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Sinistro stradale, perdita della capacità lavorativa e domanda risarcitoria

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Con la sentenza n. 4302/2023, la Cassazione ha fatto il punto sulla domanda risarcitoria inerente alla perdita della capacità lavorativa a seguito di sinistro stradale. Nella vicenda esaminata, Tizio, medico radiologo, dopo essere rimasto coinvolto in un incidente stradale, agiva in giudizio per domandare il riconoscimento dei danni emergenti e della perdita della capacità lavorativa. Poiché il giudice di prime cure liquidava il danno in misura insufficiente, Tizio impugnava in appello la sentenza del Tribunale. Secondo i giudici di secondo grado, la domanda relativa alla perdita della capacità lavorativa non era stata espressamente formulata in primo grado, dal momento che Tizio non aveva prodotto alcuna documentazione a sostegno delle sue richieste. A questo punto, Tizio si rivolgeva alla Suprema Corte, la quale dava ragione al danneggiato. Gli Ermellini enunciavano il seguente principio di diritto: “Nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tener conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso della causa”.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Sinistro stradale e frazionamento del danno

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È possibile il frazionamento del danno qualora, in occasione di un sinistro stradale, il danneggiato promuova due procedimenti distinti per ottenere il risarcimento dei danni alle cose e alla persona, che conseguono allo stesso incidente? A tale interrogativo ha fornito risposta la Suprema Corte con l’ordinanza n. 2278/2023. Mevio, motociclista, citava in giudizio il comune Alfa per ottenere il risarcimento dei danni dallo stesso patiti a causa di un avvallamento del manto stradale non segnalato. L’attore asseriva di aver precedentemente promosso un separato giudizio per i danni conseguiti al motociclo, precisando che detto giudizio si era concluso con una sentenza di condanna nei confronti dell’ente. La domanda di Mevio veniva rigettata dal Tribunale, poiché ritenuta improponibile per l’illegittimo frazionamento del credito. I giudici del gravame confermavano la sentenza del giudice di prime cure; secondo la Corte distrettuale, la scelta di agire separatamente per il danno al mezzo e per il danno alla persona non era stata determinata dall’effettiva incertezza sul consolidamento degli esiti negativi del sinistro sulla salute di Mevio e detta scelta del danneggiato avrebbe determinato un abuso dello strumento processuale. A questo punto, Mevio si rivolgeva alla Corte di Cassazione, la quale dava torto al ricorrente. Secondo il Tribunale Supremo, le domande concernenti diversi e distinti diritti di credito, sebbene relativi ad uno stesso rapporto, possono essere proposte in separati processi, soltanto nel caso in cui risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata. Pertanto, pur non essendo completamente precluso al danneggiato, in astratto, di agire separatamente per due diversi danni che derivano dallo stesso fatto illecito, ciò può avvenire esclusivamente in presenza dell'effettiva dimostrazione, da parte dell'attore, della sussistenza di un interesse obiettivo al frazionamento. Detto interesse non può consistere in una scelta soggettiva dettata da criteri di mera opportunità e neanche dalla prospettata maggiore speditezza del procedimento davanti ad uno piuttosto che ad un altro dei Giudici aditi.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


TESTAMENTO E RISARCIMENTO DANNI IURE PROPRIO: IL PUNTO DELLA CASSAZIONE

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Con l’ordinanza n. 10583 del 22 aprile 2021, la Cassazione ha stabilito che i nipoti esclusi dal testamento non hanno diritto al risarcimento danni iure proprio. Nel caso in esame, Tizia, Caia e Sempronio, nipoti di Mevia, morta in un sinistro stradale, presentavano ricorso al Tribunale per chiedere ed ottenere il risarcimento dei danni iure proprio per la perdita del rapporto parentale con la zia, in quanto conviventi e accuditi per tanti anni dalla stessa, nonché del danno iure hereditatis, subito dal fratello Filano, il quale aveva vissuto con la parente per tutta la vita, e del danno catastrofale acquisito dallo stesso Filano a titolo di erede universale della zia e successivamente loro trasmesso, quali eredi legittimi del proprio fratello. Il giudice di prime cure, avendo riconosciuto la responsabilità nella causazione del sinistro da parte della conducente del veicolo antagonista, accoglieva la domanda dei ricorrenti. Il giudice di merito riformava parzialmente la sentenza, negando il diritto dei nipoti non più conviventi al risarcimento del danno iure proprio. La vicenda giungeva così in Cassazione, davanti alla quale Tizia, Caia e Sempronio asserivano che la Corte d’Appello avesse erroneamente: • elevato la convivenza a connotato minimo attraverso cui si esteriorizzare l’intimità delle relazioni di parentela; • negato che fossero state dimostrate circostanze tali da far ritenere che sussistesse un legame affettivo tra i richiedenti e la zia, dato che la zia non li aveva resi destinatari di disposizioni testamentarie, avendo istituito erede universale il loro fratello; • omesso di considerare la prova, risultante dagli atti dello stato civile, della loro convivenza con la zia fino al momento in cui avevano costituito ciascuno per proprio conto dei distinti nuclei familiari; • disatteso la domanda di assunzione di prove testimoniali. Il Tribunale Supremo, nel dichiarare il ricorso inammissibile, si esprimeva nel seguente modo: “È denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, (Cass. SU n. 8053/2014), mentre nel motivo si fa riferimento a circostanze esterne; il fatto asseritamente omesso sarebbe la circostanza che i nipoti sarebbero stati accuditi dalla zia, ma tale circostanza, per come formulata, è generica e perciò priva di decisività ai fini della valutazione dell' esistenza del legame effettivo tra la zia e gli odierni ricorrenti”. Ciò anche in virtù del fatto esaminato dal giudice, ossia che l'istituzione di Filano come erede universale lasciava presumere che il legame interrotto dall'incidente intercorresse esclusivamente con quest'ultimo.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'