Con l’ordinanza n. 20884 del 18 luglio 2023, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’acquisto di un immobile per usucapione può essere provato anche mediante la prova testimoniale, e che, a tal fine, non occorre alcuna conferma o supporto documentale dell’esercizio del possesso.
In altri termini, “La prova dell'acquisto per usucapione della proprietà o di altro diritto reale su bene immobile, in quanto vertente su una situazione di fatto, non incontra alcuna limitazione nelle norme concernenti gli atti soggetti a forma scritta, “ad substantiam” o “ad probationem”, e, pertanto, può essere fornita per testimoni, non occorrendo alcuna conferma o supporto documentale dell’esercizio del possesso”.
Secondo i giudici di legittimità, il giudizio di rilevanza della prova non può essere condizionato dalla mancanza di riscontri documentali dei fatti da accertare, bensì deve essere effettuato esclusivamente sulla base del contenuto dei capitoli di prova in rapporto ai termini della controversia.
Per gli Ermellini, “L'ammissione di una prova testimoniale non può essere negata in considerazione del suo probabile esito negativo, per l'inverosimiglianza del fatto che si intende provare o per una pretesa inidoneità del teste a fare un resoconto preciso su di esso”.
Il Tribunale Supremo ha anche specificato che al giudice di merito è preclusa la possibilità di respingere la domanda per carenza di prova, senza in alcun modo pronunciare sulle istanze istruttorie volte a dimostrare la fondatezza delle tesi proposte in giudizio.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
La Suprema Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 9359 dell'8 aprile 2021, ha illustrato i presupposti necessari perché il coerede comproprietario di un edificio sia riconosciuto unico proprietario per intervenuta usucapione.
Nel caso in esame, Caio citava in giudizio la cugina, la zia, la madre e la sorella, per domandare al Giudice di accertare in suo favore l'intervenuto acquisto per usucapione dell'intera proprietà di un immobile di cui lo stesso e le parenti erano comproprietari pro indiviso e iure hereditario. Si costituivano in giudizio la zia e la cugina dell’attore, le quali domandavano in via riconvenzionale che venisse accertata l'illegittima occupazione dell'appartamento da parte dell'uomo e la condanna di quest’ultimo al pagamento dell'indennità dovuta per l'occupazione abusiva.
Il Giudice di prime cure rigettava sia la domanda dell'attore che quella riconvenzionale delle convenute.
Caio interponeva appello e la Corte distrettuale accoglieva il gravame dichiarando l’appellante “esclusivo proprietario, per intervenuta usucapione, dell'edificio”.
A questo punto, la vicenda approdava in Cassazione, davanti alla quale le convenute soccombenti lamentavano in particolare:
• la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1158 e 2697 c.c., relativi, rispettivamente, all’usucapione ventennale di immobili e al relativo onere probatorio, in quanto il Giudice di merito aveva erroneamente considerato sufficiente ai fini della sussistenza dell'animus excludendi la mancata disponibilità della chiavi in capo alle ricorrenti;
• la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1140 e 1144 c.c., in tema, rispettivamente, di possesso e di tolleranza. Secondo le ricorrenti, la Corte distrettuale aveva erroneamente affermato che il possesso esercitato da Caio non poteva essere conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte degli altri compossessori, sia perché ciò doveva essere provato da questi ultimi, sia in quanto l'uso prolungato nel tempo di un bene non è normalmente compatibile con la tolleranza.
Per il Tribunale Supremo, la mancata disponibilità delle chiavi dell'edificio da parte delle ricorrenti non poteva essere considerata “elemento di per sé sufficiente ad attestare il possesso” necessario per l'acquisto per usucapione della proprietà dell’immobile. Difatti, seppur sia vero che il coerede che, dopo la morte del de cuius, sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso, a tal fine, egli, che già possiede animo proprio e a titolo di comproprietà, deve estendere questo possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus, non essendo sufficiente l'astensione degli altri partecipanti dall'uso della cosa comune.
Infine, gli Ermellini affermavano che “in tema di usucapione, per stabilire se un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l'altrui tolleranza e sia quindi inidonea all'acquisto del possesso, la lunga durata dell'attività medesima può integrare un elemento presuntivo nel senso dell'esclusione della tolleranza qualora non si tratti di rapporti di parentela, ma di rapporti di mera amicizia o buon vicinato, giacché nei secondi, di per sé labili e mutevoli, è più difficile, a differenza dei primi, il mantenimento della tolleranza per un lungo arco di tempo”.
In virtù dei suddetti principi, la Cassazione accoglieva il ricorso e cassava la sentenza impugnata.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Con l'ordinanza n. 1411 del 22 gennaio 2021 la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di usucapione, stabilendo quali sono i presupposti in presenza dei quali si realizza l'interversione del possesso ai fini della stessa.
Più precisamente, gli Ermellini hanno specificato che il fatto di avere utilizzato il terreno per la coltivazione o per il pascolo del bestiame in assenza di un atto apprensivo della proprietà è inidoneo al possesso ad usucapionem, in quanto, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l'intento di possedere; è invece necessario che questa attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, che consentano di presumere che essa è svolta uti dominus.
Per i Giudici di legittimità, l'interversione nel possesso non può avere luogo attraverso un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui, e tale manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in modo che questi sia posto in grado di rendersi conto dell'avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso.
Nel caso in esame, la Corte di merito si era ben adeguata ai principi di diritto in tema di onere della prova del possesso ed aveva correttamente ritenuto che il pascolo del bestiame, peraltro su terreni privi di recinzione, fosse “inidoneo ad integrare il possesso ad usucapionem, avendo i proprietari, benché residenti all'estero, continuato a possedere solo animo”.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
È possibile acquistare la proprietà di un immobile non soltanto con un contratto di vendita, una donazione o una successione ereditaria. La proprietà si trasferisce, infatti, anche attraverso l’usucapione e, in tal caso, non occorre il consenso del titolare. L’usucapione è un modo di acquisto a titolo originario della proprietà mediante il possesso continuativo ventennale del bene immobile. La legge richiede che tale possesso debba caratterizzarsi inoltre per il fatto di essere pacifico e pubblico, non occorrendo tuttavia che sia in buona fede. Il possessore può ben essere a conoscenza dell’esistenza del diritto di proprietà altrui sul bene. L’usucapione non è una sanzione per chi non utilizza i propri beni, bensì una sorta di premio per chi, invece, se ne prende eventualmente cura per un ventennio atteggiandosi a proprietario. Quindi, oltre al disinteresse del titolare, è necessario anche un comportamento attivo di un terzo volto a trarre dal bene in questione tutte le utilità che solo il proprietario avrebbe diritto a ottenere. Sono tre gli elementi fondamentali dell’usucapione: 1) un possesso per oltre 20 anni del bene altrui; 2) l’utilizzo di tale bene con esercizio dei poteri che solo un proprietario potrebbe vantare; 3) la mancata rivendicazione del proprio bene da parte del proprietario. A tal fine non basta una lettera di diffida, ma è necessario l’avvio di una causa in tribunale volta ad ottenere la restituzione dell’immobile (è sufficiente anche la semplice notifica dell’atto di citazione). Se manca anche uno solo di questi tre elementi, non si può avere usucapione. Facciamo un esempio. Tizio ha ottenuto una casa in affitto. Per 20 anni, il proprietario lo lascia dentro l’immobile, ma Tizio, seppur saltuariamente e con lunghi ritardi, paga il canone di affitto. In questo caso, non ci può essere usucapione perché il comportamento di Tizio non è quello tipico di un proprietario: la corresponsione del canone di locazione costituisce, infatti, il riconoscimento di un diritto altrui. Nell'ipotesi di acquisto in buona fede di beni immobili e di universalità di mobili da soggetto non proprietario (acquisto a non domino), l'usucapione può essere invocata dopo dieci anni dalla data della trascrizione, purché sussista un titolo idoneo al trasferimento e debitamente trascritto; cinque anni nel caso in cui oggetto del suddetto trasferimento sia un fondo rustico. In generale, per provare l’usucapione del bene possono essere utilizzati tutti i mezzi di prova messi a disposizione dall’ordinamento. Colui che invoca l’intervenuto acquisto per usucapione ha l’obbligo di fornire la prova rigorosa di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, allegando e dimostrando il momento e le modalità di acquisto del possesso, non essendo sufficiente a tal fine la generica dichiarazione di aver posseduto per oltre vent’anni (Trib. Castrovillari, 04/03/2020, n. 253). La prova deve riguardare soltanto il momento iniziale in cui tale situazione si è verificata e non tutto l’arco dei 20 anni. Dunque, i 20 anni decorrono dal primo atto di utilizzo del bene secondo il diritto che solo un proprietario potrebbe vantare. Secondo la giurisprudenza maggioritaria, la prova dell’usucapione deve essere particolarmente rigorosa: infatti, si tratta pur sempre di un comportamento che priva il legittimo proprietario di un bene che gli appartiene, pertanto le prove dovranno essere tali da giustificare la perdita della proprietà altrui. La Suprema Corte, con ordinanza n. 6688 del 7 marzo 2019, ha stabilito che: “Ai fini dell’usucapione è necessaria la manifestazione del dominio esclusivo sulla cosa da parte dell’interessato attraverso un’attività contrastante e incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della prova su colui che invochi l’avvenuta usucapione, non essendo sufficienti atti soltanto di gestione consentiti o tollerati dal proprietario, perché comportanti solo l’erogazione di spese per il miglior godimento della cosa”. Colui che agisce in giudizio per ottenere di essere dichiarato proprietario di un bene, dichiarando di averlo usucapito, è obbligato a fornire la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, dunque, non soltanto del corpus, ma anche dell’animus. Oggi l’usucapione, oltre che mediante testimonianza, può essere accertata anche attraverso la mediazione civile stragiudiziale. Quest’ultimo è il metodo di gran lunga più consigliato, non solo perché è meno costoso (le spese sono proporzionate al valore del bene usucapito), ma anche in quanto consente di decidere la questione più celermente (entro 3 mesi). Alla procedura di mediazione devono partecipare i titolari originari della proprietà del bene e il soggetto che lo ha usucapito, entrambi assistiti dagli avvocati. Ai sensi dell’articolo 2643, comma 12 bis, del Codice Civile (intitolato “Atti soggetti a trascrizione”) devono essere obbligatoriamente trascritti innanzi al notaio “gli accordi di mediazione che accertano l’usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.” La funzione della trascrizione è quella di rendere l’accertamento dell’usucapione conoscibile a tutti, certa e opponibile a terzi in caso di controversie sulla proprietà del bene.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'