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NULLITÀ DEL TRASFERIMENTO D’AZIENDA E CONSEGUENZE RETRIBUTIVE

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Qualora intervenga una declaratoria giudiziale di nullità del trasferimento di azienda, tutte le vicende che riguardano il rapporto di mero fatto instaurato fra il prestatore e la cessionaria, comprese quelle risolutive, non producono alcun effetto sulla cedente, la quale resta gravata dei propri obblighi retributivi. Detto principio è stato fissato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 39148/2021. Nella vicenda in esame, Tizio impugnava la sentenza del Tribunale che, accogliendo l'opposizione della società datrice Alfa, aveva revocato il decreto ingiuntivo che la obbligava a pagare al lavoratore la somma di euro 28.263,18 per retribuzioni non corrispostegli dall'ottobre 2013 al luglio 2014, a seguito della dichiarazione giudiziale di nullità della cessione del ramo d'azienda alla società Beta ove lo stesso era occupato, con ordine di ripristino del rapporto. Il giudice di prime cure dichiarava l'inammissibilità della domanda per intervenuta transazione, poiché Tizio aveva accettato una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con la cessionaria in data 31 maggio 2011, con ritenuta conseguente estinzione dell'unico rapporto con la cedente e solo di fatto proseguito con la cessionaria. La Corte territoriale accertava e riteneva che la transazione in questione non riguardasse affatto la società Alfa, e che quest'ultima era dunque tenuta al risarcimento del danno nei confronti di Tizio per effetto dell'accertata nullità del trasferimento di ramo d'azienda. A questo punto, Tizio si rivolgeva alla Suprema Corte, la quale rigettava il ricorso. In particolare, gli Ermellini precisavano che “in caso di cessione di ramo d'azienda, ove su domanda del lavoratore ceduto venga giudizialmente accertato che non ricorrono i presupposti di cui all'art. 2112 cod. civ., le retribuzioni in seguito corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell'alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell'obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa”. Inoltre, “In caso di cessione di ramo d'azienda, ove su domanda del lavoratore ceduto venga giudizialmente accertato che non ricorrono i presupposti di cui all'art. 2112 cod. civ., le retribuzioni in seguito corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell'alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell'obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa”.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


IL TRASFERIMENTO DEL RAMO DI AZIENDA SECONDO LA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA

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Con la sentenza n. 7364 del 16 marzo 2021 la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata sulla nozione di trasferimento d’azienda, soffermandosi soprattutto su quello che è il pensiero e la disciplina della Corte di Giustizia Europea in materia. Gli Ermellini, rispolverando consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, hanno affermato che, ai fini del trasferimento di ramo d'azienda di cui all'art. 2112 c.c., è da considerarsi elemento costitutivo della cessione l'autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e, dunque, di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni rilevanti da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell'ambito dell'impresa cedente al momento della cessione. Dunque, “la cessione di ramo d'azienda è configurabile ove venga ceduto un complesso di beni che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un'attività volta alla produzione di beni o servizi”. Il significato di trasferimento di ramo d'azienda appena descritto è perfettamente coerente con la disciplina in materia dell'Unione Europea (direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE, che ha proceduto alla codificazione della direttiva 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, come modificata dalla direttiva 29 giugno 1998, 98/50/CE) secondo cui “è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un'entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria”. La Corte dell'Unione ribadisce costantemente che, al fine di determinare se siano soddisfatte o meno le condizioni per l'applicabilità della direttiva in materia di trasferimento d'impresa, è necessario “prendere in considerazione il complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano l'operazione di cui trattasi, fra le quali rientrano in particolare il tipo d'impresa o di stabilimento in questione, la cessione o meno degli elementi materiali, quali gli edifici ed i beni mobili, il valore degli elementi materiali al momento del trasferimento, la riassunzione o meno della maggior parte del personale da parte del nuovo imprenditore, il trasferimento o meno della clientela, nonché il grado di analogia delle attività esercitate prima e dopo la cessione e la durata di un'eventuale sospensione di tali attività”, ma “questi elementi, tuttavia, sono soltanto aspetti parziali di una valutazione complessiva cui si deve procedere e non possono, perciò, essere valutati isolatamente”. I Giudici di legittimità hanno inoltre sottolineato che la ratio della disciplina comunitaria è volta ad assicurare la continuità dei rapporti di lavoro che esistono nell'ambito di un'attività economica indipendentemente dal cambiamento del proprietario e, dunque, ha lo scopo di proteggere i lavoratori nella situazione in cui siffatto cambiamento abbia luogo; essa, infatti, riguarda il “ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti”, per cui non è direttamente incidente nei casi in cui non si controverta del “mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti" presso la cessionaria, in difetto dei presupposti previsti dal diritto dell'Unione”.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'