Posts in category “Diritto del Lavoro”

Licenziamento per scarso rendimento: alcune sentenze rilevanti

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Nel licenziamento per scarso rendimento del lavoratore, rientrante nel tipo del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, il datore di lavoro - cui spetta l'onere della prova - non può limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso o l'oggettiva sua esigibilità, ma deve anche provare che la causa di esso derivi da colpevole negligente inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore nell'espletamento della sua normale prestazione. (Cass. Civ. Sez. Lav., 06/04/2023, n. 9453)

Lo scarso rendimento non può essere dimostrato da plurimi precedenti disciplinari del lavoratore già sanzionati in passato, perché ciò costituirebbe un’indiretta sostanziale duplicazione degli effetti di condotte ormai esaurite. (Cass. Civ. Sez. Lav., 19/01/2023, n. 1584)

Le regole dettate dall’art. 2110 c.c. per le ipotesi di assenze da malattia del lavoratore prevalgono, in quanto speciali, sulla disciplina dei licenziamenti individuali e si sostanziano nell’impedire al datore di lavoro di porre fine unilateralmente al rapporto sino al superamento del limite di tollerabilità dell’assenza (cd. comporto) predeterminato dalla legge, dalle parti o, in via equitativa, dal giudice, nonché nel considerare quel superamento unica condizione di legittimità del recesso, nell’ottica di un contemperamento tra gli interessi confliggenti del datore di lavoro (a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce) e del lavoratore (a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi, senza perdere i mezzi di sostentamento); ne deriva che lo scarso rendimento e l’eventuale disservizio aziendale determinato dalle assenze per malattia del lavoratore non possono legittimare, prima del superamento del periodo massimo di comporto, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. (Cass. Civ. Sez. Lav., 12/12/2022, n. 36188)

Il persistente insufficiente rendimento, di cui sia alla normativa del 1974, che a quella del 1994, è una ipotesi residuale e riguarda essenzialmente un comportamento del dipendente, che, globalmente considerato conduca ad un risultato insoddisfacente per l'espletamento dei compiti istituzionali. (Trib. Venezia, 08/08/2022, n. 507)

La tabella A del c.c.n.l. 2007 del comparto scuola, relativa ai profili di area del personale a.t.a., prevede tra i compiti del personale dell’area A, non solo la accoglienza e sorveglianza nei confronti degli alunni e del pubblico e la custodia dei locali scolastici ma anche i compiti “di pulizia dei locali, degli spazi scolastici e degli arredi” (confermato, nella specie, il licenziamento disciplinare per scarso rendimento del collaboratore scolastico che si era più volte rifiutato di svolgere compiti di pulizia). (Cass. Civ. Sez. Lav., 21/06/2021, n. 17602)

Lo scarso rendimento del lavoratore dovuto all’elevato numero di assenze – comunque non tali da esaurire il periodo di comporto – e l’eventuale conseguente disservizio aziendale non possono mai legittimare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, se non prima del superamento del periodo massimo di comporto. (Corte App. Palermo Sez. Lavoro, 01/03/2021, n. 233)

Le gravi condotte tenute dal lavoratore, anche con danno per la società, come risultanti dalle numerose sanzioni disciplinari, per la loro frequenza e ripetitività, rivestono notevole incidenza sia sul rendimento che sulla regolarità del servizio e legittimano il licenziamento per giusta causa (nella vicenda, oltre ai numerosissimi ritardi in servizio ed alle continue contravvenzioni per eccesso di velocità, erano state contestate le disobbedienze e, soprattutto, le aggressioni verbali e fisiche nei confronti anche di terzi utenti del servizio). (Trib. Bologna Sez. Lav., 30/01/2018, n. 709)

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Infortunio sul lavoro: responsabilità del datore anche qualora sia presente un rischio occulto

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La Suprema Corte, con la sentenza n. 9450/2023, ha affermato che il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio del dipendente anche in presenza di un rischio occulto. Più nello specifico, gli Ermellini hanno sottolineato che in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l'obbligo giuridico di analizzare e individuare, in base alla sua esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, è tenuto a redigere e a sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 28, all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. I giudici di piazza Cavour hanno, altresì, richiamato consolidato principio della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, “La condotta colposa del lavoratore è idonea a interrompere il nesso di causalità tra condotta ed evento se tale da determinare un “rischio eccentrico” in quanto esorbitante dall'area di rischio governata dal soggetto sul quale ricade la relativa gestione. La delimitazione, nella singola fattispecie, del rischio oggetto di valutazione e misura, quindi da gestire, necessita di una sua identificazione in termini astratti, quale rischio tipologico, e successiva considerazione con riferimento alla concreta attività svolta dal lavoratore e alle condizioni di contesto della relativa esecuzione, quindi al rischio in concreto determinatosi in ragione dell'attività lavorativa (rientrante o meno nelle specifiche mansioni attribuite)”. Poiché, nella vicenda in esame, i giudici di secondo grado si erano correttamente attenuti al predetto orientamento, la Suprema Corte rigettava il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Sospensione del procedimento disciplinare del pubblico dipendente

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La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 4185/2023, ha stabilito che il procedimento disciplinare nel pubblico impiego può essere sospeso soltanto qualora il dipendente risulti affetto da una patologia talmente grave da impedirgli di esercitare il diritto di difesa mediante qualsiasi mezzo. Nella vicenda in esame, i giudici di merito confermavano la pronuncia del Tribunale che, in parziale accoglimento del ricorso proposto da Tizio (infermiere nel reparto di neuropsichiatria infantile), nei confronti della ASST, aveva ridotto la sanzione disciplinare a 4 mesi, in luogo di quella di 6 mesi senza retribuzione, irrogata, rigettando le altre domande. La Corte territoriale riteneva corretto l'operato della datrice di lavoro relativamente alla audizione dell'incolpato nella procedura disciplinare e in quella di accertamento dei fatti contestati che aveva considerato, in sede giudiziale, dimostrati e provati (somministrazione ad un paziente di un farmaco al posto di un altro con relativa alterazione della cartella clinica). Tizio si rivolgeva alla Suprema Corte, la quale confermava la sentenza dei giudici di secondo grado. Gli Ermellini evidenziavano che “All'obbligo datoriale di procedere all'audizione del dipendente, raggiunto da una contestazione disciplinare, non corrisponde un incondizionato diritto di quest'ultimo al differimento dell'incontro in cui deve essere sentito, atteso che la violazione del predetto obbligo da' luogo alla nullita' della sanzione solo ove sia dimostrato dall'interessato un pregiudizio al concreto esercizio del diritto di difesa, sicche' e' onere del dipendente provare di non avere potuto presenziare all'audizione a causa di una patologia cosi' grave da risultare ostativa in assoluto all'esercizio di quel diritto, dovendosi ritenere che altre malattie non precludano all'incolpato diverse forme partecipative (quali, ad es., l'invio di memorie esplicative o di delega difensiva ad un avvocato) tali da consentire al procedimento di proseguire nel rispetto dei termini perentori finali che lo cadenzano”. Pertanto, il Tribunale Supremo rigettava il ricorso.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Il risarcimento del danno generico è soggetto a tassazione

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La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8615 del 27 marzo 2023, ha affermato che il risarcimento riconosciuto al dipendente nell’ambito di una conciliazione va tassato qualora sia generico. Nella vicenda esaminata, Tizia domandava il rimborso delle trattenute IRPEF e addizionali relative, operate sul risarcimento del danno ottenuto dal datore di lavoro nell'ambito di un contenzioso instaurato per asserito demansionamento, e risolto con conciliazione stragiudiziale. Mentre la CTP adita avverso il silenzio-rifiuto respingeva il ricorso, la CTR riformava la decisione accogliendo l'istanza della contribuente. A questo punto, l’Amministrazione finanziaria si rivolgeva alla Suprema Corte. L’Agenzia delle Entrate asseriva che i giudici di merito avevano errato, non avendo considerato interamente tassabile l’importo. Gli Ermellini davano ragione al Fisco. I giudici di piazza Cavour evidenziavano che vanno ritenuti esenti da tassazione soltanto i risarcimenti corrisposti per danni non patrimoniali o per danni non assimilabili ad un reddito, come, ad esempio, il danno esistenziale e il danno biologico medicalmente accertabile. Nel caso posto al vaglio dei giudici di legittimità, non risultava che la transazione avesse distinto le voci risarcitorie, né tantomeno risultava che fosse stato verificato un danno "morale" o "biologico", comunque non patrimoniale a seguito del demansionamento, oggetto della controversia cui la transizione aveva posto fine. La mera e generica affermazione contenuta nel verbale era del tutto insufficiente a configurare i presupposti di un risarcimento esente da tassazione. Pertanto, il Tribunale Supremo accoglieva il ricorso.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Il dipendente che minaccia il datore è passibile di licenziamento

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Con una recente pronuncia (ordinanza n. 6584 del 6 marzo 2023), la sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha stabilito che il dipendente che rivolge minacce al suo datore di lavoro è passibile di licenziamento, non avendo rilevanza il fatto che l'accaduto sia conseguito a un particolare stato psicologico ed emotivo del lavoratore. Tizio, guardia giurata, dopo essere stato sentito da Caio, Amministratore delegato della società presso cui lavorava, in sede di presentazione delle giustificazioni in ordine ad una contestazione disciplinare, aveva raggiunto il piazzale della società e, in preda alla rabbia, aveva tirato fuori una pistola pronunciando parole minacciose contro il suo titolare. Nel riformare la sentenza del giudice di prime cure, i giudici del gravame respingevano l'impugnazione del licenziamento per giusta causa intimato a Tizio e condannavano quest'ultimo a restituire alla propria società datrice la somma di 12.480,00 euro, percepita in esecuzione della pronuncia di primo grado. Tizio si rivolgeva alla Suprema Corte di Cassazione, la quale gli dava torto. I giudici di piazza Cavour evidenziavano che la Corte territoriale non aveva affrontato il problema relativo alla corretta identificazione dell’oggetto dell’addebito (cioè se lo stesso fosse connesso o meno a profili concernenti stati emotivi e psicologici oppure riguardanti la sola condotta minacciosa del dipendente relativa a quel singolo episodio), dal momento che dalla sentenza impugnata emergeva che il fatto oggetto di addebito fosse costituito dall'episodio accaduto sul piazzale dell’azienda. Pertanto, per potersi sottrarre alla sanzione di inammissibilità per violazione del divieto di novum, il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare l'allegazione e la deduzione della questione dinanzi al giudice di secondo grado. Secondo gli Ermellini, “La censura che denunzia errata applicazione della nozione di insubordinazione in relazione alla connessa necessità del verificarsi di un pregiudizio per la società datrice di lavoro, non si confronta con le effettive ragioni della decisione nella quale la valutazione di gravità della condotta non concerne solo il profilo di ribellione all’autorità datoriale titolare del potere disciplinare, ma risulta specificamente collegata alle particolari modalità con le quali si è estrinsecata la condotta addebitata, da ritenersi particolarmente pericolose e minacciose in quanto accompagnate dall’estrazione dalla fondina di un’arma caricata”. In virtù di ciò, i giudici di legittimità rigettavano il ricorso e condannavano il ricorrente alla rifusione delle spese di lite.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'