L'onere della prova della esistenza di un motivo di ritorsione del licenziamento e del suo carattere determinante la volontà negoziale grava sul lavoratore che deduce ciò in giudizio. In tali ipotesi, per affermare il carattere ritorsivo e quindi la nullità del provvedimento espulsivo, in quanto fondato su un motivo illecito, occorre specificamente dimostrare, con onere a carico del lavoratore, che l'intento di rappresaglia per l'attività svolta abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso. (Trib. Bari, sent. n. 1598, 30/05/2023)
Per accogliere la domanda di accertamento della nullità del licenziamento in quanto fondato su motivo illecito, occorre che l’intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso (Cass. n. 14816 del 2005; Cass. n. 3986 del 2015; Cass. n. 9468 del 2019), dovendosi escludere la necessità di procedere ad un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causati e del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento. (Cass. Civ., ord. n. 6838, 07/03/2023)
In tema di licenziamento nullo perché ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art. 1345 c.c. deve essere determinante, cioè costituire l'unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale; ne consegue che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento. (Trib. Salerno, sent. n. 2062, 07/12/2022)
Il licenziamento ritorsivo è stato ricondotto dalla giurisprudenza di legittimità, data l'analogia di struttura, alla fattispecie del licenziamento discriminatorio, vietato dalla L. n. 604 del 1966, art. 4, L. n. 300 del 1970, art. 15 e della L. n. 108 del 1990, art. 3, interpretate in maniera estensiva, che ad esso riconnettono le conseguenze ripristinatorie e risarcitorie di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18. (App. Napoli, sent. n. 3486, 23/09/2022)
Nell’ipotesi di licenziamento ritorsivo – quindi nullo – il motivo illecito deve essere determinante (cioè deve rappresentare l’unica effettiva e concreta ragione del recesso datoriale) e deve essere altresì esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto deve essere riscontrato come insussistente. L’esclusività sta quindi a significare che il motivo illecito può concorrere con un motivo lecito, ma solo nel senso che quest’ultimo sia stato formalmente addotto, ma non sussistente nel riscontro giudiziale. (App. Brescia Sez. Lav., 08/09/2021, n. 204)
Il licenziamento per ritorsione costituisce l’ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento interessato del lavoratore colpito o di altra persona a lui legata e conseguentemente accomunata nella reazione, con conseguenza nullità ex art. 1345 cc del licenziamento, quando la finalità ritorsiva abbia costituito il motivo esclusivo e determinante dell’atto espulsivo. Ne segue che, allorquando il lavoratore alleghi che il licenziamento è stato intimo per un motivo illecito esclusivo e determinante ex art. 1345 cc, il datore di lavoro non è esonerato dall’onere di provare, ai sensi dell’art. 5 L. n. 604/1966, l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso; quindi l’indagine in ordine alla sussistenza nonché al carattere esclusivo e determinante del motivo ritorsivo addotto potrà essere successivamente a quella concernente il presupposto giustificativo posto dalla società datrice a fondamento del licenziamento intimato e solo nell’ipotesi di accertata insussistenza della stessa; diversamente, infatti, il motivo ritorsivo non sarebbe, per forza di cose, esclusivo e determinante e quindi non renderebbe nullo il negozio estintivo. (Trib. Trento Sez. Lav. 22/07/2021, n. 71)
Il licenziamento per ritorsione, diretta o indiretta che sia, è un licenziamento nullo, purché il motivo illecito addotto ex art. 1345 c.c. sia stato determinante, cioè abbia costituire l’unica effettiva ragione del recesso da parte del datore di lavoro oltre che ragione esclusiva, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente. (Trib. Frosinone Sez. Lav., 27/04/2021, n. 395)
Il licenziamento è nullo per motivo ritorsivo quando esso costituisce l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale. Il motivo illecito può ritenersi esclusivo e determinante quando il licenziamento non sarebbe stato intimato se esso non ci fosse stato, e quindi deve costituire l’unica effettiva ragione del recesso, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. L’esclusività sta a significare che il motivo illecito può concorrere con un motivo lecito, ma solo nel senso che quest’ultimo sia stato formalmente addotto, ma non sussistente nel riscontro giudiziale. (Cass., sent. n. 1514, 25/01/2021)
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'