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Indennità di trasferta: alcune sentenze rilevanti

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Va nettamente distinto il “trasfertista abituale” dal lavoratore che va in trasferta, perché solo per il primo ricorrono cumulativamente le seguenti condizioni: a) la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro; b) lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità; c) la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione “in misura fissa”, attribuite senza distinguere se il dipendente si sia effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta. (Cass. Civ. Sez. L., 24/07/2023, n. 22171)

L’indennità di trasferta percepita dal lavoratore ha natura retributiva – e va, pertanto, assoggettata ad Irpef – nei limiti stabiliti dall’art. 51, comma 5, TUIR, ovvero per la parte eccedente l’importo di € 46,48 al giorno, al netto delle spese di viaggio, per le trasferte fuori del territorio comunale, e senza alcun limite per le trasferte nell'ambito del territorio medesimo. Presupposto del relativo diritto è il temporaneo comando del lavoratore a prestare la propria opera in un luogo diverso da quello in cui deve abitualmente eseguirla, a prescindere dalla sua effettiva residenza o dall’ubicazione della sede aziendale; scopo dell’indennità, infatti, è quello di compensare i disagi derivanti dal temporaneo espletamento del lavoro in luogo diverso da quello previsto. (Cass. Civ. Sez. V, 14/07/2023, n. 20412)

In tema di indennità di trasferta del medico per svolgere attività di ambulatorio al di fuori del proprio comune di residenza, le somme erogate a titolo di spese di viaggio sono previste dall’art. 86 dell’Accordo collettivo nazionale del 23 maggio 2005, quali spese di viaggio per recarsi dal luogo di residenza a quello di svolgimento dell’attività. Orbene, l’art. 51, comma 5, del d.P.R. n. 917/1986, prevede una imponibilità ridotta (ovvero nulla per i rimborsi spese a piè di lista), per le indennità percepite per le trasferte o missioni che il lavoratore compie al di fuori del territorio comunale ove è ubicata la sede di lavoro. (Cass. Civ. Sez. V, 16/06/2023, n. 17316)

L'art. 7 quinquies del d.l. n. 193 del 2016 (conv. con modif. in I. n. 225 del 2016) - ha introdotto una norma retroattiva autoqualificata di "interpretazione autentica" del comma 6 dell'art. 51 del d.P.R. n. 917 del 1986, con la quale si è stabilito, al comma 1, che i lavoratori rientranti nella disciplina prevista dal comma 6 sono quelli per i quali sussistono contestualmente le seguenti condizioni: a) la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro; b) lo svolgimento di un'attività lavorativa che richiede la continua mobilità; c) la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell'attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un'indennità o maggiorazione di retribuzione "in misura fissa", attribuite senza distinguere se il dipendente si sia effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta, e che, in caso di mancata contestuale esistenza delle suindicate condizioni, è riconosciuto il trattamento previsto per le indennità di trasferta di cui al comma 5 del medesimo art. 51. (Cass. Civ. Sez. VI, 12/04/2022, n. 11793)

In tema di contributi dovuti per i regimi assicurativi dei lavoratori operanti all’estero, in Paesi extracomunitari con i quali non sono in vigore accordi di sicurezza sociale, ai fini della individuazione della base imponibile contributiva, deve aversi riguardo alla retribuzione effettivamente corrisposta, e non alle retribuzioni convenzionali individuate con i d.m. richiamati dall’art. 4, comma 1, del d.l. n. 317 del 1987, conv. dalla l. n. 398 del 1987, restando inapplicabile il comma 8 bis dell’art. 48 del d.P.R. n. 917 del 1986 (poi divenuto 51 per effetto del d.lgs. n. 344 del 2003), che opera esclusivamente a fini fiscali; ne consegue che, ove l’indennità di trasferta corrisposta al lavoratore abbia natura retributiva, alla luce del suo carattere stabile e non contingente, va computata ai fini dell’individuazione della fascia di retribuzione convenzionale da applicare a fini contributivi. (Cass. Civ. Sez. L., 25/02/2022, n. 6294)

L’art. 20 del c.c.n.l. autoferrotranvieri del 23 luglio 1976 individua la “tratta a cui l’agente appartiene” quale elemento strutturale utile per l’individuazione della residenza di servizio, sicché essa, in ragione delle mansioni in concreto svolte dai dipendenti (nella specie, operatori di esercizio, addetti alla conduzione di autobus) e del luogo in cui vengono espletate, è idonea a costituire riferimento per l’assegnazione delle sede ed il riconoscimento dell’indennità di trasferta. (Cass. Civ. Sez. L., 29/10/2021, n. 30802)

Il trasferimento non consiste nella temporanea assegnazione del lavoratore ad un diverso luogo di lavoro, per fronteggiare temporanei incrementi di lavoro, poiché il trasferimento da una unità produttiva all’altra comporta un mutamento definitivo e non temporaneo del luogo di lavoro; come tale il trasferimento va tenuto distinto dalla trasferta, che invece si caratterizza per la temporaneità dell’assegnazione del lavoratore ad una sede diversa da quella abituale. (Trib. Venezia Sez. L., 14/09/2021, n. 505)

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Azione revocatoria: alcune sentenze rilevanti

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L'azione revocatoria ordinaria presuppone, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito e non ha anche la sua concreta esigibilità pertanto, prestata fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale, atti dispositivi del fideiussore successivi alla prestazione della fideiussione medesima, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell'articolo 2901, n. 1, prima parte, del codice civile, in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare pregiudizio le ragioni del creditore. L'acquisto della qualità di debitore del fideiussore nei confronti del creditore precedente risale al momento della nascita del credito sicché a tale momento occorre far riferimento per stabilire se l'atto pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito. (Corte App. Palermo, sent. n. 1361, 20/07/2023)

La cessione di crediti costituisce modalità anomala di estinzione dell'obbligazione, come tale assoggettabile all'azione revocatoria ordinaria promuovibile dal curatore ex art. 66 L.F.; il principio della non sottoponibilità all'azione revocatoria dell'adempimento di un debito scaduto, fissato dall'art. 2901, comma 3, c.c., trova invero applicazione solo con riguardo all'adempimento in senso tecnico e non con riguardo a negozi, come la predetta cessione, riconducibili ad un atto discrezionale, dunque non dovuto, per il quale l'estinzione dell'obbligazione è l'effetto finale di un negozio, soggettivamente ed oggettivamente diverso da quello in virtù del quale il pagamento è dovuto; né l'irrevocabilità dell'atto di disposizione può conseguire alla dimostrazione da parte del debitore dell'assenza di alternative per soddisfare il debito scaduto, principio applicabile in relazione a fattispecie disciplinate dall'art. 2901 c.c., ma non nell'ambito dell'azione revocatoria di cui all'art. 66 L.F., posta a tutela della "par condicio creditorum". (Cass. Civ. Sez. III, 07/06/2023, n. 16013)

Per l'esercizio dell'azione revocatoria il requisito del consilium fraudis non è richiesto, essendo sufficiente la sussistenza degli altri due requisiti e, in particolare, l'eventus damni e la consapevolezza del debitore del danno cagionato. La posizione del fideiussore poi può essere assimilata a quella del debitore, sicché l'azione revocatoria può essere esperita anche nei suoi confronti. (Trib. Patti, sent. n. 493, 12/05/2023)

L'azione revocatoria ordinaria mira a rendere inopponibili al creditore gli atti con cui il debitore, disponendo del proprio patrimonio, lo sottrae in tutto o in parte alla garanzia del creditore medesimo, mettendo così in pericolo il soddisfacimento delle ragioni di costui. Tale azione, dunque, non incide sulla validità di quegli atti, ma (ricorrendo le condizioni prescritte dalla legge) ne sterilizza gli effetti nei confronti del creditore che si sia avvalso di tale rimedio, consentendo perciò a costui di aggredire poi esecutivamente i beni usciti dal patrimonio del debitore come se vi fossero ancora ricompresi. Pur non essendo, quindi, in senso proprio, un'azione esecutiva, tale azione è comunque naturalmente orientata a finalità esecutive, come inequivocabilmente testimonia il disposto dell'art. 2902 c.c. (Trib. Biella, sent. n. 151, 20/04/2023)

In tema di azione revocatoria, rileva una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con la conseguenza che anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare l'insorgere della qualità di creditore abilitato all'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria avverso l'atto dispositivo compiuto dal debitore, a nulla rilevando che sia di fonte contrattuale o derivi da fatto illecito e senza che vi sia necessità della preventiva introduzione di un giudizio di accertamento del medesimo credito o della certezza del fondamento dei relativi fatti costitutivi, in coerenza con la funzione di tale azione, che non persegue fini restitutori. (Cass. Civ. Sez. III, 04/04/2023, n. 9278)

La sentenza di accoglimento dell’azione revocatoria giova al cessionario del creditore ope legis. Stabilisce infatti l’art. 2902 c.c. che il creditore, per effetto dell’accoglimento della domanda di revocazione d’un atto dispositivo, “può promuovere l’azione esecutiva” nei confronti dell’avente causa del debitore. Se dunque il credito tutelato con l’azione revocatoria si trasferisce per effetto di cessione, anche il cessionario acquista ipso iure il diritto di “promuovere l’azione esecutiva”, che non sarebbe concepibile scisso dal credito ceduto. (Cass. Civ. Sez. III, 23/06/2022, n. 20315)

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Danno da perdita di chance: alcune sentenze rilevanti

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Ai fini dell'accertamento e della liquidazione del danno da perdita di “chance” invocato dal candidato escluso devono distinguersi le ipotesi in cui la suddetta motivazione sia mancante o illegittima, ovvero soltanto insufficiente: nel primo caso, il giudice investito della domanda risarcitoria dovrà procedere “ex novo” a una valutazione comparativa del profilo dei candidati, verificando se l'attore avesse una significativa probabilità di essere prescelto e, in caso positivo, calcolando il risarcimento tenendo conto dell'incertezza sottesa alla natura ipotetica del giudizio prognostico; nel caso in cui, invece, dalla motivazione assunta dalla P.A. sia possibile evincere i criteri di merito posti a fondamento della nomina, il giudice dovrà apprezzare alla stregua di questi ultimi l'esistenza di una significativa probabilità che la valutazione comparativa delle posizioni dei candidati esclusi conducesse a un diverso esito, su cui fondare il ristoro. (Cass. Civ. Sez. Lav., 01/06/2023, n. 15511)

In tema di risarcimento del danno da perdita di chance, l’accertamento del nesso di causalità tra il fatto illecito e l’evento di danno (rappresentato, in questo caso, dalla perdita non del bene della vita in sé, ma della mera possibilità di conseguirlo) non è sottoposto a un regime diverso da quello ordinario, sicché sullo stesso non influisce, in linea di principio, la misura percentuale della detta possibilità, della quale, invece, deve essere provata la serietà ed apprezzabilità ai fini della risarcibilità del conseguente pregiudizio. (Cass. Civ. Sez. Lav., 13/04/2023, n. 9873)

In tema di pubblico impiego contrattualizzato, il lavoratore è bensì titolare di un diritto soggettivo all'effettivo e corretto svolgimento delle operazioni valutative e può esercitare l'azione di esatto adempimento, al fine di ottenere la ripetizione della valutazione, nonché agire per il risarcimento del danno anche da perdita di “chance”, ma non può domandare al giudice di sostituirsi al datore di lavoro quanto alle valutazioni discrezionali, con la conseguenza che l'attribuzione del bene al quale il dipendente aspira sarà possibile solo qualora la graduatoria da formare all'esito della procedura selettiva sia la risultante di criteri fissi e predeterminati ai quali il datore di lavoro, pubblico e privato, per autonoma iniziativa o pattiziamente, abbia vincolato la propria discrezionalità, rapportando il punteggio in maniera fissa al ricorrere di un titolo o, più in generale, di un determinato presupposto fattuale. (Cass. Civ. Sez. Lav., 04/04/2023, n. 9242)

In tema di pubblico impiego locale, l’illegittimo diniego di una posizione organizzativa comporta il diritto del dipendente al risarcimento del danno per perdita di chance, che va riconosciuto, come entità patrimoniale a sé stante, ove sussista la prova di una concreta ed effettiva occasione perduta; il danno, che non coincide con le retribuzioni perse, va liquidato in via equitativa utilizzando quale parametro tali retribuzioni, tenuto conto del grado di probabilità e della natura di danno futuro, consistente nella perdita non di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo. (Cass. Civ. Sez. Lav., 28/02/2023, n. 6016)

In tema di risarcimento del danno per perdita di chance di promozione (nella specie, prospettato in conseguenza dell'inadempimento da parte del datore di lavoro pubblico dell'obbligo, contrattualmente previsto, di organizzare procedure selettive per progressioni verticali), incombe sul singolo dipendente l'onere di provare, pur se solo in modo presuntivo, il nesso di causalità tra l'inadempimento datoriale e il danno, ossia la concreta sussistenza della probabilità di ottenere la qualifica superiore. (Cass. Civ. Sez. Lav., 10/02/2023, n. 4276)

Il danno patrimoniale da perdita di chance è un danno (non già attuale, ma) futuro, consistente nella perdita non di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo, secondo una valutazione ex ante da ricondursi, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale. (Trib. Roma Sez. I Lav., sent. 01/12/2022)

Il titolo al risarcimento del danno, connesso alla “perdita di chance”, non ha natura reddituale, poiché consiste nel ristoro del danno emergente dalla perdita di una possibilità attuale; ne consegue che la chance è anch'essa una entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile, qualora si accerti, anche utilizzando elementi presuntivi, la ragionevole probabilità della esistenza di detta chance intesa come attitudine attuale. (Cass. Civ. Sez. Trib., 05/05/2022, n. 14344) In materia di responsabilità medica, il danno da perdita di chance di sopravvivenza va escluso nella ipotesi in cui la condizione patologica del paziente, pur in presenza di una condotta colposa del sanitario, non avrebbe escluso l’exitus. (Trib. Foggia Sez. I, 27/07/2021, n. 1914)

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Lesione della quota di legittima: alcune sentenze rilevanti

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L'azione di riduzione ha carattere personale, in quanto si rivolge contro i destinatari delle disposizioni lesive della quota spettante, per disposizione di legge, ai legittimari. Ha la funzione di rendere inefficaci nei confronti di chi agisce le disposizioni ereditarie e le donazioni che abbiano leso i diritti sulla quota di legittima. Pertanto, quando il de cuius abbia fatto delle donazioni, la quota spettante agli altri eredi legittimari va calcolata non solo ed esclusivamente sul relictum ma anche sul donatum. (Trib. Napoli, sent. n. 5688, 01/06/2023)

Ai sensi dell’art. 552 il legittimario che rinuncia all’eredità ha diritto di ritenere le donazioni o di conseguire i legati a lui fatti, anche nel caso in cui operi la rappresentazione, senza che i beni oggetto dei legati o delle donazioni si trasmettano ai rappresentanti, fermo restando però l’onere di questi ultimi di dover imputare le stesse disposizioni alla quota di legittima nella quale subentrano iure repraesentationis. (Cass. Civ. Sez. II, 11/05/2023, n. 12813)

La stima dell'immobile, nell'azione di riduzione, deve farsi relativamente a due distinti momenti: 1) una prima volta, stimandolo al momento dell'apertura della successione e tale stima serve solo ai fini della riunione fittizia onde verificare se c'è stata o meno la lesione di legittima; 2) una seconda volta, solo se è appurata la lesione, si deve stimare il bene per verificarne il valore nel momento in cui si attua concretamente la riduzione per reintegrare la legittima. (Trib. Perugia, sent. n. 685, 03/05/2023)

In tema di successione necessaria, per accertare la lesione della quota di riserva, va determinato il valore complessivo dell'asse ereditario, nonché, sullo stesso, quello della quota disponibile e della quota indisponibile spettante a ciascuno dei legittimari. A tal fine, occorre procedere alla formazione del compendio dei beni relitti ed alla determinazione del loro valore al momento dell'apertura della successione, quindi alla detrazione dal “relictum” di eventuali debiti ereditari, da valutare con riferimento alla stessa data e, ancora, alla riunione fittizia, cioè meramente contabile, tra attivo netto del “relictum” da una parte e “donatum” dall'altra, costituito quest'ultimo dai beni di cui il de cuius abbia in vita disposto a titolo di donazione, da stimare, in relazione ai beni immobili ed ai beni mobili, secondo il loro valore al momento dell'apertura della successione (artt. 747 e 750 cod. civ.) e, con riferimento al valore nominale, quanto alle donazioni in denaro (art. 751 cod. civ.). (Trib. Palermo, sent. n. 1811, 14/04/2023)

In materia di successione testamentaria, l’azione di riduzione riconosciuta al legittimario che ritenga di essere stato leso dalle disposizioni testamentarie si fonda sui seguenti presupposti: la dimostrazione della qualità di legittimario e la dimostrazione della lesività della disposizione testamentaria o della donazione. Il legittimario che agisca in riduzione deve indicare entro quali limiti sia stata lesa la sua quota di riserva, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria, nonché quello della quota di legittima violata, dovendo, a tal fine, allegare e provare, anche ricorrendo a presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti, tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della riserva. (Trib. Bari Sez. I, 03/01/2022, n. 35)

In caso di lesione della quota di legittima, il legittimario, pur potendo eliminare la lesione attraverso la sola collazione, può altresì esercitare contestualmente l’azione di riduzione verso il coerede donatario, atteso che soltanto l’accoglimento di tale domanda può assicurargli l’assegnazione dei beni in natura, sia attraverso il subentro nella comunione ereditaria quando la disposizione testamentaria lesiva non riguardi singoli beni, sia attraverso il subentro nella comunione di singoli beni, come dimostrato dall’art. 560 c.c., che, nel disciplinarne lo scioglimento, prevede, in via preferenziale, la separazione della parte di bene necessaria per soddisfare il legittimario e, in caso di impossibilità della separazione in natura e dunque di non comoda divisibilità del bene, l’applicazione dei criteri preferenziali specificamente individuati dal comma 2, in deroga a quelli di carattere generale di cui all’art.720 c.c. (Cass. Civ. Sez. II, 10/12/2021, n. 39368)

L’azione di riduzione ha carattere personale, essendo finalizzata a rendere inefficaci nei confronti dell’attore le disposizioni ereditarie e di donazione che abbiano comportato una lesione della quota di legittima. Il legittimario che propone l’azione, però, è tenuto a determinare con esattezza il valore della massa ereditaria e la lesione della quota di riserva al fine di consentire al giudice di procedere alla reintegrazione. (Trib. Nocera Inferiore Sez. I, 16/07/2021, n. 996)

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Licenziamento ritorsivo: alcune sentenze rilevanti

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L'onere della prova della esistenza di un motivo di ritorsione del licenziamento e del suo carattere determinante la volontà negoziale grava sul lavoratore che deduce ciò in giudizio. In tali ipotesi, per affermare il carattere ritorsivo e quindi la nullità del provvedimento espulsivo, in quanto fondato su un motivo illecito, occorre specificamente dimostrare, con onere a carico del lavoratore, che l'intento di rappresaglia per l'attività svolta abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso. (Trib. Bari, sent. n. 1598, 30/05/2023)

Per accogliere la domanda di accertamento della nullità del licenziamento in quanto fondato su motivo illecito, occorre che l’intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso (Cass. n. 14816 del 2005; Cass. n. 3986 del 2015; Cass. n. 9468 del 2019), dovendosi escludere la necessità di procedere ad un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causati e del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento. (Cass. Civ., ord. n. 6838, 07/03/2023)

In tema di licenziamento nullo perché ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art. 1345 c.c. deve essere determinante, cioè costituire l'unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale; ne consegue che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento. (Trib. Salerno, sent. n. 2062, 07/12/2022)

Il licenziamento ritorsivo è stato ricondotto dalla giurisprudenza di legittimità, data l'analogia di struttura, alla fattispecie del licenziamento discriminatorio, vietato dalla L. n. 604 del 1966, art. 4, L. n. 300 del 1970, art. 15 e della L. n. 108 del 1990, art. 3, interpretate in maniera estensiva, che ad esso riconnettono le conseguenze ripristinatorie e risarcitorie di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18. (App. Napoli, sent. n. 3486, 23/09/2022)

Nell’ipotesi di licenziamento ritorsivo – quindi nullo – il motivo illecito deve essere determinante (cioè deve rappresentare l’unica effettiva e concreta ragione del recesso datoriale) e deve essere altresì esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto deve essere riscontrato come insussistente. L’esclusività sta quindi a significare che il motivo illecito può concorrere con un motivo lecito, ma solo nel senso che quest’ultimo sia stato formalmente addotto, ma non sussistente nel riscontro giudiziale. (App. Brescia Sez. Lav., 08/09/2021, n. 204)

Il licenziamento per ritorsione costituisce l’ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento interessato del lavoratore colpito o di altra persona a lui legata e conseguentemente accomunata nella reazione, con conseguenza nullità ex art. 1345 cc del licenziamento, quando la finalità ritorsiva abbia costituito il motivo esclusivo e determinante dell’atto espulsivo. Ne segue che, allorquando il lavoratore alleghi che il licenziamento è stato intimo per un motivo illecito esclusivo e determinante ex art. 1345 cc, il datore di lavoro non è esonerato dall’onere di provare, ai sensi dell’art. 5 L. n. 604/1966, l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso; quindi l’indagine in ordine alla sussistenza nonché al carattere esclusivo e determinante del motivo ritorsivo addotto potrà essere successivamente a quella concernente il presupposto giustificativo posto dalla società datrice a fondamento del licenziamento intimato e solo nell’ipotesi di accertata insussistenza della stessa; diversamente, infatti, il motivo ritorsivo non sarebbe, per forza di cose, esclusivo e determinante e quindi non renderebbe nullo il negozio estintivo. (Trib. Trento Sez. Lav. 22/07/2021, n. 71)

Il licenziamento per ritorsione, diretta o indiretta che sia, è un licenziamento nullo, purché il motivo illecito addotto ex art. 1345 c.c. sia stato determinante, cioè abbia costituire l’unica effettiva ragione del recesso da parte del datore di lavoro oltre che ragione esclusiva, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente. (Trib. Frosinone Sez. Lav., 27/04/2021, n. 395)

Il licenziamento è nullo per motivo ritorsivo quando esso costituisce l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale. Il motivo illecito può ritenersi esclusivo e determinante quando il licenziamento non sarebbe stato intimato se esso non ci fosse stato, e quindi deve costituire l’unica effettiva ragione del recesso, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. L’esclusività sta a significare che il motivo illecito può concorrere con un motivo lecito, ma solo nel senso che quest’ultimo sia stato formalmente addotto, ma non sussistente nel riscontro giudiziale. (Cass., sent. n. 1514, 25/01/2021)

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'