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Stone Garden, il progetto di una torre sul porto di Beirut

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A Beirut, in Libano, si trova su un terreno scosceso sul porto un edificio monomaterico progettato da Lina Ghotmeh, la cui estetica è memoria del lavoro artigianale.

Il materiale utilizzato è costituito da terra e cemento ed il trattamento superficiale crea un effetto “pettinato” all’involucro esterno dell’edificio. Copre una superficie di circa 6.143 metri quadrati ed è stato realizzato nell’arco di un decennio, tra il 2010 e il 2020.

L’edificio sta riscuotendo successo tra le fila della critica internazionale per la qualità costruttiva e per l’interpretazione su scala urbana di una città ricca di storia ma martoriata nel corso del tempo, ultima l’esplosione del 4 agosto 2020 avvenuta proprio presso il porto ad 1 km dall’edificio.

L’intento della progettista Lina Ghotmeh è stato quello di esprimere attraverso questo edificio la sua idea di Beirut: “Un’archeologia vivente, ospite di vita, memoria e natura”, in una città dove coesistono edifici estranei al contesto in cui si trovano e case tradizionali. Questo edificio, situato a solo a un miglio dalla zona portuale, è stato da me progettato come un’espressione della storia della città e come reazione al paesaggio dilaniato dalla guerra a cui mi ero stranamente abituata. Avevo bisogno di creare una presenza terrestre, inserita tra gli alti grattacieli a specchio, che fosse capace di competere per il cielo mediterraneo".

Il terreno appartiene al fotografo Fouad El Khoury, che lo ha ereditato dal padre Pierre El Khoury, qui infatti sorgeva il suo studio di progettazione ed il primo cementificio del Libano, che diede dunque avvio alla repentina “cementificazione” della città. Dalle fondamenta storiche dell’area dove sorgerà l’edificio si arriva a quella che è assimilabile ad una scultura urbana, una torre amorfa che con la sua plasticità, come afferma la Ghotmeh, esprime:

“la capacità dell’architettura di agire come uno strumento di guarigione e attore attivo nella costruzione della resilienza in tempi di crisi”.

Le aperture, le cosiddette “finestre di vita”, di dimensioni differenti e poste a diversi livelli invitano la natura, come gli edifici in rovina vengono colonizzati, e allo stesso tempo suggeriscono diversi punti di vista verso la città e verso il mare. Gli accessi sono articolati su più livelli essendo l’edificio posto su un sito in pendenza. Il piano terra è provvisto di parcheggi ed atrio principale. Al primo piano invece si trova una galleria a doppia altezza, la Mina Image Centre che ospita opere legate al Medio Oriente. I nove piani superiori invece ospitano gli appartamenti, ogni piano è diverso dall’altro. L’organizzazione degli spazi è stata condizionata dalla linearità del lotto, ma è stata risolta attraverso aperture su più fronti e ambienti posti in successione, con la zona giorno rivolta a Nord e verso il mare.

Il trattamento dell’involucro esterno è frutto del lavoro artigianale di chi letteralmente “ci ha messo le mani”, ed ha resistito sorprendentemente anche alla terribile esplosione, emergendo come:

“Una trasformazione della pelle mitragliata degli edifici cittadini in un gioioso rifugio verticale”.

Per la resa così particolare ci sono voluti più di 40 campioni di prova impiegando miscele diverse di terra, cemento e fibre fino alla soluzione adottata: uno strato di intonaco colorato, spesso tra i 3 e i 6 centimetri steso su una griglia ancorata alla struttura di calcestruzzo armato; l’impermeabilità è garantita da additivi fibrosi ed un film protettivo. La “pettinatura” finale è stata resa grazie a dei pettini alti 3 metri in acciaio disegnati dalla stessa Ghotmeh, montati su delle rotaie e fatti scorrere dagli operai.

Un modello in scala dello Stone Garden è attualmente in mostra presso la Biennale di Architettura di Venezia, contiene all’interno fotografie e video, che raccontano la storia della città e della realizzazione del progetto.


"Comunità resilienti", ecco il Padiglione Italia per la Biennale Architettura 2021

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“Come il cervello umano, il padiglione sarà una giungla abitata da strane ed affascinanti creature”: così descrive il Padiglione Italia il curatore Alessandro Melis. Sabato 22 maggio si apre la 17esima Biennale di Architettura di Venezia, sospesa a causa dell’emergenza sanitaria, a cura di Hashim Sarkis dal titolo “How we will live toghether?”.

Il progetto del Padiglione Italia prende invece il nome di “Comunità resilienti”, una realtà dall’alto valore esperienziale che gira attorno al tema principe del cambiamento climatico, ma che si abbandona al mondo del gaming e della graphic novel stimolando la creatività dei più giovani in un esplicito stile cyber punk.

Lo scopo è focalizzare l’attenzione sulle dinamiche di resilienza delle comunità, nell’ottica di una sinergia tra spazio urbano, produttivo ed agricolo e i cambiamenti climatici che caratterizzano il nostro territorio. Si promuove dunque un “ripensamento del tessuto urbano, per trasformare le comunità in sistemi aperti, virtuosi e resilienti.” Il messaggio che si vuole veicolare è l’importanza dell’apporto dell’architettura al miglioramento delle condizioni di vita, al passo con i cambiamenti ambientali ed allo stesso tempo sociali, e lo stesso architetto come primo difensore della sostenibilità.

Inoltre, a dimostrazione di una coerente progettazione sia nella teoria che nella pratica, il Padiglione Italia è stato realizzato ad impatto CO2 quasi zero con il recupero e il riuso dei materiali del Padiglione italia 2019 della 58 Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia.

Il curatore Alessandro Melis descrive il Padiglione come una entità corale, al pari di una comunità resiliente, costituita a sua volta da 14 sotto-comunità: “Intese come laboratori operativi, centri di ricerca o casi studio, secondo due fondamentali direttrici: una riflessione sullo stato dell’arte in tema di resilienza urbana in Italia e nel mondo attraverso l’esposizione delle opere di eminenti architetti italiani e un focus su metodologie, innovazione, ricerca con sperimentazioni interdisciplinari a cavallo tra architettura, botanica, agronomia, biologia, arte e medicina. Stephen Jay Gould ed Elizabeth Vrba hanno rivoluzionato la tassonomia della biologia introducendo il termine “exaptation” ovvero il meccanismo non deterministico della selezione naturale: euristicamente, il Padiglione Italia promuoverà l'exaptation architettonica come manifestazione di diversità, variabilità e ridondanza, sfidando l'omogeneità estetica deterministica a favore della diversità delle strutture creative. Come il genoma e il cervello umano, il padiglione sarà una giungla abitata da strane creature dove poter ascoltare un rumore di fondo che è già assordante e che richiede una risposta adeguata, facendo ricorso a nuovi paradigmi della conoscenza".

Le 14 sotto-comunità, in rappresentanza della grande creatività, e più che mai, della resilienza che può generare un pensiero associativo, diventano specchio di una architettura del futuro.


3 ottobre 2020: primo test del Mose, le 78 paratoie per la prima volta si alzano insieme.

fonte immagine:https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/07/10/mose-le-78-paratoie-per-la-prima-volta-si-alzano-insieme-storia-e-ritardi-delleterna-incompiuta-dai-costi-anche-futuri-lievitati-agli-scandali/5863406/

Il Mose è stato testato per la prima volta in condizioni marine di effettiva operatività lo scorso 3 ottobre 2020, i tecnici nelle tre control room del Mose, guidati dal Responsabile dei sollevamenti, l’ingegnere Davide Sernaglia, hanno iniziato le operazioni di innalzamento delle barriere alle 8:35. Alle 9:52 tutte le 78 paratoie, alle tre bocche di porto di Lido, Malamocco e Chioggia, hanno chiuso la laguna dal mare, isolandola e proteggendola. Alle 10.00 il dislivello tra le acque interne e quelle esterne ha raggiunto quota pari a 40 cm. Il livello esterno del mare misurato a Diga Sud era di 119 cm, mentre a Punta Salute era assestato a 69. La marea, quindi, in laguna, non stava crescendo e neppure a San Marco si registrava la presenza dell’acqua. . In città il livello della marea si è assestato intorno ai 70 centimetri, mentre le paratoie hanno bloccato il mare a 125 centimetri. Alle 14:57 sono iniziate le operazioni di abbattimento delle paratoie per riportarle nei loro alloggi.

Il sistema Mose è stato realizzato alle bocche di porto di Lido, Malamocco e Chioggia, ovvero nei tre varchi del cordone litoraneo attraverso i quali la marea si propaga dal mare Adriatico in laguna. Per difendere la laguna dall'alta marea è stato elaborato quindi un sistema integrato di opere che prevede delle barriere di paratoie mobili, in grado di isolare la stessa dal mare durante gli eventi di alta marea, opere complementari come le scogliere all’esterno delle bocche di porto, atte ad attenuare i livelli delle maree più frequenti e il rialzo delle rive e delle pavimentazioni, almeno fino a +110 cm, nelle aree più basse degli abitati lagunari. L’integrazione di questi interventi definisce un sistema di difesa estremamente funzionale che garantisce la qualità delle acque, la tutela della morfologia e del paesaggio, il mantenimento dell'attività portuale.

Il Mose è formato da una serie di barriere costituite da paratoie mobili collocate alle bocche di porto. Quando sono inattive, le paratoie sono piene d’acqua e giacciono completamente invisibili in alloggiamenti collocati nel fondale. In caso di pericolo di maree particolarmente sostenute, nelle paratoie viene immessa aria compressa che le svuota dall’acqua. Via via che l’acqua esce le paratoie, ruotando attorno all’asse delle cerniere, si sollevano fino a emergere e a bloccare il flusso della marea in ingresso in laguna. Le paratoie restano in funzione per la sola durata dell’evento di acqua alta: quando la marea cala, e in laguna e mare si raggiunge lo stesso livello, le paratoie vengono di nuovo riempite d’acqua e rientrano nella propria sede. Ciascuna paratoia è costituita da una struttura scatolare metallica vincolata attraverso due cerniere al cassone di alloggiamento. Ogni paratoia è larga 20 m e ha lunghezze diverse proporzionali alla profondità del canale di bocca dove viene installata (Lido- Treporti: 18,6 m e Malamocco: 29,6 m) e spessore variabile (Lido-Treporti: 3,6 m e Chioggia: 5 m). Il tempo medio di chiusura delle bocche di porto è di circa tra 4/5 ore (compresi i tempi di manovra per l’apertura e la chiusura delle paratoie). I cassoni di alloggiamento sono gli elementi che formano la base delle barriere di difesa: ospitano le paratoie mobili e gli impianti per il loro funzionamento. Sono tra loro collegati da tunnel che consentono anche le ispezioni tecniche. L'elemento di raccordo tra le barriere e il territorio è rappresentato dai cassoni di spalla. In essi sono contenuti tutti gli impianti e gli edifici necessari al funzionamento delle paratoie. Per ridurre i cedimenti assoluti e differenziali cui sono soggetti i cassoni, il terreno di fondazione deve essere preventivamente consolidato tramite infissione di pali nei primi 19 metri al di sotto del piano di fondazione: questo crea un effetto di omogeneizzazione della stratigrafia. Si prevede che i cedimenti dei cassoni siano compresi tra 30 e 50 mm a fine costruzione della barriera, e che crescano nel tempo, presumibilmente fino a valori compresi tra 60 e 85 mm, a 100 anni da fine costruzione.

Per quanto riguarda il completamento del Mose, l’avvocato Giuseppe Fiengo, amministratore straordinario del Consorzio Venezia Nuova, ha evidenziato dopo il primo test, che: “mancano molte cose. Mancano impianti, alcuni collegamenti, dobbiamo controllare e valutare la sicurezza, che è commisurata agli anni ’90; è un’opera che sta in mezzo al mare, il più è fatto, si adegua gestendola ma è una cosa normale. La programmazione avviene con tempi molto lunghi”. E riguardo ai collaudi dell’opera, ha puntualizzato che: “tutte le parti hanno avuto ognuna per conto suo un collaudo tecnico e amministrativo. Siccome l’opera era spezzettata, a questo punto c’è il problema di fare l’avviamento. Era, ed è previsto, che per tre anni si facciano dei piani provvisori di gestione e manutenzione, e lì deve stare la Commissione di collaudo. Sulle sue prescrizioni si mette a punto il piano di gestione, si aggiusta quel che si deve aggiustare. La logica è questa. Quello che era un investimento sul Mose diventa una spesa corrente di gestione e manutenzione. Non serve un superstudio i collaudi sono stati tutti fatti, tutti in corso d’opera”.