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L'OMICIDIO STRADALE ALLA LUCE DELLA LEGGE N. 41 del 2016 E LE PENE PREVISTE

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Con la legge n. 41 del 2016 l’omicidio stradale è diventato un reato autonomo rispetto all’omicidio colposo, con pene più severe e diverse circostanze aggravanti in caso di guida in stato di ebbrezza per abuso di alcool e droghe. L’omicidio stradale viene trattato diversamente rispetto alle altre tipologie di omicidio e ciò in ragione del gran numero di incidenti mortali che si verificano nel nostro Paese. Alla legge n. 41/2016 si è giunti dopo anni di accese proteste da parte dei familiari delle vittime della strada e tale legge aggiunge al Codice Penale l’articolo 589 bis, che disciplina, appunto, l’omicidio stradale.

La novità principale consiste nella previsione di una pena molto alta, vale a dire da 8 a 12 anni, per chi causa un omicidio al volante “per colpa”, trovandosi in stato di grave ebbrezza (più di 1,5 g di alcol per litro di sangue) o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.

La stessa pena si applica anche a chi ha un tasso alcolemico compreso tra 0,8 g/L e 1,5 g/L, nel caso in cui il conducente sia un neo-patentato o eserciti professionalmente l’attività di trasporto di persone o di cose su mezzi pesanti.

Inoltre, è prevista una pena che va da 5 a 10 anni se il tasso alcolico del guidatore è compreso tra 0,8 g/L e 1,5 g/L e l’omicidio è derivato da condotte pericolose, quali eccesso di velocità, guida contromano, passaggio col rosso agli incroci, inversione di marcia su intersezioni, curve e dossi.

La pena è, invece, della reclusione da 2 a 7 anni se l’ebbrezza è lieve, ossia compresa tra 0,5 g/L e 0,8 g/L, oppure perché è inferiore all’1,5 g/L, ma non ricorrono le altre condizioni esposte sopra.

Infine, la pena aumenta fino a un massimo di 18 anni di carcere nel caso di morte di più persone ed è diminuita della metà quando l'omicidio stradale, sebbene causato da condotte imprudenti, non sia conseguenza soltanto dell’azione del colpevole.

La normativa sull’omicidio stradale è oggetto di aspre critiche da parte degli esperti a causa della sua eccessiva rigidità, che pare voglia ostacolare il dovere del giudice di verificare in concreto se ci sia stata colpa, quanto grave quest’ultima sia stata e se tra la colpa e l’evento vi sia un nesso di causa/effetto.

Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, al principio costituzionale di colpevolezza e anche al testo dell’art. 589 bis che parla in maniera esplicita di “colpa”, per punire il guidatore occorre infatti che sussista un nesso di causa/effetto fra la condotta sanzionata (la guida in stato di ebbrezza) e la morte della vittima.

La sentenza n. 24898 del 2007 della Cassazione penale dice che questo nesso non può darsi per scontato solo per il fatto che il conducente era ubriaco o drogato, se viene dimostrato che l’incidente si sarebbe verificato lo stesso per altri motivi che non si possono imputare soltanto al guidatore.

In concreto non è semplice stabilire il nesso di causalità fra lo stato di alterazione e la morte della vittima. Si pensi, ad esempio, al caso di un conducente che ha assunto droga 48 ore prima dell’incidente: in quell’istante non è più in stato di alterazione e quindi non dovrebbe rispondere di omicidio stradale. Nonostante ciò, con i test che rivelano la presenza di sostanze stupefacenti nel sangue, rischierebbe lo stesso di essere accusato, poiché probabilmente risulterebbe positivo.

Nelle ipotesi di omicidio stradale è previsto l’arresto in flagranza di reato, sebbene solo in determinati casi. In particolare, l’arresto in flagranza è obbligatorio soltanto nell’ipotesi di guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l, in tutti gli altri casi, invece, è facoltativo e rimesso alla volontà delle Forze dell’ordine.

La legge n. 41 del 2016 ha introdotto pure l’articolo 590-bis del Codice penale, che disciplina il reato di lesioni stradali: rischia la reclusione da tre mesi a un anno chi provoca alla vittima lesioni gravi (prognosi di almeno 40 giorni) e da uno a tre anni per le lesioni gravissime (che provocano una malattia insanabile). Anche nel caso di lesioni stradali, le pene sono aumentate per chi circola sotto effetto di droghe o alcol o commette alcune violazioni alla disciplina della circolazione stradale particolarmente gravi.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Revoca arresti domiciliari per trasgressione non lieve

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Accertamento della violazione degli arresti domiciliari di non lieve entità in base alle circostanze del caso concreto

Aggravamento degli arresti domiciliari Nel caso in esame, il Tribunale del riesame di Milano aveva confermato l’ordinanza della Corte di appello con cui veniva disposto l’aggravamento della misura degli arresti domiciliari nei confronti del destinatario della stessa, con conseguente ripristino della custodia in carcere, posto che il condannato si era reso responsabile della condotta di evasione rispetto agli arresti domiciliari. In particolare, l’odierno ricorrente era stato sorpreso nella pubblica via, dopo che si era incontrato con altra persona che deteneva sostanze stupefacenti. Dopo essere stato sorpreso dalle forze dell’ordine, il ricorrente si era poi dato alla fuga e, dopo un breve inseguimento, veniva fermato dalle stesse. Avverso la decisione di aggravamento della misura disposta dal Tribunale, il ricorrente aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.

Valorizzazione delle circostanze della violazione La Corte di Cassazione, con sentenza n. 8630/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tra i motivi di ricorso, il ricorrente ha lamentato mancanza di motivazione e violazione di legge della decisione adotta dalla Corte d’appello (confermata poi dal Tribunale del riesame) nella parte in cui, nel disporre l’aggravamento della misura a carico del ricorrente, il Giudice aveva erroneamente ritenuto che allo stesso fosse stato contestato il reato di cui all’art.73 D.P.R. 309/90, mentre, ha evidenziato il ricorrente, tale fattispecie delittuosa, come emerge dalla narrativa dei fatti, poteva al più ipotizzarsi a carico del soggetto con cui il ricorrente si era incontrato. La Corte ha dichiarato tale motivo manifestamente infondato, evidenziando che “il Tribunale del riesame ha correttamente dato atto che al ricorrente non è stato contestato il reato di cui all’art. 73, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ma solo quello di cui all’art. 385 cod. pen., ritenendo che ciò non infici la decisione di disporre l’aggravamento della misura cautelare”. Sul punto la Corte ha messo in evidenza che l’ordinanza aveva valorizzato un altro aspetto, ovvero il fatto che il ricorrente, non solo aveva violato la misura degli arresti domiciliari, ma era stato anche “sorpreso nell’attendere un soggetto, con il quale si incontrava fugacemente, risultato dedito allo spaccio di stupefacenti, ritenendo tale circostanza ulteriormente dimostrativa dell’insensibilità del ricorrente al rispetto delle prescrizioni insite nella misura cautelare cui era sottoposto”. In relazione a tale situazione, la Corte, poste le circostanze complessivamente accertate, ha rilevato come il Tribunale avesse correttamente escluso che la violazione potesse considerarsi lieve. Rispetto alle stesse, non è stata ritenuta attendibile la tesi sostenuta dalla difesa secondo cui il ricorrente, al momento in cui era stato fermato dalle forze dell’ordine, stava facendo ritorno presso la propria abitazione dopo essersi recato dagli assistenti sociali dai quali era stato autorizzato ad andare. Tale tesi, spiega la Corte, non è stata accolta dal Tribunale dal momento che l’incontro in questione era avvenuto durante un orario incompatibile con quello in cui veniva constata la presenza del ricorrente al di fuori della propria abitazione. A tale elemento, la Corte ha rilevato come debba sommarsi anche il fatto che il ricorrente si era incontrato con un soggetto dedito allo spaccio di stupefacenti, configurando così una circostanza che contribuisce ad escludere, ai fini dell’aggravamento della misura, la lievità del fatto.

Sulla scorta di quanto sopra la Corte ha dunque rigettato il ricorso e ha affermato, per quanto qui rileva, che in tema di misure cautelari personali, la trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, ove non ritenute di lieve entità, determina la revoca obbligatoria di tale misura ex art. 276, comma 1-ter, cod. proc. pen., seguita dal ripristino della custodia in carcere, non dovendo il giudice previamente valutare l’idoneità degli arresti domiciliari con modalità elettroniche di controllo.


COME VIENE CALCOLATA LA PENA NEL PATTEGGIAMENTO

Il patteggiamento, altrimenti detto applicazione della pena su richiesta delle parti, è un procedimento speciale, alternativo al rito ordinario, che trova la sua disciplina negli artt. 444 e ss del codice di procedura penale e consistente in un accordo tra l’imputato e il Pubblico Ministero circa l’entità della pena da irrogare. La ratio legis del procedimento è snellire la durata del processo, del quale consente una conclusione anticipata in forza dell’accordo tra P.M. e imputato, il quale volontariamente si assoggetta alla sanzione penale, evitando la fase dibattimentale. Con la richiesta di patteggiamento, l’imputato, piuttosto che dichiarare la sua responsabilità per i reati contestati, rinuncia implicitamente a far valere le eventuali prove a discarico e le altre difese che sarebbero incompatibili con l’accettazione della sanzione patteggiata.

Il patteggiamento è esperibile per una serie di reati identificati mediante il riferimento alla sanzione in concreto applicabile: vi rientrano i delitti e le contravvenzioni punibili con una pena pecuniaria, oppure con una delle sanzioni sostitutive previste dalla legge n. 689 del 1981, o ancora con una pena detentiva non superiore a cinque anni. La pena pecuniaria può essere applicata congiuntamente alla pena detentiva, che, a sua volta, va determinata non soltanto computando le eventuali circostanze previste dalla legge penale, ma anche tenendo conto della diminuzione di pena prevista dalla legge processuale come incentivo all’imputato per la scelta del rito speciale. Il patteggiamento non trova invece applicazione per i reati previsti specificatamente al comma 1 bis dell'art. 444 c.p.p., quali criminalità organizzata, terrorismo, delitti di prostituzione minorile, pornografia minorile e violenza sessuale di gruppo, e per quelli relativi a soggetti recidivi ex art. 99 comma 4 c.p., o dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza.

Ma veniamo adesso al calcolo della pena in questo procedimento speciale. Per calcolare la pena nel patteggiamento è necessario analizzare alcuni punti fondamentali. Innanzitutto occorre considerare le circostanze aggravanti ed attenuanti: in caso di concorrenza di più circostanze, si opera il primo aumento o diminuzione sulla pena base e, sul risultato così ottenuto, si effettuano i successivi calcoli. Questo calcolo, che viene effettuato sulla base delle circostanze, costituisce la base per la riduzione di pena fino a 1/3 prevista in caso di patteggiamento dall’art. 444 c. 1 c.p.p.: in particolare, la norma stabilisce che le parti “possono chiedere al giudice l’applicazione di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria”. Volendo spiegare il tutto con un esempio, se Sempronio è imputato del reato di stalking, ai sensi dell’art. 612 bis c.p. e ha risarcito il danno alla persona offesa Tizia, la pena finale, pari a mesi 3 di reclusione e subordinata alla concessione della sospensione condizionale della pena e della non menzione nel casellario giudiziale, sarà formulata nel seguente modo: • pena base: mesi 6 di reclusione; • ridotta di 1/3 a mesi 4 di reclusione per l’attenuante del risarcimento del danno di cui all’art. 62 n. 6 c.p.; • ridotta di 1/3 a mesi 3 di reclusione per la diminuente del rito.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'