La posizione dell’ Anit in merito alla proposta di provvedimento denominato “bonus facciate”.
L’Associazione Nazionale per l’Isolamento Termico ed Acustico lancia l’allarme su uno dei contenuti del disegno di Legge di Bilancio 2020, ossia sul cosiddetto “bonus facciate”. Secondo l’associazione l’agevolazione proposta dal Governo potrebbe pregiudicare la politica energetico ambientale che l’Italia sta portando avanti ormai da anni.
Nonostante la volontà positiva del Governo di sostenere un settore in crisi come l’edilizia, l’Anit ritiene che “sia indispensabile una strategia a lungo termine mirata al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale, economica e sociale.”
Secondo la bozza proposta il bonus facciate, comprenderebbe qualsiasi intervento sulla facciata, “sia interventi di finitura estetica, di rifacimento dei balconi o dei cornicioni, di opere di lattoneria, di pura tinteggiatura o rivestimenti esterni che interventi di isolamento termico e quindi di efficientamento energetico con conseguente riduzione di consumi e di emissioni inquinanti”.
L’incentivazione al 90% degli interventi di pura finitura estetica e al 65%-75% interventi di efficientamento energetico e messa in sicurezza statica porterebbe quindi ad una promozione dei primi a discapito dei secondi; infatti deliberare lavori puramente estetici su strutture su cui presumibilmente non verranno eseguiti altri interventi per moltissimi anni, significa per ANIT perdere un’ottima occasione per una riqualificazione energetica durevole, dato che, quando un condominio interviene sull’involucro esterno prevede un investimento importante, di cui una buona parte riguarda le opere provvisionali (ossia i ponteggi).
Altra segnalazione di ANIT: i progetti di riqualificazione energetica non ancora iniziati ma approvati, potrebbero essere bloccati con la prospettiva di poter usufruire nel 2020 di migliori coefficienti di detrazione e minori requisiti, senza alcun vantaggio energetico ambientale e con conseguente rischio di bloccare il mercato edilizio.
La proposta di ANIT, pertanto, è quella di apportare al provvedimento alcune modifiche. In primo luogo chiede che siano ammessi al “bonus facciate” gli interventi che prevedono anche un miglioramento dell’efficienza energetica e che dovranno, nei propri ambiti di applicazione, rispettare i limiti di legge previsti per l’Ecobonus; che possano accedere al “bonus facciate” anche interventi di finitura ma solo nel caso degli edifici di valore storico artistico e sotto la tutela dei beni culturali che oggi vengono esclusi dall’applicazione del DM 26 giugno 2015 e s.m.; infine, che nei soli casi sopra citati rientrino negli interventi incentivabili anche quelli di manutenzione ordinaria e le opere accessorie a completamento dell’opera e che sia resa obbligatoria la comunicazione all’ENEA come previsto per tutti gli interventi di efficientamento al fine di quantificare il risparmio conseguito.
In tale modo il “bonus facciate” diventerebbe una sorta di Ecobonus potenziato, valido solo per l’anno 2020. Ciò creerebbe un forte impulso alla riqualificazione (sia estetica, sia energetica) delle facciate e risulterebbe in linea con la Strategie Energetica Nazionale necessaria per il raggiungimento degli obiettivi previsti dall’Europa e inseriti nelle Direttive Europee.
Come rendere più smart le reti idriche, utilizzare l’idrogeno in agricoltura, gestire al meglio i rifiuti pericolosi, i fanghi da depurazione, la bioplastica per gli imballaggi, rendere più efficienti gli impianti a biogas, prevenire i rischi idrogeologici, le inondazioni e l’erosione delle coste. Sono alcuni degli argomenti al centro della nuova edizione di Ecomondo, il più importante evento fieristico europeo sulla circular e green economy, in programma dal 5 novembre a venerdì 8 al quartiere fieristico riminese di Italian Exhibition Group. In contemporanea si svolgono anche: Key Energy, il salone delle energie rinnovabili, il biennale Sal.Ve, salone del veicolo per l’ecologia, a cui quest’anno si aggiunge anche la prima edizione di Dpe - Distributed Power Europe, l’evento dedicato alla power generation.
Nello stand ENEA (Pad. D3 055) sono in mostra soluzioni per la smart home, la smart city, l’economia circolare, il trasferimento tecnologico e il risparmio energetico con il progetto ES-PA, che punta a ridurre i consumi di energia nella Pubblica amministrazione, inoltre, ENEA presenta un robot domestico che aiuta a risparmiare energia e ridurre le bollette.
Il robot domestico presentato a Ecomondo si chiama NAO ed è in grado di monitorare gli ambienti e di avvisare per eventuali malfunzionamenti dei sistemi elettrici, termici o perdite d’acqua e di gas, in connessione all’impianto domotico. L’innovazione tecnologica di ENEA si basa su sensori in grado di monitorare i consumi, ma anche di segnalare effrazioni alla sicurezza e controllare le condizioni di salute delle persone all’interno delle abitazioni.
Per la realizzazione di una smart city, ENEA collabora con il Comune di Livorno alla realizzazione del primo modello su scala urbana, che consentirà risparmi energetici fino al 70%, oltre a un taglio della CO2 di oltre 1.400 tonnellate annue. Gli interventi prevedono l’adozione di tecnologie, come il lampione "intelligente" che trasforma l’illuminazione pubblica in un hub digitale in grado monitorare traffico e qualità dell’aria, garantendo al contempo l’abbattimento dei consumi di energia e una diffusa rete wi-fi pubblica.
Presso lo stand è esposto un campione di filato per tessuti hi-tech realizzato dagli scarti di lavorazione della fibra di carbonio, utilizzato per i rivestimenti interni delle automobili. Frutto di un brevetto depositato da ENEA e Università degli Studi di Bergamo, il filato può essere integrato con circuiti elettronici per sfruttarne le capacità di riscaldamento, di comunicazione e di connessione elettrica. Questo nuovo materiale da recupero ha un costo inferiore del 50% rispetto a quello in fibra di carbonio vergine e permette una notevole riduzione dell’impatto ambientale, grazie all’utilizzo di scarti destinati altrimenti allo smaltimento in discarica.
Presentate bottiglie e vaschette di plastica green, 100% biodegradabili e compostabili, ricavate dagli scarti della produzione di burro e formaggi e realizzate nell’ambito del progetto BIOCOSI’, che ha appena vinto il premio “Agrifoodmaker 2019” per l’innovazione nel settore dell’agricoltura e dell’alimentazione, promosso tra gli altri dal Ministero delle politiche agricole alimentari.
ENEA ha scelto di mettere a disposizione degli espositori e dei visitatori un team di “ambasciatori dell’innovazione”, i Knowledge Exchange Officer (KEO), ricercatori con competenze su tematiche tecnologiche di ricerca applicata nei settori energia, beni culturali, diagnostica avanzata, strumenti medicali e biotecnologie e agroindustria, specializzati nel trasferimento tecnologico, sviluppo di progetti e valorizzazione dei brevetti.
Con il Comunicato dell'11 ottobre 2019 pubblicato sul proprio sito istituzionale, il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ha annunciato il Piano “Rinascita Urbana”, un Progetto pluriennale del Governo finalizzato a riqualificare e rigenerare i quartieri nei Comuni e nelle Città metropolitane, per il quale è stato stanziato un miliardo di Euro. Il Piano comprende interventi volti al miglioramento della qualità dell’abitare, come il restauro degli edifici che necessitano di esser messi in sicurezza, sostenere le famiglie in affitto e finanziare i cantieri nei piccoli Comuni.
Come annunciato dalla Ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli: "l’ambito d’intervento del piano saranno i Comuni con situazioni di marginalità economica e sociale importanti, degrado edilizio e carenza di servizi, oltre a spazi consistenti e inutilizzati da riqualificare (…) Il piano prevede lo sviluppo di dotazioni urbane e di servizi connessi all’abitare come il primo soccorso, il medio e piccolo commercio, gli spazi collettivi e relazionali; la riconversione di immobili e spazi oggi inutilizzati pubblici e privati; la manutenzione straordinaria; il miglioramento sismico, sostenibilità energetica e innovazione tecnologica con la trasformazione di edifici da tradizionali a intelligenti, fibra ottica e incremento della domotica; il co-house, gli spazi di socializzazione all’interno dei condomini, residenze temporanee destinate a studenti."
“Rinascita urbana” è un programma pluriennale innovativo per la riqualificazione e l’incremento dell’edilizia residenziale pubblica e sociale e per la rigenerazione urbana. Un programma per far rinascere interi quartieri nelle città medie e grandi. Il piano, con tutte le misure, vale un miliardo di euro. Il Fondo, in dotazione al Piano varato dal Governo, prevederà inoltre la possibilità di cofinanziare insieme alle Regioni i singoli interventi, con l’eventuale apporto di risorse private come quelle di Cassa Depositi e Prestiti, oltre che dei fondi privati che si occupano dell’abitare. Questa misura governativa è cumulabile con le altre misure a favore della casa, come il “Sisma Bonus” e il cosiddetti “Ecobonus”. Una parte consistente del piano finanzia il fondo di sostegno alla locazione, per agevolare l’accesso all’affitto per le famiglie in difficoltà. Le risorse arriveranno direttamente alle famiglie attraverso la definizione di graduatorie comunali aggiornate ogni tre mesi.
I Comuni destinatari delle risorse, sono quelli che presenteranno una marginalità economica e un degrado edilizio e scarsi servizi, oltre che edifici bisognosi di interventi di restauro.
Il principale obiettivo è quello di riqualificare e incrementare il patrimonio destinato all’edilizia residenziale sociale, migliorandone l’accessibilità, la sicurezza dei luoghi urbani,
l’abbattimento delle barriere architettoniche spesso riutilizzando e rigenerando spazi urbani già costruiti rendendoli fruibili.
E’ possibile accedere alle risorse attraverso un bando pubblico del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti; la valutazione dei progetti avverrà da parte di una commissione composta da esperti dalla elevata professionalità. Il finanziamento massimo richiesto è di 20 milioni di euro per ciascun progetto.
Continuano i lavori per la realizzazione del progetto firmato Foster and Partners: meno tecnologica e più sostenibilità per la città green del Medio Oriente
Situata nel cuore degli Emirati Arabi, a pochi chilometri dalla capitale Abu Dhabi, Masdar City è stata progettata e concepita come la prima città "carbon neutral". Letteralmente il suo nome vuol dire “città sorgente”, intesa come "sorgente" di energie alternative, che permettono alla città di autoalimentarsi e rendere la produzione dei rifiuti quasi uguale a zero. La città è collocata nel deserto, estendendosi su un’area di circa 6 km quadrati, ed è stata pianificata per una popolazione di circa 50.000 abitanti secondo i più innovativi principi tecnologici di eco sostenibilità.
Il Masdar City project ha avuto inizio nel 2006 finanziato dall’Abu Dhabi Future Energy Company (ADFEC), presieduta dallo sceicco Mohammad Bin Zayed Al Nahyan, con un budget di spesa di circa 22 miliardi di dollari; nel 2016 è stata completata la prima fase mentre nel 2017 ha avuto inizio la seconda.
Il progetto, sviluppato dallo studio di architettura inglese Foster and Partners, è fondato su quattro grandi temi: identità, pedonabilità, sostenibilità e replicabilità. In particolare, ispirandosi alla cultura locale e al paesaggio naturale degli Emirati Arabi, il progetto prevede di creare spazi che animano e coinvolgono la città e la comunità, focalizzandosi, inoltre, sulla mobilità sostenibile e sull’incentivazione dei percorsi pedonabili. Tutti i camminamenti sono immersi nel verde, in modo da consentire agli abitanti di muoversi facilmente in aree ombreggiate, che favoriranno anche l’abbassamento delle temperature delle zone vicine.
Nella fase 2 del progetto vengono integrate le pratiche di progettazione sostenibile mediante un approccio ecologico a tutti i livelli, dagli edifici al paesaggio urbano: si punta sia sullo sfruttamento di energia rinnovabile con strategie di progettazione passiva e a livello paesaggistico sono sviluppate una serie di idro-zone e molte aree verdi, per il 70% costituite da piantagioni del luogo.
Il punto focale del progetto è dato dalla replicabilità delle strategie previste: Masdar City diventea quindi un modello ed esempio di progettazione di città sostenibile imitabile e replicabile in tutta la regione, ma anche in altre parti del mondo.
La città è completamente alimentata dall’energia solare che copre circa l’80% del fabbisogno di energia elettrica necessaria a sostentare la città e proviente per la maggior parte da una centrale fotovoltaica ampia 21 ettari, posta poco fuori il perimetro di Masdar City. Anche i tetti delle abitazioni sono integrati con pannelli fotovoltaici per aumentare la produzione elettrica, e inoltre, gigantesche strutture ombrelliformi, dotate di cellule fotovoltaiche, sono dislocate su tutto lo spazio pubblico. Quest’ultime durante il giorno sono aperte sulla piazza, assorbono il calore e la luce solare e allo stesso tempo offrono un luogo ombreggiato e riparato al di sotto del quale è possibile svolgere delle attività. La sera, invece, queste strutture si richiudono su se stesse per dar vita a grandi boccioli luminosi che rilasciano anche calore gradualmente.
Le strette strade di Masdar City sono state progettate in modo da sfruttare i moti convettivi dell’aria e mantenere temperature più basse grazie anche alla costruzione di una grande torre del vento in grado di incanalare per le vie cittadine le correnti d’aria fresche provenienti dall’alto, raffrescando così la temperatura al livello stradale di circa 10°C.
Per produrre energia pulita inoltre è stata progettata dal New York Design Studio Atelier la centrale eolica Windstalk, che non prevede l’utilizzo di turbine eoliche rumorose, ma si tratta di circa 1.200 pali in fibra di carbonio, alti circa 55 metri, che si rastremano verso l’alto fino a raggiungere lo spessore di 5 centimetri.
Inoltre, in un’area desertica dove l’acqua è un bene più che prezioso, il progetto prevede la realizzazione di un impianto di desalinizzazione della stessa acqua presente nelle falde sotterranee con l’obiettivo di renderla potabile e riutilizzabile per scopi domestici.
Ogni edificio è stato progettato combinando le antiche tecniche architettoniche arabe con tecnologie moderne per creare uno dei più grandi cluster di edifici ad alte prestazioni del mondo.
Il biogas si forma spontaneamente dalla fermentazione di materia organica. Le discariche di rifiuti urbani possono diventarne grandi produttori, visto che normalmente il 30–40% del rifiuto è appunto materiale organico, altre fonti principali potrebbero essere l'industria agricola o zootecnica; tale gas per essere utilizzabile ed ottenere un valore economico, prima deve essere captato ed accumulato in apposite strutture evitandone la dispersione nell'ambiente, per essere in seguito bruciato per produrre calore ed energia elettrica.
Gli impianti a biogas “tradizionali” funzionano, in maniera semplicistica, in questa maniera. All'interno di un apposito contenitore, il fermentatore, vengono convogliate varie sostanze naturali quali: letame, liquame, pollina, siero lattiero-caseario, scarti vegetali, sottoprodotti agricoli. Colture quali silo mais, frumento, sorgo, granella, in combinazione con liquami e letami, sono ottime materie prime. Inoltre possono essere utilizzati anche scarti dell'industria agroalimentare.
Nel fermentatore, in assenza di ossigeno e a temperatura controllata, un grande numero di batteri degrada la sostanza organica. Il risultato di questa degradazione è triplice: biogas, calore e digestato (fertilizzante liquido naturale):
- Il biogas viene convertito in energia elettrica grazie a un cogeneratore e ceduto alla rete nazionale. Una parte è convertita in ulteriore calore.
- Il calore, oltre che per il processo di fermentazione stesso, è utilizzato per il rilscaldamento di alcuni locali dell'azienda, come stalle e uffici (o addirittura per un processo industriale).
- Il digestato viene utilizzato come fertilizzante naturale nelle coltivazioni aziendali, la cui qualità è di gran lunga superiore al letame.
ENEA ha realizzato, presso il Centro Ricerche Casaccia, un nuovo impianto sperimentale per produrre biogas in grado di aumentarne resa e contenuto in metano oltre il 70%, riducendo volumi, tempi e costi di produzione rispetto agli impianti “tradizionali”.
In futuro, l’impianto verrà ampliato e dotato di altri componenti per testare, anche in collaborazione con l’industria del settore, una serie di innovazioni tecnologiche e di processo promettenti per la produzione di biometano e bioidrogeno. Si prevede di realizzare, in concomitanza, una copertura con pannelli fotovoltaici, che serviranno sia per alimentare le utenze dell’impianto che per produrre, mediante elettrolisi dell’acqua, una corrente di idrogeno che verrà impiegata in processi innovativi di bioconversione della CO2 contenuta nel biogas in metano.
L’impianto si compone di un digestore pilota del volume di 1 m3 e di un dispositivo innovativo a campi elettrici pulsati, di taglia ridotta rispetto a quelli in commercio, che incrementano la resa di conversione in biogas, accelerando la degradazione della cellulosa, la componente più rilevante delle biomasse utilizzate. Adatto per essere alimentato con biomasse cosiddette “povere”, come canne, paglia, residui agricoli o rifiuti organici, al momento funziona con gli scarti provenienti dalla mensa del Centro.
“La produzione di biogas da impianti di digestione anaerobica è considerata una tecnologia matura ampiamente diffusa sul territorio nazionale, in particolare nel Nord Italia, ma presenta delle criticità, specie nel caso di utilizzo di una percentuale rilevante di biomasse povere”, evidenzia Vito Pignatelli, responsabile del Laboratorio ENEA di “Biomasse e Tecnologie per l’Energia”. In questo caso, infatti, la ridotta efficienza di conversione della biomassa, pari a circa il 50-60%, e il ridotto contenuto in metano, intorno al 50%, fanno aumentare i costi per l’eventuale immissione in rete del biogas che per legge deve avere un contenuto minimo di metano del 97%.
“Grazie alle innovazioni sviluppate nei laboratori dell'ENEA, come ad esempio l’impiego di miscele selezionate di funghi e batteri e la separazione dei diversi stadi del processo di digestione anaerobica in due diversi reattori (processo bistadio), oltre ad aumentare le rese di conversione di biomasse povere, siamo anche in grado di prevenire perdite di produttività in quanto, se si verifica un problema nel primo reattore, mentre si interviene su questo, il secondo continua a produrre metano regolarmente”, aggiunge Pignatelli. “I benefici sono comunque anche altri e di carattere più generale: utilizzando scarti alimentari contribuiamo alla riduzione dei rifiuti e con l’impiego di biomasse povere siamo in grado di valorizzare economicamente scarti dell’agricoltura, che rimangono in gran parte inutilizzati o, in prospettiva, recuperare a fini produttivi terreni degradati o comunque non utilizzabili per l’agricoltura convenzionale, come le aree in prossimità delle discariche”, conclude Pignatelli.
Un importante elemento innovativo è la possibilità di verificare su scala pilota l’efficacia di diverse opzioni e configurazioni di processo, applicate separatamente o in modo combinato, testando soluzioni tecnologiche che possano essere proposte sul mercato per l’eventuale potenziamento ed efficientamento degli impianti già esistenti.