La scuola per ragazze Rajkumari Ratnavati in India, progettata dalla newyorkese Diana Kellogg travalica le barriere dell’accesso alla conoscenza con un disegno architettonico all’insegna della sostenibilità.
L’edificio si presenta come una grande ellisse in pietra, simbolo di femminilità in molte culture, a cui se ne sovrappone una seconda nelle tipiche forme indo-islamiche dello jali, una decorazione architettonica che consiste nell’intaglio della pietra con motivi geometrici, l’effetto finale è un chiaro-scuro di grande suggestione. Lo jali inoltre ha lo scopo di abbassare la temperatura comprimendo l’aria attraverso i fori. Il cortile interno invece è ribassato rispetto alla quota di calpestio interna all’ellisse per favorire la racconta delle acque ed è stata conservata la preziosa vegetazione che era presente sul luogo. Come sostiene l’architetto le scelte progettuali sono state razionali ed allo stesso tempo mirate rispetto al mantenimento della struttura stessa nel tempo: “Poiché l’edificio è stato costruito per un’organizzazione no-profit è stato fatto ogni sforzo per mirare ad una progettazione quanto più economica possibile”.
L’edificio le cui tonalità ben si sposano con il contesto desertico circostante, nonostante la sua mole, sarà parte di un complesso il Gyaan Centre. Si prevede la realizzazione in uno spazio espositivo, uno spazio per rappresentazioni ed eventi, un museo tessile e la sede di una cooperativa femminile per l’apprendimento di mestieri artigianali. Gli ambienti sono realizzati con soffitti alti così da garantire temperature meno elevate e finestrature tali da diffondere la luce solare proveniente da Sud, anche gli spazi scoperti del tetto saranno fruibili e le lezioni potranno tenersi all’aperto. Il materiale principe per la realizzazione dell’intero edificio è stata una pietra locale del Jaisalmer, un’arenaria, mentre per le finestre è stata impiegata la pietra Jodhpur che meglio si prestava ad esigenze strutturali.
Dal punto di vista della sostenibilità non meno importante è la presenza dei pannelli solari che a detta dell’architetto è stata una vera e propria sfida: “Genus Innovation, un’azienda con sede a Jaipur, è salita a bordo e si è offerta di costruire il mio sogno. Li abbiamo installati come un baldacchino sul tetto, l’armatura metallica funziona come una specie di jungle gym vecchio stile con altalene, dondoli e manubri”.
Per le lavorazioni interne l’architetto Diana Kellogg ha sempre cercato di tenersi vicina alla cultura del luogo non solo impiegano elementi tipici come il charpai per le panche, un letto in corda indiano, ma ha anche integrato la forza lavoro locale. Le stesse uniformi disegnate da Sabyasachi saranno realizzate da tessitori locali.
Sono stati messi a disposizione 35.600 metri quadrati da Manvendra Singh Shekhawat, imprenditore locale, il quale è entrato in prima persona a far parte dell’organizzazione internazionale promotrice del progetto: “CITTA”, il cui direttore esecutivo e fondatore è Michael Daube. L’organizzazione con sede a New York si occupa di sostenere lo sviluppo di comunità che si trovano in una grave situazione economica, favorendo l’accesso ai servizi sanitari ed educativi. La scuola di Jaisalmer ospiterà infatti circa 400 ragazze sin dall’età infantile.
Il tasso di alfabetizzazione femminile in questo territorio fatto di piccoli villaggi sparsi è solo del 36% sul totale della popolazione, questo progetto si pone dunque come baluardo per l’emancipazione femminile, offrendo una possibilità di riscatto, e dimostra come l’architettura non sempre sia al servizio dell’ego dei progettisti ma si ponga a servizio della società.
La città sta lavorando per riqualificare il waterfront e risolvere il problema dell’innalzamento del livello dei mari
In arrivo in Puglia un progetto unico nel suo genere per il nostro Paese: Mola di Bari, piccolo comune alle porte del capoluogo pugliese, si appresta infatti ad accogliere un piccolo insediamento di case galleggianti.
Il progetto, sviluppato dallo studio olandese Waterstudio, specialista mondiale nel settore delle strutture galleggianti, è realizzato in partenariato con il Dipartimento Dicar del Politecnico di Bari e Arpa Puglia Centro Mare, che si sono attivati dietro spinta dell’amministrazione comunale.
L’obiettivo è quello di rendere più attrattiva una parte di città di confine ma fortemente identitaria. Per questo il mare, da sempre una delle risorse più importanti della Puglia, può diventare una risposta alle nuove esigenze abitative della città che si evolve. L’urbanizzazione dei porti con case galleggianti è un fenomeno che accade da decenni ad Amsterdam e ad Amburgo. Da anni in quelle zone nuovi quartieri residenziali e terziari sorgono lungo vecchi moli riconvertiti. A Bari, città in grande espansione urbanistica e con innovazioni uniche al mondo, si può iniziare adesso. Valorizzando le vocazioni marinare ed esaltandole con modelli abitativi sostenibili e all’avanguardia. E quello di Mola può essere lo spunto giusto per un grande passo avanti.
L’insediamento, attualmente definito solo nelle sue linee generali, si colloca nella grande ansa costiera a sud del porto turistico. L’esperienza di Waterstudio lascia presagire la realizzazione di una piccola serie di edifici multilivello collegati fra loro da moli. Il progetto prende ispirazione dagli interventi sviluppati dallo studio olandese che negli anni si è infatti specializzato nella progettazione e realizzazione di edifici galleggianti, seguendo la ricerca di un’architettura più sostenibile e resiliente.
Queste le parole di Vito Bruno, direttore generale di Arpa Puglia, a seguito della presentazione del progetto di riqualificazione: “Prosegue e si consolida il percorso di crescita tecnico scientifica del Centro Regionale Mare che ospita questo importante convegno su un tema che vede il mare e l’architettura protagonisti di una visione unitaria e sinergica funzionale a coniugare le nuove esigenze abitative con il rispetto dell’ambiente e lo sviluppo urbanistico delle città.” E ancora: “Arpa Puglia ringrazia il Politecnico e il Comune di Mola, nonché gli architetti della Waterstudio di Delft, perché crede in una visione nuova della tutela ambientale, e della opportunità di dialogare con gli specialisti di altre discipline e con il mondo della ricerca”.
L’effettiva realizzazione dell'intervento di Mola di Bari potrebbe portare in Puglia, forse per la prima volta, un progetto dal sapore internazionale e di importanza europea. Potrebbe proporre anche una declinazione più mediterranea di un tema progettuale non nuovo ma ampiamente sviluppato anche in epoca contemporanea.
Una cerniera tra porto e città storica
Dopo decenni di storia incentrata sull’acciaieria, Taranto riparte da un nuovo waterfront, primo passo per la rinascita della città.
L’intervento, frutto di un accordo siglato tra il Comune di Taranto e l'Autorità Portuale del Mar Ionio - Porto di Taranto, che prevede la condivisione dei percorsi progettuali e operativi, punta al dialogo fra l’infrastruttura e la città storica.
Da questo è nata la volontà di candidare congiuntamente un progetto a un bando del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) per il finanziamento di progetti strategici tra i quali figura il “Recupero waterfront”.
Il progetto candidato dal Comune e dall’Authority è stato curato dalla società di architettura e ingegneria MAS - Modern Apulia Style di Taranto e ha visto il coinvolgimento di numerosi professionisti tra cui lo studio Peluffo & Partners, da anni impegnato nella ricerca sul territorio tarantino e in particolare sul rapporto tra città e mare.
Come afferma Giuseppe Fanelli, Amministratore unico di MAS: “Taranto è tra le più belle città del mondo, unica nella sua conformazione geografica che la vede incastonata tra due specchi d’acqua. Siamo stati davvero onorati di lavorare sul corpo della nostra città, lo abbiamo fatto con delicatezza, sfiorandola con rispetto. MAS ha voluto coinvolgere altri professionisti tra cui lo studio Peluffo & Partners che ormai da anni fa ricerca insieme a noi sul territorio tarantino ed in particolare sul rapporto tra città e mare, tra Taranto e Mediterraneo”.
“Immagino Taranto – racconta Francesco Lasigna, Direttore tecnico di MAS e team leader di progetto – una città creativa lungo i margini d’acqua. L’auspicio è che la Taranto contemporanea, attraverso la qualità progettuale, non tenda più all’espansione territoriale incontrollata, ma alla rigenerazione delle aree marginali, specialmente quelle ricche di risorse e potenzialità come i waterfront che sono proprio quegli spazi che trasferiscono alla città la possibilità di un continuo cambiamento e miglioramento dell’intero tessuto urbano”.
L’intervento è stato articolato in diversi ambiti: realizzazione del nuovo varco Est; interventi di difesa costiera e percorsi pedonali nella darsena adiacente alla Calata 1 del Porto di Taranto; interventi di difesa costiera e percorsi pedonali nelle aree demaniali antistanti le mura della Città Vecchia; waterfront del Lungomare Giardini – Pontile Rota.
Il progetto Waterfront Porto-Città rappresenta uno strumento di rivitalizzazione del centro storico e di valorizzazione del patrimonio architettonico, archeologico, culturale, ambientale e naturalistico della città.
Si parte dalla zona di Porta Napoli, sede oggi di un terminal bus, dove nascerà un nuovo parco che degradando verso il mare formerà un anfiteatro che consentirà di ammirare la città da un nuovo punto di vista. Seguirà poi una passeggiata verso il Ponte di Pietra e poi sul Molo Sant'Eligio, fino a raggiungere la nuova passerella sul mare al di sotto delle mura aragonesi della città vecchia, realizzata su pali con tecnologie reversibili e distaccate dal bene monumentale che si aprirà in ampi piazzali per creare nuovi spazi per il tempo libero la cultura e i servizi per cittadini e turisti. In vari punti saranno collocati degli ascensori per consentire l’accesso ai diversamente abili ed anche per servire le uscite dagli ipogei e collegare l’infrastruttura ai luoghi storici ed archeologici della città.
La passeggiata culminerà nei pressi del Castello aragonese dove si ricercherà un collegamento con i suoi giardini e dove a livello del mare sarà creato un prolungamento di Piazza Castello.
Inoltre, in vista dei Giochi del Mediterraneo del 2026 e della prossima Biennale del Mediterraneo, il progetto potrà essere funzionale ai grandi eventi, divenendo approdo per le imbarcazioni per le gare, e luogo di esposizioni artistiche a cielo aperto.
Un nastro di cemento che esprime morbidezza organica
Con il suo ultimo progetto intitolato Twine, spago in inglese, l’architetto messicano Antony Gibbon continua ad indagare sul tema della connessione tra nature e nurture – la dicotomia tra le qualità innate dell’individuo e i fattori esterni dati dall’esperienza e l’apprendimento della persona, cercando di fondere i due temi l’uno nell’altro.
La geometria del suo ultimo lavoro imita le forme della natura, suggerendo al contempo morbidezza e senso di fluido quasi organico. Twine dialoga con il paesaggio circostante: le torsioni della struttura monolitica in cemento replicano le onde collinari integrandosi nel contesto. L’accesso alla costruzione avviene attraverso una piattaforma pavimentata che si contrappone al paesaggio naturale. La superficie introduce una serie ritmica di cornici che si aprono recando al loro interno una delicata, quasi impercettibile parete di vetro che serve a preservare il profilo ondulato distintivo dell'architettura e a inondare di luce naturale gli spazi interni.
Secondo l'architetto, Twine è un progetto che mette in atto," una serie di forme organiche […] si contorce e si snoda insieme per formare una serie di archi che ospitano gli spazi interni". Infatti, al fine di generare uno spazio residenziale, Antony Gibbon divide la costruzione in 2 entità. Le aree soggiorno e cucina sono integrate nella prima rotazione, dove la struttura incontra il suolo e forma un'unità chiusa. La seconda parte ospiterà le camere da letto. Il design simile al DNA genera in alcune aree una planarità nel tetto. Alle estremità, il piano orizzontale contiene i pannelli solari e, al centro della struttura, il tetto piano ospita una vasca idromassaggio, accessibile solo da una scala a chiocciola.
L’effetto scultoreo dell’edificio crea panorami inaspettati: lo scenario esterno è incorniciato da ondulazioni di cemento e, in questo contesto, sembra che il paesaggio naturale faccia solo da cornice alla singolare abitazione per essere solamente musa ispiratrice delle forme organiche dell’intera scultura. Gibbon immagina un’ampia pavimentazione che separa il costruito dal naturale. Unica area esterna attrezzata è il grande focolare dalle forme circolari posto sotto l’incavo centrale della costruzione.
Il progetto attualmente è solo un prototipo, ma il lavoro di Gibbon è una continua sperimentazione formale della materia. Famosa è la sua Mobius House, dove sperimenta la striscia di Mobius costituita da una superficie matematica non orientabile costituita da un solo lato.
Il progetto, situato in una delle zone di Italia con la maggior produzione del vino, Bolgheri, ha puntato alla costruzione di una nuova cantina ed alla riqualificazione di un capannone esistente per farne il nuovo centro aziendale per la Tenuta di Guado al Tasso di proprietà della famiglia Antinori. Il progetto nell’Alta Maremma della DOC di Bolgheri (Castagneto Carducci, Livorno) porta la firma di asv3-officina di architettura. La tenuta si estende su una superficie di 1.000 ettari di cui 320 coltivati a vigne. Da qui provengono le uve che vengono lavorate nella nuova cantina, voluta in affiancamento di quella storica. L’idea è di dare maggiore spazio alla produzione di Bruciato, Vermentino, Scalabrone e Cont’Ugo, lasciando invece alla vecchia Guado al Tasso e Matarocchio.
L’intervento si estende all’interno della ragguardevole superficie di 6.000 mq, completato con un investimento di 12 milioni di euro al termine di un processo avviato nel 2016.
Il sito, a solo un chilometro dal mare, ha un orografia pianeggiante e il progetto, viste le grandi dimensioni e l’esigenza di costruire fuori terra, si è dovuto da subito confrontare con il paesaggio e l’integrazione con esso. La progettazione di dune ricche di vegetazione mediterranea, elemento tipico del territorio, mitigano l’impatto visivo dell’intervento.
La nuova cantina è stata costruita accanto a una preesistenza. Il progetto sfrutta questa caratteristica, e trasforma i locali di servizio alla produzione con la mensa per i dipendenti, realizzando un edificio rettangolare parzialmente interrato. Una scelta che in parte mitiga la presenza nel connotato paesaggio collinare vitivinicolo. Ma che serve anche per dare ai processi di vinificazione e conservazione del vino ambienti che, limitati nello scavo da una falda acquifera troppo alta, siano il più possibile idonei ed energeticamente efficienti.
All’interno, la distribuzione delle superfici dei locali sono interamente funzionali alle fasi del processo di vinificazione,le altezze dei locali dipendono, quindi, dal contenuto dei diversi locali. I maggiori metri quadrati sono occupati dall’area di fermentazione; le alte vasche richiedono maggiori altezze chiuse da una copertura a shed. Questa serve per portare all’interno la luce necessaria, e dalla buia barricaia, che, collegate dalla più ridotta area dell’imbottigliamento, circondano l’unico spazio aperto, il piazzale in cui le uve vengono ricevute e sottoposte al primo trattamento.
Il volume della cantina, riprendendo le tematiche industriali di serialità, è pensato come un oggetto modulare a shed lungo l’asse longitudinale con un passo di 5 m a campata che trova in facciata una forte articolazione attraverso un rivestimento sfaccettato, una “corazza” in lamiera forata. L’involucro è costituito dalla successione di elementi modulari tridimensionali in lamiere microforate in zinco titanio tutti diversi. Questi circondano e proteggono il volume interno, sulle cui pareti, caratterizzate da pacchetti ad alta inerzia termica, si alternano parti aperte, la cui trasparenza è data da infissi in policarbonato, e parti chiuse. Le scelte per l’involucro esterno da una parte diventano elemento di definizione di un’architettura che deve integrarsi con un paesaggio in cui la Cantina si appoggia come fosse un grande masso; dall’altra impostano uno schermo che crea ombra e permette la circolazione dell’aria e la dissipazione del calore. In questo modo è possibile raffreddare passivamente un edificio. Necessità fondamentale durante la vendemmia e costantemente nella barricaia. Mantenere correttamente le temperature può impattare non poco sui costi di gestione.
La nuova Cantina del Bruciato di Bolgheri nasce per essere un luogo di produzione del vino non aperto al pubblico.