ottenere un valore economico, prima deve essere captato ed accumulato in apposite strutture evitandone la dispersione nell'ambiente, per essere in seguito bruciato per produrre calore ed energia elettrica.
Gli impianti a biogas “tradizionali” funzionano, in maniera semplicistica, in questa maniera. All'interno di un apposito contenitore, il fermentatore, vengono convogliate varie sostanze naturali quali: letame, liquame, pollina, siero lattiero-caseario, scarti vegetali, sottoprodotti agricoli. Colture quali silo mais, frumento, sorgo, granella, in combinazione con liquami e letami, sono ottime materie prime. Inoltre possono essere utilizzati anche scarti dell'industria agroalimentare.
Nel fermentatore, in assenza di ossigeno e a temperatura controllata, un grande numero di batteri degrada la sostanza organica. Il risultato di questa degradazione è triplice: biogas, calore e digestato (fertilizzante liquido naturale):
- Il biogas viene convertito in energia elettrica grazie a un cogeneratore e ceduto alla rete nazionale. Una parte è convertita in ulteriore calore.
- Il calore, oltre che per il processo di fermentazione stesso, è utilizzato per il rilscaldamento di alcuni locali dell'azienda, come stalle e uffici (o addirittura per un processo industriale).
- Il digestato viene utilizzato come fertilizzante naturale nelle coltivazioni aziendali, la cui qualità è di gran lunga superiore al letame.
ENEA ha realizzato, presso il Centro Ricerche Casaccia, un nuovo impianto sperimentale per produrre biogas in grado di aumentarne resa e contenuto in metano oltre il 70%, riducendo volumi, tempi e costi di produzione rispetto agli impianti “tradizionali”.
In futuro, l’impianto verrà ampliato e dotato di altri componenti per testare, anche in collaborazione con l’industria del settore, una serie di innovazioni tecnologiche e di processo promettenti per la produzione di biometano e bioidrogeno. Si prevede di realizzare, in concomitanza, una copertura con pannelli fotovoltaici, che serviranno sia per alimentare le utenze dell’impianto che per produrre, mediante elettrolisi dell’acqua, una corrente di idrogeno che verrà impiegata in processi innovativi di bioconversione della CO2 contenuta nel biogas in metano.
L’impianto si compone di un digestore pilota del volume di 1 m3 e di un dispositivo innovativo a campi elettrici pulsati, di taglia ridotta rispetto a quelli in commercio, che incrementano la resa di conversione in biogas, accelerando la degradazione della cellulosa, la componente più rilevante delle biomasse utilizzate. Adatto per essere alimentato con biomasse cosiddette “povere”, come canne, paglia, residui agricoli o rifiuti organici, al momento funziona con gli scarti provenienti dalla mensa del Centro.
“La produzione di biogas da impianti di digestione anaerobica è considerata una tecnologia matura ampiamente diffusa sul territorio nazionale, in particolare nel Nord Italia, ma presenta delle criticità, specie nel caso di utilizzo di una percentuale rilevante di biomasse povere”, evidenzia Vito Pignatelli, responsabile del Laboratorio ENEA di “Biomasse e Tecnologie per l’Energia”. In questo caso, infatti, la ridotta efficienza di conversione della biomassa, pari a circa il 50-60%, e il ridotto contenuto in metano, intorno al 50%, fanno aumentare i costi per l’eventuale immissione in rete del biogas che per legge deve avere un contenuto minimo di metano del 97%.
“Grazie alle innovazioni sviluppate nei laboratori dell'ENEA, come ad esempio l’impiego di miscele selezionate di funghi e batteri e la separazione dei diversi stadi del processo di digestione anaerobica in due diversi reattori (processo bistadio), oltre ad aumentare le rese di conversione di biomasse povere, siamo anche in grado di prevenire perdite di produttività in quanto, se si verifica un problema nel primo reattore, mentre si interviene su questo, il secondo continua a produrre metano regolarmente”, aggiunge Pignatelli. “I benefici sono comunque anche altri e di carattere più generale: utilizzando scarti alimentari contribuiamo alla riduzione dei rifiuti e con l’impiego di biomasse povere siamo in grado di valorizzare economicamente scarti dell’agricoltura, che rimangono in gran parte inutilizzati o, in prospettiva, recuperare a fini produttivi terreni degradati o comunque non utilizzabili per l’agricoltura convenzionale, come le aree in prossimità delle discariche”, conclude Pignatelli.
Un importante elemento innovativo è la possibilità di verificare su scala pilota l’efficacia di diverse opzioni e configurazioni di processo, applicate separatamente o in modo combinato, testando soluzioni tecnologiche che possano essere proposte sul mercato per l’eventuale potenziamento ed efficientamento degli impianti già esistenti.
Uno studio condotto da ENEA e Politecnico di Milano nell’ambito del progetto: “Riqualificazione energetica degli edifici pubblici esistenti: direzione nZEB”, finanziato dalla Ricerca di Sistema Elettrico del Ministero dello Sviluppo Economico, ha portato alla realizzazione di un "biomattone" un materiale composito ideale per un clima mediterraneo come il nostro, che permette di mantenere nei periodi estivi una temperatura media di 26 gradi, evitando così il perenne ricorso alla climatizzazione.
Ottenuto da una miscela di calce e canapulo, lo scarto legnoso della canapa, il materiale abbina basso impatto ambientale, alte prestazioni energetiche, traspirabilità, ottime capacità isolanti, protezione dall’umidità e comfort. Oltre alla valutazione delle prestazioni ambientali del “calcecanapulo” mediante l’analisi del ciclo di vita (LCA), i ricercatori hanno effettuato dapprima prove in laboratorio in camera climatica a 23° e a 35° e successivamente anche una campagna di misure “in situ”, in Sicilia e in Veneto, su edifici realizzati con le stesse tecnologie.
“Lo studio ha evidenziato nel complesso un bilancio ambientale molto positivo per quanto riguarda l’impronta di carbonio: in pratica la parete in blocchi in calcecanapulo funziona come un sistema in grado di sottrarre CO2 dall’atmosfera e tenerla bloccata per un tempo sufficientemente lungo”, sottolinea Giovanni Dotelli del Politecnico di Milano. “Inoltre dai primi dati sperimentali emerge la buona performance termoigrometrica della parete che, indipendentemente dalle oscillazioni di umidità e temperatura esterne, si assesta su valori interni constanti, senza l’utilizzo di condizionatori e per l’intero periodo di misura effettuato nei mesi più caldi”, aggiunge Patrizia Aversa, del Centro Ricerche ENEA di Brindisi.
“Per il mercato italiano dell’edilizia, l’introduzione delle normative in ambito energetico ha rappresentato un forte stimolo a innovare materiali e componenti per garantire prestazioni più elevate in linea con i nuovi standard”, spiega Vincenza Luprano, ricercatrice del Centro Ricerche ENEA di Brindisi. “La canapa, come materiale naturale, e i suoi sottoprodotti agricoli, hanno un ruolo importante per la nascita di nuove filiere, incentivate anche da leggi nazionali, per l’ampia disponibilità sul territorio e per il basso impatto del ciclo produttivo sull’ambiente, in un’ottica di economia circolare”.
Perché usare i materiali naturali in alternativa ai sintetici? I materiali sintetici presentano due criticità: la prima di carattere ambientale legata al fatto che la loro produzione inquina l’ambiente in cui viviamo, essendo derivati del petrolio; la seconda di carattere tecnico legata al fatto che sono scarsamente traspiranti ed hanno una bassa propensione a isolare nel periodo estivo in quanto leggeri,avendo quindi poca inerzia termica. Una nuova costruzione isolata con materiali sintetici pur presentando una buona risposta al clima invernale, in funzione dello spessore e delle caratteristiche dell’isolante, non sempre risponde altrettanto bene al clima estivo, pertanto in ambiente dal clima Mediterraneo non rappresenta la migliore soluzione tecnica. Inoltre la sua scarsa traspirabilità, sommata alla tenuta all’aria delle nuove costruzioni, determina, in assenza di impianti specifici, l’insorgenza di fenomeni di condensa e formazione di muffe, rendendo malsano l’ambiente. Per soddisfare queste richieste tecniche, il più delle volte, bisogna intervenire utilizzando differenti materiali ognuno capace di risolvere un problema tecnico specifico. Questo tende a far diventare i muri, o i pacchetti solaio, di tipo multistrato complicandone l’esecuzione.
I materiali naturali provengono invece dalla terra pertanto nel loro ciclo di vita assorbono anidride carbonica rendendo più pulita l’aria e l’ambiente in cui viviamo; hanno un peso specifico maggiore rispetto ai materiali sintetici cosa che determina una ottima risposta all’isolamento estivo e infine hanno, mediamente, un buon valore di traspirabilità.