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EQUO INDENNIZZO E RENDITA INAIL: QUALE CORRELAZIONE?

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Con l’ordinanza n. 7682 del 9 marzo 2022, la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di infortuni sul lavoro, soffermandosi in modo particolare sul rapporto che intercorre fra equo indennizzo e rendita INAIL. Nella vicenda in esame, i giudici d’appello, in riforma della sentenza del Tribunale, rigettavano la domanda proposta da Tizia nei confronti del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, riguardante il riconoscimento come dipendente da causa di servizio dell'infortunio sul lavoro subito e del conseguente diritto all'equo indennizzo con riferimento anche a patologie diverse da quelle riconosciute dall'amministrazione di appartenenza con ascrivibilità del complesso delle patologie connesse all'infortunio nella Tab. A, cat. III (e che l'INAIL aveva valutato nella misura del 70% in sede di riconoscimento di una rendita per lo stesso evento), anziché nella Tab. A, cat. VIII, come riconosciuto dall'amministrazione stessa. La Corte territoriale considerava infondata la domanda di condanna al pagamento della provvidenza invocata alla luce del disposto dell'art. 50, comma 2, d.P.R., n. 686/1957 che prevede vada dedotto dall'equo indennizzo quanto eventualmente percepito dall'impiegato in virtù di assicurazione a carico dello Stato o di altra pubblica amministrazione, avendo accertato aver Tizia percepito a titolo di rendita INAIL una somma di gran lunga maggiore rispetto a quella liquidabile a titolo di equo indennizzo ed inammissibile per carenza di interesse la mera domanda di accertamento del diritto all'equo indennizzo. Tizia si rivolgeva alla Suprema Corte, la quale dichiarava inammissibile il ricorso. Gli Ermellini precisavano che “Le distinte provvidenze dell'equo indennizzo e della rendita INAIL sono da ritenersi compatibili ma non cumulabili”. Per il Tribunale Supremo, la Corte d’Appello aveva correttamente “ritenuto l'eccezione del Ministero relativa, non all'incompatibilità, ma alla mera non cumulabilità delle due distinte provvidenze e come tale già proposta in primo grado, erroneamente disattesa dal giudice di prime cure e meritevole di accertamento istruttorio sulla base delle allegazioni e mezzi istruttori proposti agli atti dal Ministero così da concludere, stante l'evidente sproporzione tra l'importo percepito quale rendita INAIL e l'importo spettante a titolo di equo indennizzo, insuperabile anche a fronte dell'accertamento dell'ascrivibilità dei postumi dell'infortunio sofferti dalla ricorrente alla diversa Tab. A cat. III e, comunque, in considerazione della mancata prospettazione di benefici ulteriori, come si deve ritenere in ragione della mancata specificazione in ricorso della tempestiva deduzione di tali motivi di interesse ad agire, per l'infondatezza della domanda e comunque per la sua inammissibilità in ottemperanza al disposto dell'art. 50, comma 2, d.P.R. n. 686/1957”.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


DANNO DIFFERENZIALE E SCOMPUTO D’UFFICIO DELL’IMPORTO DELLA RENDITA INAIL

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La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23529/2021, ha stabilito che in tema di danno differenziale, l’importo della rendita INAIL deve essere scomputato dal giudice d’ufficio. Nel caso in esame, la Corte d’Appello confermava la condanna di una società datoriale al risarcimento del danno differenziale in favore di un lavoratore ed in ordine all'infortunio al medesimo occorso, nella misura del 25%, essendo stata attribuita al dipendente la responsabilità nella causazione dell'incidente in misura pari al 75%. Il lavoratore era stato incaricato da un collega di provvedere alla imbragatura di alcuni travetti con le fascette auto stringenti; il collega, nonostante fosse sprovvisto di patentino, si era messo alla guida della gru e, al momento di sollevare il terzo carico, questo si era staccato andando a colpire alla spalla la parte offesa, rimasta nel raggio di azione della gru, procurandogli danni permanenti; la caduta della trave si era verificata sia a causa di una non corretta legatura del carico, eseguita dallo stesso danneggiato, il quale aveva ricevuto adeguata formazione come gruista, sia, come accertato nel processo penale, in quanto le travi erano bagnate per la neve caduta qualche giorno prima. Il giudice di merito specificava che il 25% fosse imputabile ad una carenza nell’organizzazione del cantiere che aveva portato il collega ad operare come gruista, benché inesperto; il 75% era invece addebitabile al dipendente, per la negligente esecuzione della prestazione. Pertanto, veniva confermata la liquidazione del danno come operata dal Tribunale, con la previsione di sottrarre quanto versato dall’INAIL a titolo di danno biologico. Poiché la vicenda giungeva in Cassazione, quest’ultima, nel dichiarare inammissibile il ricorso, affermava che “in tema di danno cd. differenziale, il giudice di merito deve procedere d'ufficio allo scomputo, dall'ammontare liquidato a detto titolo, dell'importo della rendita INAIL, anche se l'istituto assicuratore non abbia, in concreto, provveduto all'indennizzo, trattandosi di questione attinente agli elementi costitutivi della domanda, in quanto l'art. 10 del d.P.R. n. 1124 del 1965, ai commi 6, 7 e 8, fa riferimento a rendita "liquidata a norma", implicando, quindi, la sola liquidazione, un'operazione contabile astratta, che qualsiasi interprete può eseguire ai fini del calcolo del differenziale. Diversamente opinando, il lavoratore locupleterebbe somme che il datore di lavoro comunque non sarebbe tenuto a pagare, né a lui, perché, anche in caso di responsabilità penale, il risarcimento gli sarebbe dovuto solo per l'eccedenza, né all'INAIL, che può agire in regresso solo per le somme versate; inoltre, la mancata liquidazione dell'indennizzo potrebbe essere dovuta all'inerzia del lavoratore, che non abbia denunciato l'infortunio, o la malattia, o abbia lasciato prescrivere l'azione”.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


RENDITA PER INFORTUNIO SUL LAVORO: I TERMINI DI REVISIONE

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Con l’ordinanza n. 32159/2021, la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che il termine di complessivi 10 anni per la revisione della rendita per infortunio sul lavoro, previsto dal D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 83 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), non è di prescrizione, né di decadenza, bensì delimita esclusivamente l’ambito temporale di rilevanza dell’aggravamento o del miglioramento delle condizioni dell’assicurato, che fa sorgere il diritto alla revisione; pertanto, è ammissibile la proposizione della domanda di revisione oltre il decennio, purché la parte interessata dia prova del fatto che la variazione sia avvenuta entro il decennio, e a condizione che, se la revisione è richiesta dall’INAIL, l’Istituto, entro un anno dalla data di scadenza del decennio dalla costituzione della rendita, comunichi all’interessato l’inizio del relativo procedimento. La data di costituzione della rendita non è l’atto formale che costituisce il diritto, atto che ha natura meramente dichiarativa e risulta fissato casualmente in relazione alle vicende della sua formazione per via amministrativa o giudiziale, né la data dell’evento materiale che determina la nascita del diritto, bensì coincide con la data in cui il diritto stesso decorre; pertanto, deve ritenersi che, nel caso in cui entro il termine decennale suddetto si proceda alla revisione della rendita per infortunio sul lavoro e questa accerti la sussistenza di un miglioramento dell’attitudine al lavoro che conduca la relativa riduzione in uno spazio di giuridica irrilevanza, ed in tale spazio si conservi alla scadenza del decennio, si determina l’irreversibile estinzione del diritto. Di conseguenza, ove dopo il decennio l’attitudine al lavoro si riduca raggiungendo nuovamente una misura astrattamente rilevante, emerge una nuova situazione materiale, estranea al preesistente diritto. Nella vicenda in esame, poiché: • l’infortunio sul lavoro si era verificato il 16.12.1995; • era stata costituita una rendita INAIL commisurata ad una invalidità del 34% con decorrenza dal 15 giugno 1996; • a seguito di visita medica di revisione in data 5 dicembre 2002, era stata riconosciuta una rendita pari al 40% dal 7 gennaio 2003; • a seguito di una ulteriore visita medica collegiale del 19 maggio 2003, la percentuale di inabilità era stata riconosciuta pari al 60% dal primo febbraio 2003; • la sentenza impugnata aveva accertato, sulla base di una consulenza tecnica d’ufficio, la sussistenza di un aggravamento delle conseguenze relative all’infortunio che avevano determinato una percentuale di invalidità pari al 70% a decorrere dal marzo 2007, e quindi dopo la scadenza del 16 giugno 2006, scadenza del decennio previsto dal D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 83, il diritto alla suddetta rendita si era già estinto, come correttamente sostenuto dall’Istituto ricorrente.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'