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È NULLO IL LICENZIAMENTO EFFETTUATO IN FRODE ALLA LEGGE

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Con la sentenza n. 29007 del 17 dicembre 2020 la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di licenziamento. Più precisamente, ha affermato che è disposta la nullità del licenziamento in tutti i casi in cui il lavoratore, reintegrato dopo un precedente licenziamento illegittimo, viene di nuovo espulso dal datore di lavoro. Nel caso in esame, una società era stata condannata a reintegrare un proprio dipendente in seguito all'accertata illegittimità di un precedente licenziamento, disponendo la reintegra del lavoratore non presso il negozio ove questi era precedentemente occupato, ma adducendo intervenuti cambiamenti strutturali e commerciali nell'originaria sede di lavoro, presso un diverso punto vendita sito in altra regione. Tuttavia, a soli cinque giorni dal trasferimento, la società operava una consistente riduzione del personale proprio presso il punto vendita di nuova adibizione del dipendente appena reintegrato, il quale era stato nuovamente licenziato. La vicenda approdava in Cassazione, davanti alla quale la società ricorrente eccepiva l'annullamento del secondo licenziamento, non soltanto per la violazione del proprio ius variandi nell'organizzazione aziendale, ma anche perché il dipendente non aveva prima impugnato il trasferimento. Secondo il Tribunale Supremo, il trasferimento, contestato dal lavoratore come parte del comportamento fraudolento dell'azienda, non necessitava di autonoma impugnazione, ma era fonte di prova dell'illecito datoriale. Inoltre, poiché non rinvenivano alcuna autonoma necessità d'impugnazione del singolo atto costitutivo della complessa fattispecie frodatoria, considerato lo stretto legame logico-giuridico intercorrente tra i due provvedimenti, i Giudici di legittimità chiarivano l'irrilevanza della mancata impugnazione del trasferimento da parte del lavoratore. In sostanza, l'avere impugnato l'atto finale della condotta illecita assunta dal datore di lavoro in maniera tempestiva , esonerava il lavoratore dalla necessità di contestare la legittimità del provvedimento emanato dalla società nell'esercizio dello ius variandi. Inoltre, gli Ermellini affermavano che, la Corte distrettuale aveva bene lumeggiato il meccanismo fraudolento (perché articolato in una serie di condotte nella loro atomistica essenza, apparentemente lecite) posto in essere dalla società, che ha condotto alla definitiva espulsione del lavoratore, dall'assetto organizzativo aziendale. In virtù dei suddetti principi, la Suprema Corte rigettava il ricorso.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Licenziamento per reati anteriori all’assunzione

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Solo una condotta posta in essere mentre il rapporto di lavoro è in corso può integrare stricto iure una responsabilità disciplinare del dipendente

Il caso: il licenziamento disciplinare

Nel caso che ci occupa, il Giudice di merito aveva accertato l’illegittimità del licenziamento per giusta causa operato dalla datrice di lavoro nei confronti del proprio dipendente, disponendo, per l’effetto, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e la condanna della società (datrice di lavoro) al pagamento della relativa indennità risarcitoria. Nella specie, il licenziamento intimato al dipendente era stato giustificato da parte datoriale poiché il lavoratore aveva riportato, anteriormente alla costituzione del rapporto lavorativo, una condanna penale per associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. La Corte territorialmente competente aveva confermato gli esiti cui era giunto il Giudice di prime cure.

Illegittimo il licenziamento intimato per fatti molto risalenti

Avverso la decisione del Giudice di merito, la società ha proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione la quale, con ordinanza n. 8899/2024, ha rigettato il ricorso proposto e condannato la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio. Nel formulare le proprie contestazioni dinanzi al Giudice di legittimità, la datrice ha ribadito “di essere venuta a conoscenza delle condotte contestate solo (successivamente alla costituzione del rapporto) e sottolinea che la società opera esclusivamente nell’ambito dei contratti di appalto con la pubblica amministrazione e che in tale contesto la condotta extralavorativa, sebbene risalente, è rilevante e può ben integrare una giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro”. La società ha inoltre precisato che i fatti penalmente accertati fossero “idonei a ledere gravemente l’elemento fiduciario che deve sorreggere il rapporto di lavoro poiché violano quel “minimo etico” che è richiedibile al lavoratore”.

Rispetto alle suddette argomentazioni, la Corte ha sottolineato che “intanto può aversi una responsabilità disciplinare in quanto si tratti d'una condotta posta in essere mentre il rapporto di lavoro è in corso. Diversamente, non si configura neppure un obbligo di diligenza e/o di fedeltà ex artt. 2104 e 2105 c.c. e, quindi, una sua ipotetica violazione, l'unica che possa dare luogo ex art. 2106 c.c. a responsabilità disciplinare”.

Quanto sopra riferito, ha proseguito il Giudice di legittimità, non significa che le condotte costituenti reato, pur essendo state realizzate prima della costituzione del rapporto lavorativo, non possano di per sé integrare giusta causa di licenziamento. Sul punto la Corte ha infatti rilevato che “per giusta causa ai sensi degli artt. 2119 c.c. e 1 legge n. 604 del 1966 non si intende unicamente la condotta ontologicamente disciplinare, ma anche quella che, pur non essendo stata posta in essere in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro e magari si sia verificata anteriormente ad esso, nondimeno si riveli ugualmente incompatibile con il permanere di quel vincolo fiduciario che lo caratterizza e sempre che sia stata giudicata con sentenza di condanna irrevocabile intervenuta a rapporto ormai in atto”.

Ciò posto, ha sottolineato la Corte “il giudice dovrà direttamente valutare se la condotta extralavorativa sia di per sé incompatibile con l'essenziale elemento fiduciario proprio del rapporto di lavoro, osservando il seguente principio di diritto: Condotte costituenti reato possono (…) integrare giusta causa di licenziamento sebbene realizzate prima dell'instaurarsi del rapporto di lavoro, purché siano state giudicate con sentenza di condanna irrevocabile intervenuta a rapporto ormai in atto e si rivelino (…) incompatibili con il permanere di quel vincolo fiduciario che lo caratterizza”.

Sulla scorta dei suddetti principi e facendo riferimento al caso di specie, la Corte ha rilevato come “i fatti addebitati al lavoratore non solo sono risalenti nel tempo (…) ma la stessa irrevocabilità della sentenza di condanna (…) è precedente alla instaurazione del rapporto di lavoro (..) e la sentenza impugnata non manca di evidenziare come la società non abbia specificamente indicato “l’incidenza negativa” di fatti così risalenti “sulla funzionalità del rapporto”, e quindi il riflesso attuale sulla concretezza del rapporto limitandosi a prospettare un mero rischio ancorato a fatti accertati o commessi anteriormente alla instaurazione del rapporto di lavoro”. In ragione di tale ricostruzione interpretativa la Corte ha dunque rigettato il ricorso proposto dalla società datrice di lavoro.