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IL DANNO BIOLOGICO

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Il danno biologico è un danno di natura non patrimoniale che sussiste nella circostanza in cui un soggetto sia leso nella propria integrità fisica o psichica. È tale non soltanto quando sia di carattere permanente, ma pure nel caso in cui abbia la peculiarità di essere reversibile. Il danno biologico trova la sua principale fonte normativa nell’articolo 32 della Costituzione, che così recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. La natura lesiva nei confronti di un diritto costituzionalmente garantito (quello alla salute e all'integrità fisica), rende il danno biologico risarcibile ai sensi dell'art. 2059 del codice civile in seguito alla sentenza della Corte di Cassazione 12 dicembre 2003, e non invece dall'art. 2043 che riguarda esclusivamente i danni patrimoniali. Tale tipologia di danno è stata elaborata nel tempo dalla giurisprudenza. Inizialmente, prevedendo l'ordinamento positivo un risarcimento del danno cosiddetto patrimoniale, il solo danno risarcibile ammesso era il cosiddetto danno emergente (inteso esclusivamente dal punto di vista economico) ed il lucro cessante (inteso come perdita di possibilità di guadagno). Soltanto in seguito si è cominciato a valutare il danno come riverberato sull'integrità fisica del soggetto, prescindendo, dunque, da ogni valutazione sulla capacità lavorativa del soggetto. Il danno biologico riguarda la persona in senso stretto e, proprio per questa ragione, non prende in considerazione neppure l’eventuale perdita di produttività lavorativa del soggetto in questione (ad esempio i giorni di lavoro persi, nel corso della convalescenza). Questo danno deve essere necessariamente liquidato in via equitativa, dal momento che non può rivestire una consistenza economica o reddituale. Del resto, non si può certo ritenere che la liquidazione sia completamente soddisfacente. La salute è come tale il bene primario, e la giurisprudenza è consapevole del fatto che non possa essere compensata con una misura patrimoniale. Nonostante questo, è ovvio che si debba comunque procedere al ristoro del danno non patrimoniale, da convertirsi in termini pecuniari attraverso una valutazione equitativa che sia quanto più possibile uniforme da caso a caso, al fine di evitare delle ingiustizie. Il calcolo del danno biologico avviene sulla base di due diversi parametri: 1) L’invalidità temporanea, vale a dire tutti quei giorni che vanno dall’incidente al completo ristabilimento del danneggiato oppure il momento in cui si deduca che qualunque cura o terapia non migliorerebbe la situazione. Tutto questo deve essere comprovato da un medico; 2) L’invalidità permanente, che si ha quando le conseguenze del sinistro non sono eliminabili con cure o terapie. Per il danno biologico nascente da sinistro stradale e inferiore ai 9 punti percentuale di invalidità permanente esistono le apposite tabelle dettate dal legislatore. Ciò vale anche per gli infortuni sul lavoro. In tutti gli altri casi, bisogna fare riferimento ad altri tipi di tabelle. A tal proposito va ricordata un’importante pronuncia della Corte di Cassazione, secondo cui “La liquidazione del danno biologico può essere effettuata dal giudice, con ricorso al metodo equitativo, anche attraverso l'applicazione di criteri predeterminati e standardizzati, quali le cosiddette "tabelle" (elaborate da alcuni uffici giudiziari), ancorché non rientrino nelle nozioni di fatto di comune esperienza, né risultano recepite in norme di diritto, come tali appartenenti alla scienza ufficiale del giudice." (sent. n. 11039 del 12/05/2006). Attualmente il sistema tabellare più utilizzato nelle Corti d'Appello italiane è quello del Tribunale di Milano. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 22969 del 2020 è intervenuta su un procedimento di malpratica medica chiarendo che, in presenza di un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli uffici giudiziari, può subire un aumento esclusivamente in presenza di conseguenze dannose totalmente anomale e peculiari. Dunque, le conseguenze della menomazione che non sono generali e inevitabili per tutti coloro che abbiano patito quel tipo di lesione, ma sono state sofferte solamente dal singolo danneggiato, a causa delle peculiarità del caso concreto, giustificano un aumento del risarcimento di base del danno biologico. Nel caso in cui la menomazione accertata incida in modo rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali, l’ammontare del danno può essere aumentato dal giudice sino al 30% con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato. L’aumento personalizzato del danno biologico viene circoscritto agli aspetti dinamico-relazionali della vita del soggetto in relazione alle prove prodotte, indipendentemente dalla considerazione e dalla risarcibilità del danno morale, evitando in tal modo una duplicazione risarcitoria. Dunque, se le tabelle del danno biologico indicano un indice standard di liquidazione, l’eventuale aumento percentuale sarà funzione della specificità del caso concreto in base al pregiudizio arrecato alla vita di relazione del soggetto.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


LA RISOLUZIONE DEL CONTRATTO PER ECCESSIVA ONEROSITA' SOPRAVVENUTA: ALCUNI SPUNTI

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Per eccessiva onerosità sopravvenuta si intende quella situazione che, secondo l'ordinamento, fa sorgere il diritto a chiedere la risoluzione del contratto. Si verifica quando, a causa di eventi straordinari ed imprevedibili, si produce una grave alterazione dell'equilibrio fra il valore della prestazione e quello della controprestazione, equilibrio che al momento della conclusione del contratto sussisteva.

Per meglio capire l'ipotesi dell'art. 1467 c. c. è possibile ricorrere ad un semplice esempio. Poniamo che una parte si sia obbligata a fornire all'altra periodicamente un certo numero di componenti per computer ad un prezzo stabilito; un disastroso terremoto nella zona di produzione, ad esempio Taiwan, fa salire vertiginosamente i prezzi di questi componenti. È ovvio che se l'altra parte non accetta di pagare il nuovo prezzo, al fornitore non resterà altra strada che chiedere la risoluzione per eccessiva onerosità.

Non rileva come causa di risoluzione l' alea normale, vale a dire quel rischio al quale implicitamente ciascuna parte si sottopone. Il secondo comma dell'art. 1467 dispone, infatti, che la risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nel normale rischio contrattuale.

L'eccessiva onerosità non ha effetto nemmeno sui contratti che siano aleatori “per loro natura o per volontà delle parti” (art. 1469 c. c.).

Quando invece il contratto comporti l'assunzione di obbligazioni di una sola delle parti, questa non può richiedere la risoluzione del contratto, ma “una riduzione della sua prestazione ovvero una modificazione nelle modalità di esecuzione, sufficienti per ricondurla ad equità” (art. 1468 c. c.).

Un problema particolare viene a crearsi nell’ipotesi in cui lo squilibrio delle prestazioni dipenda da colpa di una delle parti. Secondo la dottrina più accreditata, in questo caso l’ipotesi non sarà più disciplinata dall’art. 1467 c. c., bensì dall’art. 1453 c. c., con la conseguenza che la scelta tra risoluzione e prosecuzione del contratto non potrà essere chiesta dalla parte che ha interesse a riequilibrare il sinallagma contrattuale, ma eventualmente soltanto da quella non in colpa.

In caso di squilibrio nel sinallagma contrattuale la giurisprudenza ha stabilito che " nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche, il giudice di merito è tenuto a formulare un giudizio di comparazione in merito al comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai loro rispettivi interessi, ed all’oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle deviazione maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte, e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale (tenuto conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche e soprattutto degli apporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico sociale del contratto)" (Cass. 16637/2013).

Lo squilibrio delle prestazioni deve dipendere da un evento straordinario (ossia un evento che statisticamente è poco frequente, con carattere di eccezionalità) e imprevedibile (cioè deve essere tale che i contraenti non lo avessero messo in conto, in base alle loro conoscenze ed esperienze).

Il carattere della straordinarietà è di natura oggettiva, qualificando un evento in base all’apprezzamento di elementi, quali la frequenza, le dimensioni, l’intensità, suscettibili di misurazione (e, quindi, tali da consentire, attraverso analisi quantitative, classificazioni quanto meno di carattere statistico), mentre il carattere dell’imprevedibilità ha fondamento soggettivo, facendo riferimento alla fenomenologia della conoscenza. L’accertamento del giudice di merito circa la sussistenza dei caratteri evidenziati è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi (T.A.R. Bari, sez. II, 13/05/2010, n.1865).

Quanto all’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione nei contratti a titolo gratuito, essa “consiste nella sopravvenuta sproporzione tra il valore originario della prestazione ed il valore successivo, mentre nei contratti onerosi (nel caso, permuta) consiste nella sopravvenuta sproporzione tra i valori delle prestazioni, sicché l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, in presenza di squilibrio tra le prestazioni dovuto ad eventi straordinari ed imprevedibili, non rientranti nell’ambito della normale alea contrattuale, ai sensi dell’art. 1467 c.c. determina la risoluzione del contratto” (Cass. Civ., sez. III, 25/05/2007, n.12235).

Nell’affermare tale principio, la Suprema Corte ha escluso la configurabilità dell’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, quale conseguenza del venir meno della presupposizione, ritenendo non ricorrere nel caso neppure un’ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione legittimante la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1467 c.c., atteso il difetto dei necessari requisiti della straordinarietà e dell’imprevedibilità dell’evento.

Infine, la richiesta di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta del contratto con prestazioni corrispettive “costituisce, anche quando proviene dalla parte convenuta per l’esecuzione del contratto, una vera e propria domanda, e non una eccezione, essendo diretta al conseguimento di una pronuncia che va oltre il semplice rigetto della domanda principale, né, tantomeno, una mera difesa” (Cass. Civ., sez. II, 07/11/2017, n. 26363).

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Elezione diretta del Presidente del Consiglio

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Elezione diretta del Presidente del Consiglio Il DDL costituzionale mira all’elezione diretta del Presidente del CDM, a rafforzare la stabilità del Governo e ad abolire la nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica

Comunicato stampa n. 57 del 3.11.2023 Con il comunicato stampa n. 57 il Consiglio dei Ministri, ha reso noto che, su proposta del Presidente Giorgia Meloni e del Ministro per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa Maria Elisabetta Alberti Casellati, è stato approvato un disegno di legge costituzionale per l’introduzione dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri e per la razionalizzazione del rapporto di fiducia. Il Governo informa che la riforma costituzionale oggetto del disegno di legge persegue l’obiettivo di rafforzare la stabilità dei Governi, di valorizzando il ruolo del corpo elettorale nella determinazione dell’indirizzo politico della Nazione, di favorire la coesione degli schieramenti elettorali, nonché di evitare il transfughismo e il trasformismo parlamentare. Il Governo spiega che il DDL si ispira a “un criterio “minimale” di modifica della Costituzione vigente, in modo da operare in continuità con la tradizione costituzionale e parlamentare italiana e da preservare al massimo grado le prerogative del Presidente della Repubblica, figura chiave dell’unità nazionale”. Il disegno di legge in breve Il DDL S. 935 recante “Modifiche agli articoli 59, 88, 92 e 94 della Costituzione per l'elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri, il rafforzamento della stabilità del Governo e l'abolizione della nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica” (sotto allegato), si concentra prevalentemente sui seguenti aspetti:

  1. introduzione di un meccanismo di elezione diretta e a suffragio universale del Presidente del Consiglio dei ministri, contestuale alle elezioni delle Camere;
  2. durata quinquennale dell’incarico del Presidente del Consiglio;
  3. sostituzione del Presidente del Consiglio in carica solo con un parlamentare della maggioranza e solo al fine di proseguire l’attuazione del medesimo programma di Governo;
  4. introduzione, tramite legge ordinaria, di un sistema elettorale delle Camere che assicuri al partito collegato al Presidente del Consiglio il 55 % dei seggi parlamentari;
  5. eliminazione della nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica.

Interventi normativi previsti Il DDL si compone di cinque articoli, ovvero:

  • L'articolo 1 che abroga il comma 2 dell'articolo 59 della Costituzione, in tema di nomina a vita dei senatori da parte del Presidente della Repubblica;
  • L'articolo 2 che modifica il comma 1 dell'articolo 88 della Costituzione, escludendo la possibilità che si proceda allo scioglimento anche di una sola Camera;
  • L'articolo 3 che sostituisce integralmente l'articolo 92 della Costituzione. Nella nuova formulazione non muta la composizione del Governo, ma viene stabilito che Presidente del Consiglio è eletto, contestualmente alle Camere, a suffragio universale e diretto, per la durata di cinque anni, rinviando alla legge la disciplina del sistema elettorale;
  • L'articolo 4 che modifica l’art. 94, disponendo che « Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Nel caso in cui non venga approvata la mozione di fiducia al Governo presieduto dal Presidente eletto, il Presidente della Repubblica rinnova l'incarico al Presidente eletto di formare il Governo. Qualora anche in quest'ultimo caso il Governo non ottenga la fiducia delle Camere, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere ». Inoltre, si aggiunge all'articolo un ulteriore comma, secondo cui «In caso di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio, il Presidente della Repubblica può conferire l'incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al Presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all'indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha ottenuto la fiducia». Qualora il Governo così nominato non ottenga la fiducia delle Camere e negli altri casi di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio subentrante, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere;
  • L'articolo 5 che contiene le disposizioni transitorie, prevedendosi, in particolare, che gli attuali senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica, restano in carica.

Il tecnico e l’edilizia privata: responsabilità, abusi edilizi ed obbligo di denuncia agli enti

responsabilità del progettista, art. 481 codice penale

ABUSI EDILIZI PREESISTENTI NELL'EDIFICIO DA RISTRUTTURARE PROCEDURA E PRASSI, RUOLO DEL TECNICO RESPONSABILITA' PENALE SEGRETO PROFESSIONALE

Il tecnico e l’edilizia privata: responsabilità, abusi edilizi ed obbligo di denuncia agli enti, non vi è correlazione alcuna con il segreto professionale

1) Il professionista che, incaricato dal privato per la progettazione di una ristrutturazione, come agisce nel caso in cui rilevi difformità edilizie nell’immobile?

2) Il ruolo del tecnico - progettista

3) La prassi corretta laddove il committente crei insistenze per il completamento della prestazione professionale

4) Trattazione di un caso pratico: “il committente si rivale sul tecnico – progettista per non aver inteso presentare progetto di ristrutturazione per l’immobile nel quale presenti abusi edilizi”

5) L’azione immediata del professionista

6) Il segreto professionale: oggetto e complemento

7) Il segreto professionale al cospetto di ciò che attiene un immobile

8) La Fondazione Italiana del Notariato

1) Il professionista che, incaricato dal privato per la progettazione di una ristrutturazione, come agisce nel caso in cui rilevi difformità edilizie nell’immobile?

Preliminarmente il tecnico rende edotta la committenza circa lo stato di fatto dell’immobile, e, nel consigliare la regolarizzazione dell’abuso, ne effettua la valutazione, in primis se trattasi di “tolleranze costruttive” ai sensi dell’art.34 del D.p.r. 380/2001, quindi, se non soddisfatta la verifica, classificando le opere eseguite nel rispettivo regime abilitativo secondo i disposti del medesimo Testo Unico per l’Edilizia, si avranno, pertanto tre ipotesi di “sanatoria”:

  • comunicazione di inizio lavori asseverata, C.I.L.A., ai sensi dell’art.6-bis, comma 5, con versamento della sanzione di euro mille, se trattasi di opere che non abbiano interessato le parti strutturali dell’edificio, ovvero rientranti nell’attività edilizia libera;
  • permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell’art.36, se trattasi di interventi eseguiti in assenza o difformità dal medesimo titolo abilitativo edilizio o dalla S.C.I.A. in alternativa al permesso di costruire;
  • segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria, ai sensi dell’art.37 se trattasi di interventi realizzati in sua assenza o difformità.

Le opere da “sanare” dovranno risultare conformi alla disciplina urbanistico-edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’abuso e sia al momento della presentazione dell’istanza per l’ottenimento del permesso di costruire o della trasmissione della S.C.I.A. Nulla esclude il committente rifiuti di sanare le opere, talora anche elevando nei confronti del professionista pretese non legittime, in questo caso la figura del tecnico coincide con quella del progettista? In considerazione del fattore si stia trattando una fase tecnica priva di trasmissione del progetto allo Sportello Unico per l’Edilizia del Comune ove ricade l’immobile, nulla muta in relazione al ruolo del tecnico, la cui figura si deve ricondurre a quella del “progettista” anche in funzione dell’incarico ricevuto e per aver espletato le prestazioni professionali prima viste, quali i sopralluoghi, i rilievi dell’immobile, la rappresentazione grafica, nonché la comparazione tra lo stato di fatto e gli atti assentiti, l’analisi delle difformità e l’individuazione del regime edilizio nel quale rientrano e mediante il quale regolarizzarle.

2) Il ruolo del tecnico - progettista

Il tecnico è il professionista che, iscritto nel relativo albo, presta opera intellettuale la cui disciplina è regolata dal Codice Civile, artt. 2229 – 2238 e dal Codice Deontologico dell’Ordine Professionale di appartenenza.

La prestazione professionale si incentra su determinati principi tra i quali annoverare il rapporto di fiducia con il committente in stretta concomitanza con l’autonomia del tecnico nell’espletamento del mandato, ed in capo al quale deve corrispondere un adeguato compenso commisurato sia all’importanza dell’opera e sia al decoro della professione svolta.

Per quanto concerne la progettazione è noto essa consista nell’elaborare un progetto da non configurarsi nel senso stretto dei soli grafici, bensì in tutte le operazioni che ne permettono la redazione, progetto che naturalmente non può non essere redatto nel rispetto della disciplina urbanistico – edilizia e di ulteriore altra legislazione settoriale se l’immobile è assoggettato a vincolo, previa l’implicita e sempre dovuta osservanza dello Strumento Urbanistico, del Regolamento Edilizio Comunale, delle normative igienico – sanitarie, delle norme sulla prestazione energetica degli edifici e quanto altro necessario.

È durante le fasi di rilievo dell’edificio che il professionista acquisisce tutte le nozioni necessarie per concretizzane la successiva rappresentazione grafica, assume sin da quel momento il ruolo di esercente un servizio di pubblica utilità ai sensi dell’art.481 del Codice Penale. Inutile precisare lo stato di fatto dell’edificio, per norma e prassi, costituisca parte integrante e sostanziale di un progetto destinato al deposito in comune, dovendo corrispondere fedelmente ai luoghi, prevalendo su eventuali progetti precedenti, ragion per cui è consuetudine corredarlo della documentazione fotografica, relazione tecnica ed elaborati tecnici che, rispettivamente integrandosi, debbono fornire una corretta rappresentazione del manufatto edilizio.

Detto ciò emerge che l'errata rappresentazione formi ’illegittimità del titolo edilizio legandosi inscindibilmente alle dichiarazioni rese dal tecnico.

Il nesso logico di particolare riferimento riguarda il fattore la prestazione professionale prescinda, ragionevolmente, da ogni genere di richiesta del committente laddove essa non risultasse allineata con le disposizioni normative e regolamentari secondo un ordine gerarchico assolutamente superiore.

Onere del tecnico è mantenere inalterata l’integrità professionale quandanche il cliente si focalizzi ostinatamente al raggiungimento di un suo specifico scopo o di un interesse economico, nell'intento di realizzare interventi edilizi seppur venendo meno all'osservanza della norma, ovvero ignorando la presenza di un abuso edilizio, circostanza nella quale il ruolo del professionista deve coincidere con quello di garante anche tenuto conto delle conseguenze, comprese quelle di natura penale, non efficaci nei suoi soli confronti ma, bensì, anche nei confronti della committenza.

Entrando nel merito dei contenuti del d.P.R. 380/2001, l’art.29 “Responsabilità del titolare del permesso di costruire, del committente, del costruttore e del direttore dei lavori, nonché anche del progettista per le opere subordinate a segnalazione certificata di inizio attività” è al comma 3 ad essere reso oltremododo chiaro il concetto secondo cui la figura del progettista debba assorbirsi a colui che esercita un servizio di pubblica utilità. Ampia conferma si riscontra nella dichiarazione resa dal tecnico sotto forma di asseverazione nei titoli abilitativi edilizi: ”Il progettista, in qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi degli artt.359 e 481 del Codice Penale, esperiti i necessari accertamenti di carattere urbanistico, edilizio, statico, igienico ed a seguito del sopralluogo, assevera che l’intervento, compiutamente descritto negli elaborati progettuali, è conforme agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché che è compatibile con la normativa in materia sismica e con quella sul rendimento energetico […]”.

Giuridicamente inteso debbano far capo al tecnico obblighi e responsabilità rilevanti rispetto a quelli di carattere generico, le cui conseguenze, per il venir meno, operano sia sul profilo civile, che su quello penale, a prescindere dal fattore la fase progettuale sia stata formalizzata con il solo conferimento dell’incarico professionale, ma non conclusasi con la presentazione del progetto all’ente preposto.

Al professionista che, in carenza dei requisiti e dei presupposti fondamentali, inoltra un progetto agli enti è ascrivile il reato di cui all’art.481 del Codice Penale “Delitto contro la fede pubblica” punito per falso ideologico commesso dall’esercente un servizio di pubblica utilità, ciò assume rilievo anche nella pronuncia della Corte di Cassazione Penale con la Sentenza 27699/2010: “Il progettista assuma la qualità di persona esercente un servizio di pubblica utilità anche con riferimento alla relazione iniziale che accompagna la denuncia di inizio attività e che quindi assumono rilevanza penale anche le false attestazioni contenute in questa relazione, qualora riguardino lo stato dei luoghi e la conformità delle opere realizzande agli strumenti urbanistici vigenti e non già la mera intenzione del committente o la futura eventuale difformità con le opere in concreto realizzate”.

La sentenza 27699/2010 definisce esaustivamente la circostanza nella quale il progettista, ignorando le verifiche obbligatorie, attesti falsamente, trasmettendo il progetto al Comune, casistica comportante, a sua volta, l’onere per l’amministrazione comunale, chiaramente in quei pochi casi nei quali rilevato l’”errore”, di dover denunciare le irregolarità commesse dal tecnico al Consiglio di Disciplina dell’Ordine Professionale ove iscritto per le eventuali sanzioni disciplinari

3) La prassi corretta laddove il committente crei insistenze per il completamento della prestazione professionale

La abbiamo trattata sinora, la stessa deve, naturalmente, concludersi con la risoluzione del mandato professionale, per tutti i motivi citati, considerando la responsabilità dei soggetti implicati in un processo edilizio (proprietario, progettista, direttore dei lavori) laddove siano iniziati i lavori, maturi immediatamente nel momento in cui realizzate opere in difformità rispetto al titolo, così come nel caso in cui un intervento sia assoggettato al regime della richiesta del permesso di costruire ma venga trasmesso un titolo abilitativo edilizio minore, così come nel caso in cui si intervenga in un edificio nel quale presenti difformità, maturando in questi casi, e come prima citato, il reato di cui all’art.481 del Codice Penale, come conferma la Corte di Cassazione Penale con la Sentenza 30401/2009.

4) Trattazione di un caso pratico: “il committente si rivale sul tecnico – progettista per non aver inteso presentare progetto di ristrutturazione per l’immobile nel quale presenti abusi edilizi”

Siamo giunti in un periodo nel quale non escludere l’ipotesi del committente che, mirando esclusivamente alla fruizione delle agevolazioni fiscali in edilizia, in particolare il cd. “Superbonus 110%” e delle opzioni alternative alla detrazione, quali lo sconto in fattura e/o la cessione del credito, fin tanto che furono vigenti, sia egli medesimo d’ostacolo per il corretto adempimento del mandato professionale del tecnico incaricato.

Poniamo la circostanza nella quale il professionista, ricevuto l’incarico avente ad oggetto lo studio di fattibilità degli interventi oggetto di detrazioni, nonché la progettazione e la successiva direzione lavori, nonostante la semplificazione introdotta al comma 13-ter dell’art.119 del decreto Rilancio, non più comportante l’attestazione dello stato legittimo dell’immobile, stabilisca di operare secondo diligenza, ragion per cui si “cimenta” all’analisi di tutta la documentazione edilizia in possesso del cliente e depositata presso gli enti, effettua gli opportuni accertamenti, rilievi e misurazioni in sito e ricava l’edificio non sia conforme né rispetto ad una Autorizzazione Edilizia ottenuta anni prima e né rispetto ad una successiva S.C.I.A. Oltremodo il professionista incaricato analizzando i citati titoli edilizi precedenti ravvisa siano carenti, il primo, della comunicazione del termine dei lavori, ed il secondo del collaudo amministrativo, deducendone le risultanze normative.

Portato il committente a conoscenza della questione lo ragguaglia, come abbiamo accennato al paragrafo 1, circa la necessità di trasmettere, preventivamente alla pratica edilizia per l’avvio dei lavori agevolati, il progetto finalizzato alla regolarizzazione degli abusi, facendo, altresì, presente che in caso contrario pena la rinuncia all’incarico professionale per impossibilità a procedere.

Come trattato nel presente il committente è la figura che affidandosi al professionista, secondo un rapporto di fiducia, deve pretendere questo agisca secondo scienza e coscienza con il dovere dell’osservanza di ogni principio etico, deontologico ed operativo legato allo svolgimento della sua professione, fattore sul quale il committente non sempre conviene.

Alla luce di ciò, sovente la committenza richiede altri pareri e nel rivolgersi ad un altro professionista, purtroppo, non solo riesce a raggiungere il suo scopo venendo meno ad ogni logica legislativa, inconsapevole di ogni possibile problematica futura soprattutto se derivante dai controlli da parte del fisco inerenti la indebita fruizione delle agevolazioni fiscali, ma più gravemente la committenza in questione viene diretta verso una concezione non legittima sotto nessun profilo.

Non sono casi, purtroppo rari, anzi con più costanza si verifica il privato riesca ad individuare un tecnico che, senza effettuazione di alcuna verifica in senso alla legittimità urbanistico – edilizia del manufatto edilizio, così come dal punto di vista strutturale ed antisismico, asseveri facilmente i futuri interventi da realizzare, conducendo il soggetto titolare non solo in una convinzione scorretta, ma ponendolo nella posizione dei rischi derivanti dall’illecito edilizio e dalle frodi fiscali.

Tornando al nostro esempio, la casistica in questione si conclude con l’azione del committente giungendo a denunciare il precedente tecnico per essersi, giustamente e legittimamente, rifiutato di rendere false attestazioni ed asseverazioni, pertanto di presentare un progetto. L’accusa del committente nei confronti del professionista ha ad oggetto essere egli causa della perdita delle agevolazioni fiscali.

5) L’azione immediata del professionista

Chiaramente ciò che porta ad agire il tecnico è far luce sulla motivazione impeditiva del prosieguo del rapporto professionale, quindi sulla presenza degli abusi edilizi nel fabbricato, per fare ciò richiede agli enti preposti gli opportuni e dovuti accertamenti. In relazione alla pendenza della denuncia elevata dal committente presso il Consiglio di Disciplina dell’Ordine Professionale nel quale iscritto il tecnico, è in sede di audizione di questi che, inopportunamente, l’organo giudicante eccepisce il venir meno del professionista al cd. “segreto professionale” con la richiesta di accertamento agli enti circa gli abusi edilizi, ciò nonostante letteratura, annotazioni e pronunce giurisprudenziali, nonché normativa e provvedimenti vigenti classifichino tale segreto professionale in tutt’altra sfera giuridica.

6) Il segreto professionale: oggetto e complemento

Il segreto professionale è giuridicamente definito un’“obbligo normativo per alcune figure professionali, quali il libero professionista, il lavoratore dipendente ed il dipendente pubblico, cui imposto non rivelare o pubblicizzare informazioni delle quali venuti a conoscenza per motivi di lavoro e soprattutto per le quali è imposto uno specifico obbligo di segretezza”.

Coincide con un vincolo di riservatezza ma attiene solo ed esclusivamente i dati sensibili conosciuti in relazione e durante l’attività svolta, nulla vi ha a che vedere e rileva ai suoi fini se costituente informazioni di pubblico dominio, rientrano tra queste tutte quelle inerenti un immobile, proprio per l’assenza del requisito di segretezza.

Come accennato oggetto dell’assoluto mantenimento del segreto professionale sono solo i dati sensibili, ovvero tutte le informazioni che, permettendo di identificare un soggetto, ne rivelano caratteristiche proprie, abitudini, stile di vita, relazioni personali, stato di salute, patrimoniale, e così via, vi rientrano i dati anagrafici, le immagini, il codice fiscale, il numero di targa, ed ancora i dati svelanti l’origine razziale o etnica, la declinazione religiosa, ideologica.

Si annoverano tra i dati sensibili anche le comunicazioni telefoniche o avvenute a mezzo internet, la geolocalizzazione e tutte le informazioni che, in genere, rivelano gli spostamenti e/o i luoghi frequentati, inoltre il Regolamento UE 2016/679 include i dati genetici, i dati biometrici ed i dati afferenti l’orientamento sessuale.

Sono protetti da tutela del segreto professionale i dati “giudiziari” riguardanti le condanne penali ed i reati, le qualità di imputato o di indagato, e, come introdotti dal Regolamento UE sopra citato, i dati relativi alle condanne ed ai reati connessi con le misure di sicurezza.

Ai sensi del Regolamento UE 2016/679 per quanto concerne il trattamento dei dati personali del cliente, da parte del Titolare, il professionista, il riferimento specifico è ampiamente ricondotto all’indirizzo, al codice fiscale, e quanto previsto al punto 1, paragrafo 1, dell’articolo 4, spetta, pertanto, al Titolare del trattamento dei dati personali tutelare, con o senza mezzi automatizzati, esclusivamente ciò che riguarda la “protezione” dei dati sensibili, mediante la raccolta, la registrazione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione e così via, come disposto dal punto 2, paragrafo 1, articolo 4 del Regolamento UE 2016/679.

A rigor di logica ed a scanso di ogni mera interpretazione secondo il dettato normativo ed il Codice Deontologico il professionista, nel non venir meno al segreto professionale, ha il dovere e l’obbligo di mantenere la massima riservatezza sull’attività prestata, sulle informazioni fornite dal cliente e su quelle di cui venuto a conoscenza in dipendenza del mandato, obbligo permanente anche a conclusione del mandato professionale con valenza per i suoi dipendenti o collaboratori, rispondendone egli per l’eventuale infrazione da parte di questi ultimi.

Obbligo che chiaramente e senza dubbio attiene i dati sensibili come elencati e non fattori o elementi inconducenti derivanti da soggettive interpretazioni che ne viziano il legittimo raggio di applicazione.

7) Il segreto professionale al cospetto di ciò che attiene un immobile

Già precisato, non esiste attinenza alcuna tra quanto rientrante nel criteri del segreto professionale rispetto ai dati di un immobile, avvalorando la tesi, non l’ipotesi, l’azione del professionista consista, tra le varie, anche in un indiscusso dovere di tutelare l’interesse collettivo salvaguardato con la repressione dell’abusivismo edilizio.

La segnalazione di un illecito edilizio conforma, oltremodo, un rapporto di concomitanza dovuto al fattore rientri l’abuso tra i reati, ragion per cui ai sensi della normativa è “imposto” al professionista, nel ruolo da egli svolto, di denunciare l’illecito di cui si è venuti a conoscenza, sia per disposto del Codice Penale e sia nella veste del pubblico ufficiale che omettendo o ritardando la segnalazione all’autorità commette ulteriore illegittimità con prevista punizione.

Rientra nella medesima fattispecie la circostanza nella quale il professionista assolva al dovere anche nel corso di una controversia con un cliente, ovvero nel contesto di una procedura disciplinare, limitatamente al necessario o più ampiamente rispetto al fine da salvaguardare.

8) La Fondazione Italiana del Notariato

L’Ufficio Studi del Consiglio Nazionale del Notariato, ha diffuso il trattato “Il segreto professionale. La tutela del segnalante. Il divieto di comunicazione. La tutela della privacy” di Caterina Valia, dal trattato emerge in relazione al segreto professionale: “Il concetto di giusta causa consente di tracciare i limiti di operatività del segreto professionale giustificando la rivelazione della notizia ed esonerando il professionista da qualunque responsabilità; è necessario effettuare, quindi, un'attenta valutazione dei vari interessi coinvolti di volta in volta e, operando un bilanciamento tra le contrapposte esigenze, sacrificare la segretezza nelle ipotesi in cui sia necessario garantire l'attuazione di prevalenti finalità”.

Dott. in Ing. e Geom. Donatella Salamita


Autorizzazione Paesaggistica, indipendenza tra titolo abilitativo edilizio ed autorizzazione paesaggistica

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Partiamo dal presupposto che l’Autorizzazione Paesaggistica sia un atto autonomo richiesto in virtù di una specifica disciplina, con validità di cinque anni. Negli interventi di edilizia libera l’autorizzazione de quò risulta necessaria laddove presente vincolo paesaggistico, dovendo conseguire preliminarmente all’inizio dei lavori tale atto di assenso. Se volessimo dare uno sguardo al rapporto tra titolo edilizio ed autorizzazione paesaggistica, emerge dall’art.146 comma 9 del D.Lgs 42/2004 essere l’Autorizzazione Paesaggistica “atto autonomo e presupposto dei titoli edilizi” ragion per cui il titolo abilitativo edilizio non può essere rilasciato o reso effettivo senza il previo parere, nulla osta o autorizzazione favorevole da parte della Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali. Resta, comunque, come da costante giurisprudenza, valevole il fatto che la mancata acquisizione non renda illegittimo il titolo edilizio, più precisamente, trattandosi di due diverse tipologie di atti, autonomi l’uno rispetto all’altro. Le disposizioni del Testo Unico per l’Edilizia, d. P.R. 380/2001 in relazione agli atti di assenso Nell’introdurre la disciplina urbanistico – edilizia è l’art. 1 “Ambito di applicazione” al comma 1 a riportare il testo inerisca “i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell’attività edilizia” facendo comprendere al lettore, al successivo comma 2, lo stesso testo unico per l’edilizia non attenga in alcun modo quanto riguardante normative settoriali specifiche, pertanto da quel punto di vista non ne legittima la liceità. In tal senso viene precisato, anche nel disciplinare l’attività edilizia non soggetta ad alcuna comunicazione allo Sportello Unico per l’Edilizia, ovvero al protocollo del Comune per gli enti sprovvisti di S.U.E., che non possano essere iniziati i lavori, sia nel recitare “Restano ferme le disposizioni in materia di tutela dei beni culturali e ambientali contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (oggi decreto legislativo 42/2004), la normativa di tutela dell’assetto idrogeologico, e le altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia”. Non si limita ancora il concetto disposto dal T.U.E., ripreso, ulteriormente al comma 1 dell’art.6 “Attività edilizia libera”, che testualmente recita: “Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisimiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42, i seguenti titoli sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo edilizio […]”, proseguendo il disposto normativo con la elencazione delle opere. Resta inteso che il mancato conseguimento dell’autorizzazione paesaggistica sia condizione di inefficacia, ma non di validità del titolo edilizio come confermato al prima citato comma 9 dell’art.146: “i lavori non possano essere iniziati in difetto dell’autorizzazione paesaggistica, senza riferimento al titolo edilizio”.