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CONCORDATO IN APPELLO: COS’È?

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Il concordato in appello trova la sua disciplina nell’art. 599 bis c.p.p., il quale, al primo comma, stabilisce che “La corte provvede in camera di consiglio anche quando le parti, nelle forme previste dall'articolo 589, ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiesto l'accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l'imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d'accordo”. Trattasi di una sorta di patteggiamento attraverso cui le parti processuali evitano gran parte delle lungaggini del giudizio d'appello, nel caso in cui le stesse concordino sull'accoglimento di alcuni o di tutti i motivi d'appello. Qualora il giudice non accolga la richiesta, ordina la citazione a comparire a dibattimento: in tal caso, sebbene la rinuncia e la richiesta non abbiano alcun effetto, possono essere riproposte in dibattimento. Ciò è confermato dall’art. 602 c. 1 bis c.p.p., secondo cui “Se le parti richiedono concordemente l’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello a norma dell’articolo 599 bis, il giudice, quando ritiene che la richiesta deve essere accolta, provvede immediatamente; altrimenti dispone la prosecuzione del dibattimento. La richiesta e la rinuncia ai motivi non hanno effetto se il giudice decide in modo difforme dall’accordo”. Il concordato in appello differisce dal rito speciale del patteggiamento previsto dagli artt. 444 e ss. c.p.p., in quanto non si applica la diminuente fino a 1/3, né sussiste il limite di 5 anni di pena detentiva, soli o congiunti a pena pecuniaria. Tuttavia, in entrambi i casi figurano preclusioni oggettive e soggettive: difatti, anche dall’applicazione del concordato in appello sono esclusi i procedimenti per delitti di cui all’art. 51 c. 3 bis e quater c.p.p., 600 bis, 600 ter c. 1, 2, 3, 5, 600 quater, c. 2, 600 quater.1, 600 quinquies, 609 bis, 609 ter, 609 quater e 609 octies c.p., nonché i procedimenti contro coloro i quali siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza. “In tema di concordato con rinunzia agli altri motivi di appello, ai sensi dell'art. 599-bis, cod. proc. pen., l'accordo delle parti non implica rinuncia alla prescrizione che, ai sensi dell'art.157, comma 7, cod. proc. pen., deve avere forma espressa; ne consegue che, qualora il giudice di appello non rilevi l'intervenuta prescrizione del reato, detto errore può essere dedotto mediante ricorso per cassazione” (Cass. Pen., sent. n. 51169/2018).

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Ammesso il cd patteggiamento allargato

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La Cassazione ha affermato che, in tema di patteggiamento, rientra nel potere negoziale delle parti anche l’esclusione delle pene accessorie obbligatorie

L’accordo sull’applicazione delle pene (anche accessoria) Nel caso di specie, il Gip presso il Tribunale di Mantova aveva applicato, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., all’imputato la pena da quest’ultimo concordata con il pubblico ministero per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale, causazione dolosa del fallimento, bancarotta semplice patrimoniale e ricorso abusivo al credito. Avverso tale decisione, il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Brescia aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, contestando, in particolare, il fatto che il Gip avesse illegittimamente ritenuto di non applicare all’imputato le pene accessorie previste in materia fallimentare, nonostante l’irrogazione delle stesse sia obbligatoria.

Ammissibilità del patteggiamento cd “allargato” La Corte di Cassazione, con sentenza n. 21177/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto in quanto proposto fuori dai casi previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p.

Sul punto, la Suprema Corte ha anzitutto ripercorso il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, soffermandosi in particolare sull’esame delle novità introdotte dall’art. 25, comma 1, lett. a), n. 1) d.lgs. n. 150/2022, che, modificando il primo comma dell’art. 444 c.p.p., ha previsto la facoltà per l’imputato e il p.m. di chiedere al giudice la non applicazione delle pene accessorie.

Ciò posto, la Corte ha evidenziato che, dalla ratio della norma, nonché da quanto indicato nella relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo, la finalità perseguita dalla novella è sicuramente quella d’incentivare l’accesso al rito alternativo, consentendo alle parti di far rientrare nell’accordo ex art. 444 c.p.p. anche le pene accessorie, dando così luogo alla “piena negoziabilità del trattamento sanzionatorio penale nel suo complesso considerato”. La Corte precisa, tuttavia, che la suddetta norma non impone alle parti di estendere l’accordo anche alle pene accessorie, ma li attribuisce la relativa facoltà, con la conseguenza che, se le parti nulla hanno previsto al riguardo, il giudice è tenuto ad applicare le pene accessorie obbligatorie. Sulla base del suddetto quadro normativo, ed in particolate delle novità normative introdotte all’art. 444 c.p.p., appare necessario stabilire se l’ampliamente del potere negoziale delle parti riguarda tutte le pene accessorie, ovvero solo quelle la cui applicazione è rimessa alla decisione del giudice (e quindi solo quelle non obbligatorie per legge).

La non immediata intelligibilità della questione sopra posta, viene dissolta, ha precisato la Corte, dalla lettura del primo comma, secondo periodo dell’art. 444 c.p.p., ove la facoltà di negoziare le pene accessorie con effetto vincolante per il giudice è espressamente limitata alle ipotesi di confisca facoltativa. Ne consegue, ha rilevato il Giudice di legittimità, che la “mancata espressa limitazione in senso analogo dell’accordo sulle pene accessorie rivela l’intenzione del legislatore di consentire alle parti di accordarsi di escludere anche quelle che devono essere altrimenti disposte obbligatoriamente”. Sulla scorta di quanto sopra riferito, la Suprema Corte ha concluso il proprio esame riferendo che, nel caso di specie, l’imputato ed il p.m. avevano espressamente chiesto al giudice di non dare applicazione alle pene accessorie aventi natura obbligatoria in materia fallimentare, avvalendosi in questo senso della facoltà loro attribuita dall’art. 444 c.p.p., con la conseguenza che il ricorso proposto, per quanto qui rileva, non è stato ritenuto ammissibile.


COME VIENE CALCOLATA LA PENA NEL PATTEGGIAMENTO

Il patteggiamento, altrimenti detto applicazione della pena su richiesta delle parti, è un procedimento speciale, alternativo al rito ordinario, che trova la sua disciplina negli artt. 444 e ss del codice di procedura penale e consistente in un accordo tra l’imputato e il Pubblico Ministero circa l’entità della pena da irrogare. La ratio legis del procedimento è snellire la durata del processo, del quale consente una conclusione anticipata in forza dell’accordo tra P.M. e imputato, il quale volontariamente si assoggetta alla sanzione penale, evitando la fase dibattimentale. Con la richiesta di patteggiamento, l’imputato, piuttosto che dichiarare la sua responsabilità per i reati contestati, rinuncia implicitamente a far valere le eventuali prove a discarico e le altre difese che sarebbero incompatibili con l’accettazione della sanzione patteggiata.

Il patteggiamento è esperibile per una serie di reati identificati mediante il riferimento alla sanzione in concreto applicabile: vi rientrano i delitti e le contravvenzioni punibili con una pena pecuniaria, oppure con una delle sanzioni sostitutive previste dalla legge n. 689 del 1981, o ancora con una pena detentiva non superiore a cinque anni. La pena pecuniaria può essere applicata congiuntamente alla pena detentiva, che, a sua volta, va determinata non soltanto computando le eventuali circostanze previste dalla legge penale, ma anche tenendo conto della diminuzione di pena prevista dalla legge processuale come incentivo all’imputato per la scelta del rito speciale. Il patteggiamento non trova invece applicazione per i reati previsti specificatamente al comma 1 bis dell'art. 444 c.p.p., quali criminalità organizzata, terrorismo, delitti di prostituzione minorile, pornografia minorile e violenza sessuale di gruppo, e per quelli relativi a soggetti recidivi ex art. 99 comma 4 c.p., o dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza.

Ma veniamo adesso al calcolo della pena in questo procedimento speciale. Per calcolare la pena nel patteggiamento è necessario analizzare alcuni punti fondamentali. Innanzitutto occorre considerare le circostanze aggravanti ed attenuanti: in caso di concorrenza di più circostanze, si opera il primo aumento o diminuzione sulla pena base e, sul risultato così ottenuto, si effettuano i successivi calcoli. Questo calcolo, che viene effettuato sulla base delle circostanze, costituisce la base per la riduzione di pena fino a 1/3 prevista in caso di patteggiamento dall’art. 444 c. 1 c.p.p.: in particolare, la norma stabilisce che le parti “possono chiedere al giudice l’applicazione di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria”. Volendo spiegare il tutto con un esempio, se Sempronio è imputato del reato di stalking, ai sensi dell’art. 612 bis c.p. e ha risarcito il danno alla persona offesa Tizia, la pena finale, pari a mesi 3 di reclusione e subordinata alla concessione della sospensione condizionale della pena e della non menzione nel casellario giudiziale, sarà formulata nel seguente modo: • pena base: mesi 6 di reclusione; • ridotta di 1/3 a mesi 4 di reclusione per l’attenuante del risarcimento del danno di cui all’art. 62 n. 6 c.p.; • ridotta di 1/3 a mesi 3 di reclusione per la diminuente del rito.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'