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Ritorno alle origini, il progetto della nuova arena del Colosseo tra antichità ed innovazione

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È la Milan Ingegneria, studio veneziano-milanese, ad aggiudicarsi il bando di concorso dello scorso dicembre per la progettazione e realizzazione della nuova arena del Colosseo.

La procedura di gara è stata gestita dal Parco del Colosseo con la sua direttrice Alfonsina Russo e da Invitalia che ha sorteggiato la commissione giudicatrice così composta: Salvatore Acampora, Michel Gras, Stefano Pampanin, Giuseppe Scarpelli e Alessandro Viscogliosi.

Il progetto prevede un finanziamento di 18,5 milioni di euro e rientra nel programma dei Grandi Progetti Beni Culturali dal 2015. L’idea nasce infatti già nel 2014 dall’iniziativa dell’archeologo Daniele Manacorda, con il supporto del ministro Franceschini. Si tratta dunque della messa in opera di studi ed indagini che vanno avanti da almeno cinque anni; la fine dei lavori è prevista per il 2023. Lo stesso ministro ha così esordito a conclusione dell’affidamento dell’incarico: “Ancora un passo avanti verso la ricostruzione dell’arena, un progetto ambizioso che aiuterà la conservazione e la tutela delle strutture archeologiche recuperando l’immagine originale del Colosseo restituendogli anche la sua natura di complessa macchina scenica”.

Leggerezza, reversibilità e sostenibilità, questi i requisiti principali dell’arena individuati da architetti, archeologi, restauratori e strutturisti del Parco Archeologico del Colosseo all’interno del Documento di Indirizzo alla Progettazione (DIP), redatto ai sensi del Codice dei Contratti e punto di partenza imprescindibile. Si mira infatti a criteri guida quali la sicurezza, la funzionalità ed economicità realizzativa che possano da un lato incrementare il livello di tutela del patrimonio esistente e dall’altro restituire un’immagine ed una percezione del monumento stesso che si era da tempo perduta. Vengono dunque riconfermate le competenze dell’Italia sul tema del patrimonio culturale. Le soluzioni proposte infatti dal punto di vista tecnologico si presentano nuove e ricercate, ma non rinnegano una raffinatezza estetica notevole.

In virtù del perseguimento di scelte sostenibili il materiale in cui verrà realizzata l’arena sarà il legno di Accoya, materiale ad elevata resistenza e durabilità. La necessità di tutelare le strutture ipogee è soddisfatta dalla possibilità di effettuare un ricambio d’aria completo in soli 30 minuti attraverso pannelli mobili, e da 24 unità di ventilazione sul perimetro che monitoreranno lo stato igrometrico degli ambienti. Un sistema di raccolta e recupero delle acque meteoriche eviteranno il rischio di carico idrico ed alimenteranno i servizi igienici dello stesso monumento.

L’obiettivo del progetto è quello di restituire una lettura simile a quella originaria del monumento riproponendo eventi culturali che possano avvalorare l’antica essenza dell’Anfiteatro Flavio quale luogo dei celebri spettacoli gladiatori.

Non sono tuttavia mancate critiche, la percezione del monumento, al suo stato attuale, è ormai consolidata nell’immaginario comune, acquistando una certa storicità. L’introduzione della nuova arena precluderà la possibilità di osservare gli ambienti ipogei direttamente, se non attraverso i pannelli mobili. Lo stesso costo del progetto è risultato spropositato rispetto ad altre situazioni ben più compromesse, così come si teme un’eccessiva “mercificazione” del monumento a fronte degli eventi che potrebbero ora svolgersi al suo interno, venendo meno all’obiettivo principe della conservazione.

Giuliano Volpe, presidente del Consiglio superiore Beni culturali e paesaggistici nel 2014, risponde alle obiezioni sostenendo che: “Un monumento è un organismo vivo”, motivo per cui nel tempo vengono a modificarsi le necessità di conservazione ed i valori che ogni società attribuisce al patrimonio storico-architettonico. Il cambiamento diventa dunque se non necessario, preferibile. Gli ambienti ipogei potrebbero inoltre essere oggetto di un percorso di visita che, grazie alla nuova arena, non danneggia le strutture sottostanti e sarebbe comparabile alla reale entità di quegli ambienti angusti adibiti in antico al “personale”.

In conclusione, il progetto della nuova arena della Milan Ingegneria si apre ad una nuova lettura espressiva di questo edificio, comprensibile anche dai non specialisti.

La comunità torna a vivere un monumento che non è più solo quello delle cartoline e del turismo di massa, ma uno spazio urbano vivibile quale centro di promozione e produzione culturale.


Recupero dei materiali derivanti da pannelli fotovoltaici: il brevetto ENEA

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L'invenzione rispone al problema della gestione dei rifiuti derivanti dalla dismissione dei pannelli fotovoltaici.

L’aumento esponenziale dei rifiuti costituiti da pannelli fotovoltaici giunti a fine vita rappresenta un problema urgente legato alla gestione degli stessi, anche a fronte delle leggi nazionali ed europee che impongono regole severe. Per favorire il recupero e la valorizzazione di tali rifiuti, ENEA ha brevettato un nuovo processo a basso consumo energetico e ridotto impatto ambientale per il recupero dei principali componenti dei pannelli fotovoltaici in silicio cristallino. Il processo consente di separare i materiali utili, come strati polimerici, contatti elettrici, celle e vetro, e di smaltire il resto in sicurezza attraverso il rammollimento minimo e localizzato degli strati polimerici tramite il riscaldamento del pannello e il successivo scollamento “a strappo”. I moduli cristallini presentano una struttura a strati costituita da uno strato di vetro protettivo, poi un sottile strato di materiale polimerico, l’Etilene Vinil Acetato (EVA), quindi le celle di silicio, contatti elettrici in metallo, un secondo strato di EVA e una superficie posteriore di supporto, generalmente in polivinifluoruro (PVF); il tutto racchiuso in una cornice in alluminio. Per recuperare i componenti è necessario separarli dallo strato di l’Etilene Vinil Acetato, che fa da collante tra i vari strati. Gli strati vengono quindi “strappati” meccanicamente, dopo il trattamento termico “mirato”, in modo da poter poi recuperare gli strati polimerici, i contatti elettrici, le celle ed il 100% del vetro e il foglio backsheet (in PVF), lo strato di EVA.

“Con questo processo si evitano: il rischio di degrado dei materiali, inutili dispendi di energia e si riducono sensibilmente pericolose emissioni gassose. Inoltre, l’impiantistica necessaria è semplice, adatta a un trattamento in continuo e altamente automatizzabile, senza necessità di un’atmosfera controllata mediante uso di gas specifici” - spiega Marco Tammaro, responsabile del Laboratorio Tecnologie per il Riuso, il Riciclo, il Recupero e la valorizzazione di Rifiuti e Materiali e inventore del brevetto insieme all’imprenditrice Patrizia Migliaccio.

Entrando nei dettagli, il brevetto sfrutta il rammollimento, minimo e localizzato, appena sufficiente per staccare gli strati polimerici per realizzare un processo in modalità continua e automatizzata. I pannelli vengono quindi riscaldati mentre avanzano su un nastro trasportatore; gli strati polimerici vengono staccati mediante un’azione a strappo, che si presta agevolmente a un’automatizzazione del processo. Il processo consente agevolmente la lavorazione in continuo di pannelli fotovoltaici a prescindere dalle diverse caratteristiche degli strati polimerici (spessore e tipologie), e a cui corrispondono diverse condizioni minime di distacco.


Case di riso per l’edilizia sostenibile

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Presentato il nuovo sistema costruttivo della start up made in Italy RiceHouse

In occasione di Klimahouse 2020, RiceHouse, la startup che trasformagli scarti derivanti dalla lavorazione del riso in materiali per la bioedilizia, ha presentato “Risorsa”, il nuovo sistema costruttivo per l’involucro prefabbricato. La start up di Tiziana Monterisi ha festeggiato così i primi quattro anni di successi e continua la sua crescita nel mercato italiano con la realizzazione di una nuova parete a elevate prestazioni termiche e acustiche, priva di sostanze nocive per la salute delle persone, altamente traspirante che permette di regolare l’umidità degli ambienti indoor purificandone le concentrazioni di inquinanti grazie alle proprietà dell’argilla.

Risorsa nasce dalla collaborazione tra RiceHouse e Novellocase. Attraverso il marchio Risorsa, la start up intende “promuovere lo sviluppo e la diffusione di case costruite con balle di paglia di riso, secondo un approccio alla bioarchitettura che valorizza gli scarti dell’agricoltura minimizzando la produzione di rifiuti e l’impatto ambientale”. Grazie a quaesto progetto è stato possibile industrializzare il processo di fabbricazione di telai legno e paglia precompressa, al fine di realizzare case in paglia prefabbricate con elevatissime prestazioni energetiche che rispettano gli standard passivi. Nel sistema costruttivo sono utilizzati solo materiali di origine naturale provenienti da filiera corta collegata al territorio in cui l’azienda si inserisce, in una nuova ottica di economia circolare, e minimizzazione dell’impatto ambientale. Le abitazioni realizzate con questo sistema costruttivo hanno il vantaggio di avere un comfort termico equilibrato che sfrutta al minimo le fonti di energia, per lo più rinnovabili. Inoltre vi è un’ottimizzazione dell’apporto passivo del sole, rispettando i canoni della bioedilizia, sfruttando il calore generato dall’utilizzo generale dell’edificio compensando in tal modo le minime perdite invernali e massimizzando l’efficienza energetica dell’involucro edilizio.

Ricehouse realizza anche una linea completa di prodotti edili derivanti dalla trasformazione degli scarti della produzione risicola, altrimenti destinati a essere bruciati, perché inadatti all’allevamento. Grazie alla miscela di calce, lolla e paglia, i materiali firmati RiceHouse sono leggeri, altamente termici, traspiranti, sani, formaldeide free e 100% made in Italy. Inoltre, essendo completamente naturali, i prodotti della startup arrivati a fine vita non andranno a impattare sull’ambiente, in quanto biocompostabili e biodegradabili. Tali materiali sono indicati sia per ristrutturazioni sia per nuove costruzioni.

La grande versatilità dei prodotti RiceHouse ha permesso di stringere importanti collaborazioni e realizzare diversi progetti, tutti aventi un obiettivo comune, la riduzione al minimo dell’impatto ambientale. Si passa, quindi, da progetti di ricostruzione, come per esempio Casa UD a Chamois (Ao) - che, grazie all’elevato isolamento della paglia di riso, non necessita di un impianto tradizionale di riscaldamento neppure durante l’inverno, quando vengono raggiunte temperature molto basse - a progetti di ristrutturazione e riqualificazione energetica, quali Casa NP a Sciolze (To), dove l’insieme degli interventi di isolamento e di finitura con intonaci biocompositi in calce di lolla hanno consentito di ottenere un edificio a bassa energia grigia, che minimizza le dispersioni e sfrutta gli apporti solari passivi. Un’importante collaborazione è quella che la start up ha stretto Wasp, azienda leader nel settore della stampa 3D: dopo il grande successo di Gaia, una casa di ultima generazione stampata in 3D con i materiali completamente naturali di RiceHouse, i bio-materiali sono stati impiegati per la realizzazione di Tecla, un habitat eco-sostenibile disegnato da Mario Cucinella e stampato con la tecnologia 3D di Wasp.


ENEA : nuovi materiali edili ecosostenibili.

fonte immagine:https://www.aipcr.it/web2/index.php/attivita/news/item/695-piero-angela-e-il-riciclo-dei-pneumatici

Lo studio di nuovi materiali ecosostenibili è da sempre una sfida aperta nel campo dell'edilizia, ogni giorno ci si ingegna e si studiano nuovi prodotti per la produzione di materiali innovativi e che allo stesso tempo risultino confortevoli, garantendo, comunque, alte prestazioni in termini di caratteriste meccaniche. L'ecocompatibilità dei materiali si valuta attraverso diversi parametri e tra questi c'è il processo di produzione. Esso tende a favorire lavorazioni più semplici che richiedono minore uso di acqua e di energia, elevata capacità di recupero e riciclo in seguito alla dismissione dei materiali e capacità di isolamento degli ambienti contribuendo ad una minore emissione di sostanze nocive.

Trasformare i rifiuti in prodotti con un valore più alto del materiale originale: questo il concetto alla base dell’upcycling, versione potenziata delle moderne pratiche di riciclo. Due nuovi progetti, del valore complessivo di oltre 1,1 milioni di euro, vedono ENEA collaborare con l’Università della Calabria e due aziende calabresi per la realizzazione di nuovi prodotti ecosostenibili per l’edilizia, come: piastrelle, intonaci e malte; ricavati da pneumatici fuori utilizzo e cavi elettrici dismessi.

Il progetto PFU PREDECORE (PRemiscelati per l’EDilizia ECOcompatibili e a Risparmio Energetico), coordinato dalla società Gatim srl, punta a realizzare intonaci, malte e colle con premiscelati a base di PFU, in sostituzione di un materiale aggregante tradizionale come la sabbia. Sono previste attività di vario tipo, che coinvolgono la caratterizzazione fisica, chimica e meccanica dei prodotti, la valutazione di durabilità e le proprietà isolanti, inoltre ci sarà l'allestimento di un impianto pilota su scala semi-industriale.

Maria Bruna Alba, responsabile ENEA del progetto, spiega che oltre a realizzare nuovi prodotti sostenibili ed efficienti, questo progetto si caratterizza per la possibilità di aumentare il valore economico del materiale PFU e dunque la sua domanda, con interessanti possibilità per l’intera filiera del recupero/trattamento. L’Enea è responsabile delle attività sperimentali relative alla definizione della conducibilità termica e dell’isolamento acustico necessarie per verificare le proprietà isolanti dei vari prodotti. “Le caratteristiche termoacustiche dei manufatti realizzati con PFU sono risultate ampiamente soddisfacenti. Per quanto riguarda la capacità di isolamento termico, i campioni analizzati sono risultati di pari caratteristiche rispetto ad analoghi intonaci e malte isolanti presenti sul mercato. Dal punto di vista dell’isolamento acustico, invece, i manufatti realizzati con PFU si sono dimostrati più performanti, migliorando l’abbattimento acustico del 9%”, spiega Maria Bruna Alba.

Il secondo progetto, denominato PVC UpCycling, coordinato da R.ED.EL. srl, prevede di realizzare prodotti edili a basso impatto ambientale utilizzando PVC recuperato da cavi elettrici dismessi. Tre i principali ambiti: i rivestimenti per pavimentazioni esterne (piastrelle in PVC su massetto esistente), i piazzali carrabili (massetto armato con malta miscelata con granuli di PVC) e green parking (blocchi a spessore in PVC riciclato e giunti strutturali in PLA stampati in 3D). L’ENEA ha sviluppato malte cementizie contenenti PVC riciclato studiandone gli aspetti meccanici, termici e di assorbimento dell’acqua. Inoltre ha realizzato prototipi in PVC e resina poliuretanica per il settore edilizio, conducendo test di durabilità, resistenza e tenuta del colore rispetto alla radiazione solare. “In questo progetto mettiamo in campo le linee programmatiche prioritarie di ENEA, quali la valorizzazione, gestione e salvaguardia dell’ambiente, il recupero e riutilizzo di materiali in processi ecosostenibili e l’efficienza energetica, supportando aziende come R.ED.EL. che si prefiggono il triplice obiettivo di migliorare l’efficienza del sistema produttivo, ampliare il proprio mercato con nuovi prodotti e potenziare la propria competitività sul lungo periodo”, commenta il ricercatore ENEA Corradino Sposato.


ENEA presenta un innovativo impianto biogas compatto ad alto rendimento.

fonte immagine:https://www.controluce.it/notizie/energie-rinnovabili-biogas-enea-presenta-innovativo-impianto-compatto-ad-alto-rendimento/

Il biogas si forma spontaneamente dalla fermentazione di materia organica. Le discariche di rifiuti urbani possono diventarne grandi produttori, visto che normalmente il 30–40% del rifiuto è appunto materiale organico, altre fonti principali potrebbero essere l'industria agricola o zootecnica; tale gas per essere utilizzabile ed ottenere un valore economico, prima deve essere captato ed accumulato in apposite strutture evitandone la dispersione nell'ambiente, per essere in seguito bruciato per produrre calore ed energia elettrica.
Gli impianti a biogas “tradizionali” funzionano, in maniera semplicistica, in questa maniera. All'interno di un apposito contenitore, il fermentatore, vengono convogliate varie sostanze naturali quali: letame, liquame, pollina, siero lattiero-caseario, scarti vegetali, sottoprodotti agricoli. Colture quali silo mais, frumento, sorgo, granella, in combinazione con liquami e letami, sono ottime materie prime. Inoltre possono essere utilizzati anche scarti dell'industria agroalimentare. Nel fermentatore, in assenza di ossigeno e a temperatura controllata, un grande numero di batteri degrada la sostanza organica. Il risultato di questa degradazione è triplice: biogas, calore e digestato (fertilizzante liquido naturale):

  • Il biogas viene convertito in energia elettrica grazie a un cogeneratore e ceduto alla rete nazionale. Una parte è convertita in ulteriore calore.
  • Il calore, oltre che per il processo di fermentazione stesso, è utilizzato per il rilscaldamento di alcuni locali dell'azienda, come stalle e uffici (o addirittura per un processo industriale).
  • Il digestato viene utilizzato come fertilizzante naturale nelle coltivazioni aziendali, la cui qualità è di gran lunga superiore al letame.

ENEA ha realizzato, presso il Centro Ricerche Casaccia, un nuovo impianto sperimentale per produrre biogas in grado di aumentarne resa e contenuto in metano oltre il 70%, riducendo volumi, tempi e costi di produzione rispetto agli impianti “tradizionali”.

In futuro, l’impianto verrà ampliato e dotato di altri componenti per testare, anche in collaborazione con l’industria del settore, una serie di innovazioni tecnologiche e di processo promettenti per la produzione di biometano e bioidrogeno. Si prevede di realizzare, in concomitanza, una copertura con pannelli fotovoltaici, che serviranno sia per alimentare le utenze dell’impianto che per produrre, mediante elettrolisi dell’acqua, una corrente di idrogeno che verrà impiegata in processi innovativi di bioconversione della CO2 contenuta nel biogas in metano. L’impianto si compone di un digestore pilota del volume di 1 m3 e di un dispositivo innovativo a campi elettrici pulsati, di taglia ridotta rispetto a quelli in commercio, che incrementano la resa di conversione in biogas, accelerando la degradazione della cellulosa, la componente più rilevante delle biomasse utilizzate. Adatto per essere alimentato con biomasse cosiddette “povere”, come canne, paglia, residui agricoli o rifiuti organici, al momento funziona con gli scarti provenienti dalla mensa del Centro.

La produzione di biogas da impianti di digestione anaerobica è considerata una tecnologia matura ampiamente diffusa sul territorio nazionale, in particolare nel Nord Italia, ma presenta delle criticità, specie nel caso di utilizzo di una percentuale rilevante di biomasse povere”, evidenzia Vito Pignatelli, responsabile del Laboratorio ENEA di “Biomasse e Tecnologie per l’Energia”. In questo caso, infatti, la ridotta efficienza di conversione della biomassa, pari a circa il 50-60%, e il ridotto contenuto in metano, intorno al 50%, fanno aumentare i costi per l’eventuale immissione in rete del biogas che per legge deve avere un contenuto minimo di metano del 97%. “Grazie alle innovazioni sviluppate nei laboratori dell'ENEA, come ad esempio l’impiego di miscele selezionate di funghi e batteri e la separazione dei diversi stadi del processo di digestione anaerobica in due diversi reattori (processo bistadio), oltre ad aumentare le rese di conversione di biomasse povere, siamo anche in grado di prevenire perdite di produttività in quanto, se si verifica un problema nel primo reattore, mentre si interviene su questo, il secondo continua a produrre metano regolarmente”, aggiunge Pignatelli. “I benefici sono comunque anche altri e di carattere più generale: utilizzando scarti alimentari contribuiamo alla riduzione dei rifiuti e con l’impiego di biomasse povere siamo in grado di valorizzare economicamente scarti dell’agricoltura, che rimangono in gran parte inutilizzati o, in prospettiva, recuperare a fini produttivi terreni degradati o comunque non utilizzabili per l’agricoltura convenzionale, come le aree in prossimità delle discariche”, conclude Pignatelli. Un importante elemento innovativo è la possibilità di verificare su scala pilota l’efficacia di diverse opzioni e configurazioni di processo, applicate separatamente o in modo combinato, testando soluzioni tecnologiche che possano essere proposte sul mercato per l’eventuale potenziamento ed efficientamento degli impianti già esistenti.