L’accesso agli atti e l’accesso civico costituiscono gli strumenti attraverso i quali è possibile conoscere dati, informazioni e documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione.
Mentre l’accesso agli atti è disciplinato dagli artt. 22 e ss. della L. n. 241/1990, l’accesso civico è contemplato dall’art. 5 del D.Lgs 33/2013.
Sebbene abbiano lo stesso scopo, tra i due istituti intercorrono delle specifiche differenze.
L’accesso agli atti, detto anche accesso documentale, è quello esercitabile esclusivamente da quei soggetti portatori di un interesse qualificato inerente al documento al quale è connessa la richiesta; dunque, è fondamentale che il richiedente abbia un interesse diretto, concreto e attuale rispetto al documento stesso.
Il diritto di accesso deve essere garantito per effetto della sola dimostrazione, da parte dell’istante, dell’esistenza di un proprio interesse giuridico bisognevole di tutela, con esclusione di ogni sindacato dell’Amministrazione sulla fondatezza e pertinenza delle azioni che lo stesso istante intende intraprendere; l’istante deve fornire elementi idonei a dimostrare in maniera chiara e concreta la sussistenza di un interesse diretto, concreto, attuale e corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso (sentenze del Tar Bolzano n. 4 del 2017 e del Consiglio di stato n. 1578 del 2018): non risulta pertanto sufficiente un semplice interesse generico e diffuso alla conoscenza degli atti amministrativi, finalizzato ad un controllo generalizzato sull’attività dell’amministrazione o avente carattere meramente esplorativo (sent. Tar Roma n. 30/2012).
L’istanza di accesso agli atti va presentata alla Pubblica Amministrazione che detiene il documento e deve essere regolarmente motivata.
L'ente decide entro trenta giorni, trascorsi i quali la domanda si intende respinta.
L’accesso agli atti è soggetto a dei limiti, i quali sono previsti dall’art. 24 della legge n. 241/1990 e sono strettamente connessi alla tutela di interessi pubblici fondamentali e prioritari rispetto all’interesse alla conoscenza degli atti amministrativi.
Si pensi, ad esempio, ai documenti coperti da segreto di Stato (a norma dell’art. 39, L. n. 124/2007), ai procedimenti contemplati dal D.L. 8/1991 recante norme in materia di sequestri di persona e di protezione dei testimoni di giustizia (conv. in L. 82/1991 e succ. modif.), ai documenti coperti da segreto o divieto di divulgazione altrimenti previsto dall’ordinamento e ai documenti esclusi dal diritto di accesso per mezzo di appositi regolamenti governativi, al fine di salvaguardare la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali, la politica monetaria e valutaria, l’ordine pubblico e la prevenzione e repressione dei reati, la riservatezza dei terzi, persone, gruppi ed imprese.
L’art. 23 prevede, invece, dei limiti facoltativi, i quali possono portare esclusivamente al differimento dell’accesso ai documenti laddove la conoscenza può impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell’azione amministrativa.
Per quanto concerne l’accesso civico, esso permette a qualunque soggetto di accedere a dati, documenti e informazioni della P.A. senza dover dimostrare un interesse qualificato.
L’accesso civico si distingue in semplice e generalizzato.
Il primo consente a chiunque, senza indicare motivazioni, il diritto di richiedere ad una P.A. dati, documenti e informazioni qualora sia stata omessa la loro pubblicazione.
Il secondo consente a qualunque soggetto, senza indicare motivazioni, il diritto di accedere ai dati e ai documenti della P.A., ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis del D.Lgs. 33/2013.
La disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei o assoluti di cui all’art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara, ed in particolare all’esecuzione dei contratti pubblici (nel cui contesto si colloca la fase del collaudo, alla quale pertiene la documentazione di cui l’appellante ha chiesto l’ostensione), ma deve essere verificata la compatibilità di tale forma di accesso con le eccezioni enucleate dall’art. 5-bis, commi 1 e 2, dello stesso d.lgs. n. 33 del 2013, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza (Cons. Stato, Ad. Plen., 2 aprile 2020, n. 10).
Nell’accesso civico generalizzato, nel quale la trasparenza si declina come “accessibilità totale”, si ha un accesso dichiaratamente finalizzato a garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa (Cons. Stato, Sez. VI, 5 ottobre 2020, n. 5861).
L’istanza di accesso civico non è sottoposta ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente.
La richiesta può essere trasmessa per posta elettronica certificata e presentata alternativamente ad uno dei seguenti uffici:
• all'Ufficio che detiene i dati, le informazioni o i documenti;
• all'Ufficio Relazioni con il Pubblico;
• al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, ove la richiesta riguardi dati, informazioni o documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria.
L'accesso civico è rifiutato qualora il diniego sia necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici riguardanti: la sicurezza pubblica e l'ordine pubblico; la sicurezza nazionale; la difesa e le questioni militari; le relazioni internazionali; la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; il regolare svolgimento di attività ispettive.
Inoltre, l’accesso civico è rifiutato nel caso in cui il diniego sia necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi privati che seguono: la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; la libertà e la segretezza della corrispondenza; gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Il soccorso istruttorio rappresenta una delle espressioni peculiari della dialettica partecipativa tra privato e pubblica amministrazione, e, ancor prima di rivestire un ruolo centrale nelle pubbliche gare di appalto, è un istituto generale del procedimento amministrativo.
L’istituto del soccorso istruttorio affonda le sue radici nell’articolo 6 della legge 241/1990, applicabile a qualsiasi procedimento amministrativo e avente lo scopo di colmare lacune documentali, rettificare dichiarazioni o emendare errori che dovessero emergere in fase istruttoria. Nell’ambito delle istruttorie procedimentali, il responsabile del procedimento “può chiedere il rilascio di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali”.
Oggi tale istituto è disciplinato dall’art. 83, comma 9, del Codice dei contratti pubblici (disposizione da ultimo modificata dall’articolo 52, comma 1, lettera d), del D.Lgs. n. 56 del 2017) e consente, in sintesi, la sanatoria delle “carenze di qualsiasi elemento formale della domanda”.
Il soccorso istruttorio, però, incontra due limiti ben precisi: 1) non sono sanabili le mancanze, le incompletezze e le irregolarità che afferiscono all’offerta economica e a quella tecnica; 2) non sono sanabili quelle carenze della documentazione che non consentono l’individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa.
Nel “vecchio” codice degli appalti (l’art. 38, comma 2 bis, del d.lgs. n. 163/2006), l’istituto prevedeva che “la mancanza, l’incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all’uno per mille e non superiore all’uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria. In tal caso, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere. Nei casi di irregolarità non essenziali, ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione, né applica alcuna sanzione. In caso di inutile decorso del termine di cui al secondo periodo il concorrente è escluso dalla gara”. In presenza di irregolarità essenziali la disposizione stabiliva che il concorrente, il quale non voleva essere escluso dalla procedura, dovesse non soltanto pagare la sanzione pecuniaria nell’importo stabilito dal bando di gara e garantito dalla cauzione provvisoria, ma anche inviare nei termini stabiliti dalla stazione appaltante i documenti richiesti. Se poi il termine assegnato dalla stazione appaltante fosse decorso inutilmente senza che il concorrente avesse provveduto alla regolarizzazione o integrazione richiesta, questi veniva escluso dalla procedura di gara, non dovendo pagare la sanzione pecuniaria.
Il Consiglio di Stato afferma che l’istituto del soccorso istruttorio possa operare, qualora non sia stato già attivato dalla stazione appaltante in sede di gara, anche nel processo amministrativo, a garanzia del principio di effettività della tutela. L’istituto rappresenta, infatti, uno strumento di rimedio che la stazione appaltante deve attivare al fine di consentire all’operatore economico di integrare la domanda carente di un requisito formale, consentendogli di dimostrare, dunque, il possesso dei requisiti sostanziali per partecipare alla gara. Qualora non sia stata attivata la suddetta doverosa procedura, è il giudice a dover fare la verifica (mancata nel corso della procedura di gara) volta a verificare se il vizio in questione sia esclusivamente formale oppure, al contrario, abbia carattere sostanziale. La circostanza che a effettuare la verifica sia il giudice e non la pubblica amministrazione implica che la stessa potrà essere attuata solo ove si tratti di operare un mero accertamento di sussistenza o meno del requisito mancante (ossia nel caso di attività vincolata); diversamente, se la verifica dovesse comportare anche valutazioni di carattere discrezionale, il giudice dovrà annullare l’aggiudicazione e disporre la riedizione della gara (non potendosi sostituire alla stazione appaltante).
Per quanto concerne le modalità processuali, l’impresa, che intenda contestare l’esclusione dalla procedura di gara per mancato ricorso al soccorso istruttorio e invocare validamente in sede processuale lo stesso, deve provare in giudizio che l’istituto avrebbe avuto esito ad essa favorevole, qualora fosse stato attivato dalla stazione appaltante nel corso della gara, possedendo essa il requisito in contestazione. Ciò significa che è a carico del concorrente, nei cui confronti è invocata la sussistenza di una causa di esclusione per carenza dei requisiti di partecipazione, provare che possiede il requisito sostanziale di partecipazione fin dal momento in cui avrebbe dovuto rendere la documentazione di fatto mancante e che, dunque, si è trattato di una mera irregolarità documentale o dichiarativa, in ossequio ai principi generali in materia di riparto dell’onere probatorio ai sensi dell’articolo 2697 cod. civ. e, in particolare, al principio di prossimità o vicinanza della prova (Cons. St., sez. III, sent. n. 348/2019).
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Elezione diretta del Presidente del Consiglio
Il DDL costituzionale mira all’elezione diretta del Presidente del CDM, a rafforzare la stabilità del Governo e ad abolire la nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica
Comunicato stampa n. 57 del 3.11.2023
Con il comunicato stampa n. 57 il Consiglio dei Ministri, ha reso noto che, su proposta del Presidente Giorgia Meloni e del Ministro per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa Maria Elisabetta Alberti Casellati, è stato approvato un disegno di legge costituzionale per l’introduzione dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri e per la razionalizzazione del rapporto di fiducia.
Il Governo informa che la riforma costituzionale oggetto del disegno di legge persegue l’obiettivo di rafforzare la stabilità dei Governi, di valorizzando il ruolo del corpo elettorale nella determinazione dell’indirizzo politico della Nazione, di favorire la coesione degli schieramenti elettorali, nonché di evitare il transfughismo e il trasformismo parlamentare.
Il Governo spiega che il DDL si ispira a “un criterio “minimale” di modifica della Costituzione vigente, in modo da operare in continuità con la tradizione costituzionale e parlamentare italiana e da preservare al massimo grado le prerogative del Presidente della Repubblica, figura chiave dell’unità nazionale”.
Il disegno di legge in breve
Il DDL S. 935 recante “Modifiche agli articoli 59, 88, 92 e 94 della Costituzione per l'elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri, il rafforzamento della stabilità del Governo e l'abolizione della nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica” (sotto allegato), si concentra prevalentemente sui seguenti aspetti:
- introduzione di un meccanismo di elezione diretta e a suffragio universale del Presidente del Consiglio dei ministri, contestuale alle elezioni delle Camere;
- durata quinquennale dell’incarico del Presidente del Consiglio;
- sostituzione del Presidente del Consiglio in carica solo con un parlamentare della maggioranza e solo al fine di proseguire l’attuazione del medesimo programma di Governo;
- introduzione, tramite legge ordinaria, di un sistema elettorale delle Camere che assicuri al partito collegato al Presidente del Consiglio il 55 % dei seggi parlamentari;
- eliminazione della nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica.
Interventi normativi previsti
Il DDL si compone di cinque articoli, ovvero:
- L'articolo 1 che abroga il comma 2 dell'articolo 59 della Costituzione, in tema di nomina a vita dei senatori da parte del Presidente della Repubblica;
- L'articolo 2 che modifica il comma 1 dell'articolo 88 della Costituzione, escludendo la possibilità che si proceda allo scioglimento anche di una sola Camera;
- L'articolo 3 che sostituisce integralmente l'articolo 92 della Costituzione. Nella nuova formulazione non muta la composizione del Governo, ma viene stabilito che Presidente del Consiglio è eletto, contestualmente alle Camere, a suffragio universale e diretto, per la durata di cinque anni, rinviando alla legge la disciplina del sistema elettorale;
- L'articolo 4 che modifica l’art. 94, disponendo che « Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Nel caso in cui non venga approvata la mozione di fiducia al Governo presieduto dal Presidente eletto, il Presidente della Repubblica rinnova l'incarico al Presidente eletto di formare il Governo. Qualora anche in quest'ultimo caso il Governo non ottenga la fiducia delle Camere, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere ».
Inoltre, si aggiunge all'articolo un ulteriore comma, secondo cui «In caso di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio, il Presidente della Repubblica può conferire l'incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al Presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all'indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha ottenuto la fiducia». Qualora il Governo così nominato non ottenga la fiducia delle Camere e negli altri casi di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio subentrante, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere;
- L'articolo 5 che contiene le disposizioni transitorie, prevedendosi, in particolare, che gli attuali senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica, restano in carica.
Il Consiglio dei Ministri del 30 giugno, su proposta del Presidente Mario Draghi e del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili Enrico Giovannini, ha approvato un disegno di legge di delega al Governo in materia di contratti pubblici. Le linee direttrici del nuovo provvedimento approvato dal Consiglio dei Ministri sono semplificazione, legalità, digitalizzazione, sostenibilità. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge (ancora non pubblicata in Gazzetta Ufficiale), il Governo dovrà adottare uno o più decreti legislativi sulla disciplina dei contratti pubblici.
Nel paragrafo relativo alla “Semplificazione in materia di contratti pubblici” del Piano Nazionale di ripresa e resilienza si legge che l’obiettivo è quello della semplificazione delle norme in materia di appalti pubblici e concessioni per l’efficiente realizzazione delle infrastrutture e per il rilancio dell’attività edilizia.
Nel testo si punta ad un più stretto legame tra normativa nazionale e direttive europee, prestando una particolare attenzione alla qualificazione delle stazioni appaltanti. In coerenza con il PNRR e con i principi di sostenibilità economica, sociale e ambientale, le norme da adottare dovranno assicurare efficienza e tempestività nell’affidamento, la gestione e l’esecuzione di contratti e concessioni; tempi certi per le procedure di gara, per la stipula dei contratti e la realizzazione degli appalti, comprese le opere pubbliche che dovranno essere sempre più orientate all’innovazione e alla sostenibilità; il rafforzamento della qualificazione delle stazioni appaltanti.
È prevista la massima semplificazione delle procedure per gli investimenti in tecnologie verdi e digitali e per l’innovazione e la ricerca, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’Onu, così da aumentare il grado di eco-sostenibilità degli investimenti pubblici. Nei bandi di gara ci saranno clausole sociali e ambientali come requisiti necessari o premiali dell’offerta al fine di promuovere la stabilità occupazionale, l’applicazione dei contratti collettivi, le pari opportunità generazionali e di genere.
Per abbreviare i tempi delle gare, sono previste una digitalizzazione e informatizzazione completa delle procedure, la riduzione degli oneri amministrativi ed economici a carico dei partecipanti e strumenti per diminuire il contenzioso sull’affidamento ed esecuzione degli appalti.
Saranno verificati sistemi di qualificazione degli operatori di settore e della loro effettiva capacità di realizzare le opere oggetto di gara, delle competenze tecniche e professionali e del rispetto della legalità, compresi gli aspetti legati alla tutela del lavoro e alla prevenzione e contrasto alle discriminazioni di genere. Attenzione particolare è prevista anche per la verifica delle offerte anomale e per la individuazione dei casi in cui le stazioni appaltanti possano ricorrere al criterio del prezzo più basso d’offerta e all’affidamento congiunto della progettazione e dell’esecuzione dei lavori (cd. appalto integrato). Si propone di estendere e rafforzare i metodi di risoluzione delle controversie alternativi a quello giurisdizionale, per evitare di allungare i tempi di realizzazione delle opere e allo stesso tempo alleggerire i tribunali dai contenziosi.
Infine, una novità importante introdotta dal disegno di legge riguarda la semplificazione e l’estensione delle forme di partenariato pubblico-privato, in particolare riguardo alla finanza di progetto, per attirare investitori professionali.