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La Cassazione si esprime in tema di revocatoria fallimentare

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Cass. Civ. sez. VI, 11/02/2022, (ud. 11/01/2022, dep. 11/02/2022), n. 4503

Tizio si rivolgeva alla Corte di Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello, che aveva confermato quella di primo grado di accoglimento della revocatoria fallimentare di un pagamento percepito dal ricorrente nell’anno anteriore al fallimento della ditta individuale Alfa, dichiarato con sentenza del Tribunale. Davanti alla Suprema Corte, Tizio lamentava la violazione della L. Fall., art. 67, per omessa o errata valutazione dell’elemento soggettivo dell’azione, nonché per omessa o errata applicazione in proposito degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. I giudici di piazza Cavour davano torto a Tizio affermando che “Nella revocatoria fallimentare la conoscenza dello stato d’insolvenza dell’imprenditore da parte del terzo contraente deve sì essere effettiva (e non meramente potenziale), ma può in ogni caso esser provata dal curatore tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, ex artt. 2727 e 2729 c.c., desumibili anche dall’esistenza di protesti cambiari, in forza del loro carattere di anomalia rispetto al normale adempimento dei debiti d’impresa”. Secondo gli Ermellini, nella vicenda esaminata, i giudici del gravame avevano rettamente desunto la scientia decoctionis da elementi di prova altamente sintomatici, rappresentati: • dal previo rilascio di una cambiale da parte del fallito a parziale copertura del saldo dovuto per opere di termoidraulica – cambiale non onorata e seguita da un processo esecutivo instaurato dal medesimo creditore; • dall’esistenza sin dall’anno 2009 di numerosi protesti a carico del fallito stesso. Pertanto, il Tribunale dichiarava il ricorso inammissibile.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Lavoro eccedente la tollerabilità e onere della prova

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La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6008/2023, si è pronunciata in tema di superlavoro. Tizio conveniva in giudizio l’azienda datrice per domandare la condanna al risarcimento del danno biologico conseguente all'infarto del miocardio subito a causa del sottodimensionamento dell'organico che l'aveva costretto per diversi anni a pesanti ritmi e turni di lavoro. Il giudice di prime cure respingeva la domanda dell’attore, escludendo la responsabilità dell'azienda convenuta ai sensi dell'art. 2087 c.c., dal momento che la stessa non aveva il potere di aumentare l'organico e di assumere altri dipendenti. I giudici del gravame respingevano l’appello. A questo punto, la vicenda approdava in Cassazione, la quale dava ragione a Tizio. Gli Ermellini specificavano che “Il lavoratore a cui sia stato richiesto un lavoro eccedente la tollerabilità, per eccessiva durata o per eccessiva onerosità dei ritmi, lamenta un inesatto adempimento altrui rispetto a tale obbligo di sicurezza, sicché egli è tenuto ad allegare rigorosamente tale inadempimento, evidenziando i relativi fattori di rischio (ad es. modalità qualitative improprie, per ritmi o quantità di produzione insostenibili etc., o secondo misure temporali eccedenti i limiti previsti dalla normativa o comunque in misura irragionevole), spettando invece al datore dimostrare che i carichi di lavoro erano normali, congrui e tollerabili o che ricorreva una diversa causa che rendeva l'accaduto a sé non imputabile”. Secondo i giudici di legittimità, “Oltre a non potersi imporre al lavoratore di individuare la violazione di una specifica norma prevenzionistica … , ancor meno ciò può essere richiesto quando, adducendo la ricorrenza di prestazioni oltre la tollerabilità, è in sé dedotto un inesatto adempimento all'obbligo di sicurezza, indubbiamente onnicomprensivo e che non necessita di altre specificazioni, pur traducendosi poi esso anche in violazione di disposizioni antinfortunistiche”. La Suprema Corte sottolineava che i giudici di secondo grado avevano errato nel pretendere da Tizio l'indicazione di «ben determinate norme di sicurezza», essendo idonea e sufficiente a dimostrare la nocività dell'ambiente di lavoro la prova dello svolgimento prolungato di prestazioni eccedenti un normale e tollerabile orario lavorativo. Altresì, rimproverava alla Corte distrettuale l'inserimento del tema della mancanza di autonomia dell’azienda nella decisione di assumere altro personale nell'ambito della motivazione sul mancato assolvimento degli oneri di allegazione e di prova gravanti sul dipendente. Pertanto, i giudici di piazza Cavour accoglievano il ricorso del lavoratore.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


SULLA RIPARTIZIONE DELL’ONERE DELLA PROVA FRA DATORE E LAVORATORE: IL PUNTO DELLA CASSAZIONE

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Con la sentenza n. 7058 del 3 marzo 2022, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata sulla ripartizione dell'onere della prova fra il datore di lavoro ed il lavoratore, il quale lamenti danni biologici, esistenziali, morali, nonché patrimoniali e non patrimoniali dallo stesso patiti per essere stato addetto all'esecuzione di mansioni usuranti. Più nello specifico, gli Ermellini hanno specificato che “incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare, oltre all'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'una e l'altra, e solo se il lavoratore abbia fornito tale prova sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno”. Difatti, l'art. 2087 c.c. non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva, dal momento che la responsabilità del datore di lavoro, di natura contrattuale, va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'