Completamente operativo dal 19 luglio, l’ospedale è intitolato a Michele e Pietro Ferrero
Il nuovo complesso sanitario, aperto parzialmente a maggio come Covid Hospital per fronteggiare l’emergenza, è stato progettato da un team internazionale composto da Aymeric Zublena di Scau Architecture (capogruppo, Parigi), Ugo e Paolo Dellapiana di Archicura (Torino) e Ugo Camerino (Venezia), vincitore della gara per la progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva e Direzione Lavori del 1998 indetta dall’allora ASL 18.
Il nuovo ospedale ha una particolarità: nasce per umanizzare il percorso di cura, materializzando i principi elaborati da Renzo Piano e Umberto Veronesi allora ministro della Sanità. Tali principi mirano a rivoluzionare la progettazione ospedaliera mettendo il paziente al centro della stessa, come suggerito dal decaloco elaborato: umanizzazione, urbanità, socialità, organizzazione, interattività, appropriatezza, affidabilità, innovazione, ricerca e formazione.
"Nell’ospedale di Alba Bra abbiamo ripreso con ancor maggiore ampiezza, l’idea della “via medica” pensata da Zublena per l’ospedale europeo Georges Pompidou a Parigi, trasformandola in “una galleria” per portare la luce naturale ovunque fosse possibile. Per questo il nuovo polo di Verduno è un posto pieno di luce e vita che non fa pensare alla malattia. Il benessere dello spirito è, senza dubbio, uno dei maggiori contributi alla guarigione. L’ospedale deve essere una macchina per curarsi e non per essere ammalati, un luogo in cui sentirsi confortati e per di più in cui lavorare. Tecnologia e efficienza sono importanti, ma non bastano. La qualità del servizio medico, l’attenzione all’individuo e ai suoi bisogni devono essere il focus del progetto. Umanizzazione significa avere una struttura non prevaricatrice, non violenta, un ambiente amico e famigliare, rifinito gradevolmente, con luce e verde tutto intorno. Tutto ciò aiuterà il malato a guarire più rapidamente", racconta Paolo Dellapiana dello studio Archicura che ha anche seguito parte dell’alta sorveglianza alla direzione lavori.
Il nuovo polo ospedaliero, collocato al confine tra Langhe e Roero, sul lato destro del fiume Tanaro tra i noccioli del versante nord della collina di Verduno, presenta uno sviluppo in orizzontale con un’impostazione a “piastra” per reparti medici, ambulatori, reparti di ricovero chirurgico e radioterapia, che, rispetto a quella a blocco permette di ridurre al massimo l' altezza per minimizzare l’impatto sul paesaggio di questa parte di territorio vicina al fiume Tanaro; inoltre permette di garantire la maggiore flessibilità e connessione possibile tra le sue parti, che richiedono aggiornamenti frequenti.
L’edificio sfrutta il suo intorno cercando di renderlo parte del percorso di cura. Ampi patii e corti portano all’interno luce naturale e vegetazione. Le stanze sono dotate di una doppia fila di finestre a differenti altezze per "portare" il panorama dentro il luogo della degenza. L’ospedale apre le sue viste sul paesaggio prezioso della pregiatissima area vitivinicola al confine tra Langhe e Roero.
L’organizzazione dei percorsi ospedalieri è stata chiaramente disegnata, dividendo i flussi tra personale sanitario e ospedaliero e utenti esterni. Spina dorsale del complesso è la “galleria medica”, una galleria vetrata che segue la pendenza del terreno da Nord a Sud diventando un ampio spazio per l'accoglienza dal quale è possibile accedere alle cliniche e alla maggior parte dei reparti. Sui lati si colloca il “corpo sostenuto”, due blocchi lineari che ospitano le specialità mediche, le unità di recupero e le aree sanitarie.
All'esterno, l'architettura dell'ospedale è definita attraverso volumi, colori e materiali. Le facciate sono realizzate in pannelli prefabbricati in calcestruzzo a taglio termico affiancati a parti continue finite in alluminio e vetro. Il colore rosso, staccandosi dal bianco e dal vetro, evidenzia la torre e vivacizza alcuni volumi della facciata ovest. L’ingresso, da cui è possibile vedere chiaramente l’uscita, è chiuso da una grande facciata strutturale in acciaio e vetrocamera.
Grazie alle prestazioni di involucro e impianto, l'ospedale raggiunge la classe energetica A1: serramenti ad alto rendimento e stratigrafia muraria si affiancano all'impianto fotovoltaico da 200 KW, ventilazione con recupero di calore, cogenerazione da 1.700 KW e caldaie a condensazione da 16.000 KW. Illuminazione a led e utilizzo di BMS per la manutenzione degli edifici consentono di tenere sotto controllo le richieste energetiche.
Tradizione e innovazione per il punto di riferimento per i pazienti ugandesi e per i bambini con necessità chirurgiche provenienti da tutta l’Africa.
La costruzione del Centro di chirurgia pediatrica di Entebbe ha inizio nel 2017 con la posa della prima pietra su un terreno di 120.000 mq messo a disposizione dal governo ugandese.
Il nuovo ospedale di Entebbe rappresenta il secondo centro di eccellenza della “Rete sanitaria d’eccellenza in Africa” (ANME – African Network of Medical Excellence), dopo il Centro Salam di cardiochirurgia di Khartoum, in Sudan. Questa rete è stata creata su iniziativa di Emergency nel 2009 con lo scopo di sviluppare i sistemi sanitari dei paesi aderenti e portare sanità gratuita, ma di eccellenza, in Africa, affermando il diritto di ogni essere umano a ricevere cure gratuite e di elevata qualità.
Il progetto, realizzato dallo studio RPBW insieme a TAMassociati e all’EMERGENCY Building Division, è stato supportato nella parte strutturale dei muri in pisè da Milan Ingegneria e da Zintek per l’involucro di copertura in zinco-titanio.
La costruzione della struttura ha seguito l’iter comune a tutti gli ospedali realizzati da EMERGENCY, che ha già realizzato progetti nelle zone più critiche del pianeta, dall’Afghanistan al Centrafrica, al Sudan e all’Iraq: le decisioni sono prese assieme alle persone che hanno vissuto e vivranno la quotidianità, la gestione e il controllo della struttura come i responsabili medici dei vari dipartimenti che discutono con gli architetti bisogni e priorità.
Le soluzioni sviluppate derivano dalla commistione di diversi fattori, secondo quella che Renzo Piano spesso definisce come la legge della “dura necessità”: la disponibilità di risorse, la semplicità d’uso, la durabilità nel tempo.
Il cantiere diventa quindi un laboratorio didattico da cui deriva un approccio e un protocollo che possono essere applicati anche in diverse altre situazioni specifiche.
Per la struttura in muratura è stata utilizzata la tecnica tradizionale del pisè (o terra battuta) reinterpretata in chiave innovativa. Questa si basa sull’impiego della terra cruda per garantire un’inerzia termica in grado di mantenere costanti la temperatura e l’umidità nell’edificio. La resistenza meccanica della terra è stata migliorata con il mix design, fino a risultare dieci volte superiore ai valori di letteratura, raggiungendo quelli di un buon calcestruzzo.
All’uso della terra, Piano ha abbinato l’elemento che da sempre caratterizza la sua stessa visione dell’architettura come shelter: un “ombrello” in struttura metallica – in realtà due grandi ali dispiegate – che sostiene 3.000 metri quadri di pannelli solari, così da garantire non solo la piena autonomia energetica dell’ospedale, ma di utilizzare il surplus per alimentare l’area circostante.
L’ospedale, oltre a offrire un’area accoglienza e di educazione sanitaria, 50 letti di degenza, 16 di sub-intensiva, 6 di terapia intensiva e 3 sale operatorie corredate da tutti i servizi diagnostici e ausiliari necessari al loro funzionamento, dispone di laboratorio, banca del sangue, farmacia, mensa e lavanderia. In vista dell’arrivo di pazienti provenienti da vari Paesi, è prevista anche una guest house con 42 letti per i pazienti e i loro famigliari. Ci sono anche un’area gioco esterna e un giardino con 350 alberi: il verde infatti è un elemento importante per il recupero e la guarigione dei pazienti.
“C’è un modo di pensare diffuso secondo il quale se devo fare una sedia per casa mia, la faccio perfettamente in squadra con quattro gambe e una bella seduta; invece, se devo farla per l’Africa, basta che ci si possa stare appoggiati. Così non va bene: il modo migliore per praticare l’eguaglianza – e per praticarla non solo in Africa – è dimostrare a quelle persone che le consideriamo uguali a noi, non solo per la convenienza politica del momento. A noi piacerebbe che tutti i nostri edifici, ospedali compresi, fossero belli, e allora perché dovremmo riempire di cose brutte un altro Paese?”- afferma Gino Strada, chirurgo e fondatore di EMERGENCY, a proposito dell’idea che sta alla base del progetto.
Un appello al quale Renzo Piano ha risposto con entusiasmo: “Quando ho incontrato Gino Strada per parlare del progetto, come prima cosa mi ha detto: ‘Voglio fare un ospedale scandalosamente bello!’. Siamo entrati subito in sintonia, perché anche io ho sempre pensato che etica ed estetica sono le due facce di una stessa medaglia. Kalós kaì agathós, come dicevano gli antichi greci: la bellezza fisica e quella morale definiscono una bellezza etica, legata a una nozione di giustizia e di opportunità. Anzi, di necessità sociale. Ma anche nei vari dialetti africani l’idea di bellezza va sempre di pari passo con quella di bontà: non ci può essere niente di bello che non sia anche in sé buono.”
Sono passati poco più di 20 mesi dal crollo del viadotto Morandi e Genova ha un nuovo ponte, lungo 1.067 metri, tuttavia per percorrerlo bisognerà attendere luglio. L'arrivo nel capoluogo ligure del Premier Giuseppe Conte e del ministro della Infrastrutture Paola Demicheli ha segnato l'avvio della cerimonia di varo dell'ultimo impalcato (quello tra le pile 11 e 12), dei 19 che compongono l'infrastruttura disegnata dall'architetto Renzo Piano e realizzata da PerGenova, la società formata da Fincantieri Infrastructure e Salini Impregilo. Una cerimonia che si è conclusa alle 12 con il passo finale del montaggio: la campata, già in quota e in posizione, è stata innalzata degli ultimi metri e appoggiata sulle pile. Un momento sottolineato dal suono della sirena del cantiere, che è stato immediatamente rilanciato, in tutta la città, per due minuti, dalle sirene delle navi nel porto di Genova e dal suono delle campane, che ha fatto da contrappunto. Un gesto simbolico, anche in ricordo delle 43 vittime causate, il 14 agosto 2018, dal crollo del ponte Morandi.
La salita in quota dell'ultima campata, che misura 44 metri, e sulla quale ha sventolato la bandiera di Genova è proseguita molto lentamente, a circa 5 metri l'ora. La struttura, come è accaduto anche per altre parti dell'impalcato, è stata alzata con l'utilizzo degli strand jack, i grandi martinetti idraulici, utilizzati peraltro per il rimettere in posizione il relitto della Costa Concordia.
Mentre si pianifica il completamento della nuova attività in quota, Salini Impregilo sta organizzando le complesse operazioni per la preparazione della soletta del ponte: 8.000 metri cubi di calcestruzzo che saranno lavorati in contemporanea, dalle estremità del viadotto verso il suo centro, a getto continuo 24 ore su 24 in circa 7-8 giorni, più che dimezzando i normali tempi di realizzazione.
Sulla soletta completa e finita si procederà quindi con l’allestimento finale della piattaforma stradale e di tutte le opere a corredo dell’infrastruttura e della sicurezza del suo esercizio. Con un accurato project planning ridefinito al massimo dettaglio, il concetto di “fast-track” sarà spinto al massimo livello prevedendo il coordinamento e la contemporaneità di molteplici attività come realizzazione di asfalti, posa dei sicurvia, segnaletica stradale, e pannelli di vetro di bordo ponte, oltre che completamento degli impianti di illuminazione stradale e scenografica, in buona parte alimentati dalla energia solare catturata dal sistema di pannelli fotovoltaici allestiti sul bordo ponte.
Il ponte è lungo 1.067 metri, ha 19 campate che si trovano a 40 metri di altezza e sono sorrette da 18 piloni. Il viadotto è stato costruito da Salini Impregilo e da Fincantieri in tempi considerati record, almeno per l’Italia, visto che la demolizione degli ultimi tronconi del ponte Morandi rimasti in piedi era avvenuta lo scorso 28 giugno, quando era iniziata la costruzione del nuovo cavalcavia.
Si è conclusa da pochi giorni a Los Angeles, terra per antonomasia di dive e divi del grande schermo, la tanto attesa notte degli Oscar 2019; proprio la grande metropoli è pronta ad inaugurare, entro la fine del 2019, il più grande museo dedicato alla storia del cinema, con una già attesissima retrospettiva dedicata al Maestro del cinema di animazione giapponese Hayao Miyazaki. Il progetto architettonico del museo è stato curato dallo studio Renzo Piano Workshop Building, selezionato per questo incarico nel maggio 2012. Fondato e guidato dal celebre architetto italiano, lo studio ha operato insieme ai partner di Studio Pali Fekete Architects traducendo i desideri espressi dalla committenza. La volontà di dare vita a un museo in grado di essere contemporaneamente “immersivo, sperimentale, educativo e divertente”, ma anche un centro cinematografico all’avanguardia, è stata tradotta attraverso un grande intervento di ristrutturazione ed estensione del Streamline Moderne May Company Building, risalente al 1939 e più di recente ribattezzato Saban Building.
L’avveniristica struttura sferica pensata da Renzo Piano si auspica che diventarà il punto di riferimento nella capitale mondiale del cinema americano. La struttura sorge nei pressi del LACMA, il Los Angeles Museum of Art e ha visto il grande architetto cimentarsi con la ristrutturazione ed espansione dell’ex edificio di May Company, costruito nel 1938 e fino a prima restauro utilizzato come centro commerciale, ma comunque in disuso da oltre 30 anni poichè gravemente danneggiato dal terremoto del 1987.
L’Academy Museum of Motion Pictures aveva preventivato l’inaugurazione nel 2017, con un budget d’investimento di 250 milioni di euro; ma l’aumento della cifra iniziale ha fatto sì che il completamento dei lavori slittasse nel corrente anno, per un totale di spesa che si aggira intorno ai 388 milioni di euro.
Il progetto museale permetterà al quartiere di Miracle Mile di diventare un punto di riferimento culturale in città e meta per appassionati e studiosi di cinema di tutto il mondo.
Il progetto è enorme, si estende su di un campus di 300.000 metri quadri, il museo ospiterà un grande spazio espositivo dove troveranno collocazione mostre temporanee, laboratori, un teatro da 288 sedute; sarà, quindi, un luogo da fruire nella sua totalità grazie alla presenza di: ristoranti, caffe, bookshop e spazi per eventi. L’Academy Museum of Motion Pictures è un vero e proprio omaggio alla settima arte: lo spazio espositivo firmato dall’architetto italiano avrà uno spazio dedicato alla collezione dell’Academy, che gestisce l’organizzazione degli Oscar, una dei maggiori finanziatori del progetto. Ci saranno oltre 12 milioni di fotografie, 140.000 film, 42.000 poster: qui i visitatori potranno intraprendere un viaggio nella storia del cinema tra disegni, costumi e vari tipi d’installazione. L’edificio sarà inglobato all’interno del campo, ma conserverà, almeno esteriormente, l’aspetto originale. All’ultimo piano del palazzo sarà aperta al pubblico una terrazza con una vista spettacolare sulla città e sulle colline di Hollywood, compresa l’iconica scritta. Accanto all’ex edificio della May Company svetta, nello skyline cittadino, la grande sfera coperta da una cupola di vetro, che ospiterà un cinema con mille posti a sedere e che sarà utilizzata per anteprime e cerimonie di premiazione. Il progetto del museo vede come elemento focale proprio la sfera, simbolo di perfezione. Il Dolby Family Terrace, situato in cima allo Sphere Building, grazie alla sua cupola di vetro permetterà ai visitatori di godere di una spettacolare vista panoramica sulle colline di Hollywood, estesa da Westwood a East Los Angeles.