Un sistema museale in via di sviluppo che amplia il suo spazio espositivo rinnovandosi quale imprescindibile polo attrattivo per i visitatori. Il progetto Casa-Museo, nato per esporre la Collezione Carlon, si apre al pubblico dopo un anno e mezzo trascorso dalla sua prima inaugurazione.
Il Palazzo barocco, posto sul lato nord-occidentale, funge da quinta scenografica e fulcro per lo sviluppo allungato degli edifici che affacciano sulla Piazza delle Erbe di Verona. La stessa facciata del Palazzo Maffei, quelle delle corti interne e la scala elicoidale di connessione verso il piano nobile sono state interessate da un restauro, così come sono stati effettuati interventi non invasivi di consolidamento delle parti strutturali ed un adeguamento impiantisco, una volta acquisito l’edificio da parte della famiglia Carlon.
L’allestimento museologico e museografico del Palazzo ha previsto una rimodulazione degli spazi interni al fine di rendere il percorso strutturato più fluido e senza barriere architettoniche. L’ordinamento è stato progettato dalla direttrice della Fondazione Musei Civici di Venezia, Gabriella Belli, la progettazione complessiva è stata curata invece dallo studio Baldessari e Baldessari già intervenuto sugli Archivi del 900 di Rovereto.
L’innovazione del sistema illuminotecnico e del controllo climatico ben si sposa con l’antico, in una mescolanza ben riuscita fra l’eclettica collezione di Luigi Carlon e gli apparati decorativi del palazzo. Le opere esposte sono in totale 350 tra cui dipinti, sculture, disegni e oggetti d’arte applicata (mobili d’epoca, vetri antichi, ceramiche rinascimentali e maioliche sei-settecentesche, argenti, avori, manufatti lignei, pezzi d’arte orientale, rari volumi).
Al primo piano il percorso è in sequenza cronologica e il visitatore viene accolto da un’installazione in neon blu. Al secondo piano sono esposte opere legate dal Futurismo e alla Metafisica che riconducono agli interessi del collezionista. Ultima tappa la project room per l’arte contemporanea per le nuove generazione, al momento è esposto il “tecnofiore” dell’architetto e designer Daan Roosegaarde.
Il corpus esposto sarà mutevole, come racconta lo stesso Luigi Carlon:
“Varierà nel tempo: molte opere ad esempio non sono state esposte per problemi legati agli spazi. Palazzo Maffei ospiterà circa 350 opere, ma la collezione ne conta almeno altre 100. Ci sarà una rotazione. Poi abbiamo intenzione di fare mostre, anche monografiche. Abbiamo riservato delle stanze per il settore dell’education, inoltre abbiamo una biblioteca molto fornita, che ho costruito io nel tempo fino ad arrivare a 500 volumi. Stiamo affrontando in modo non passivo l’operazione. Vorrei che Palazzo Maffei diventasse qualcosa che vive per la città per i giovani.”
L’opera di Batay-Csorba Architects porta a Toronto una nuova idea dell’uso del calcestruzzo non dimenticando la storia della città.
Si trova nell’ex quartiere industriale del Liberty Village di Toronto e fa parte di un più ampio progetto di riqualificazione dell’area. Rivoluziona l’idea del calcestruzzo prefabbricato, emblema dell’architettura della città, riportando l’idea comune dei palazzi per uffici verso una nuova dimensione.
Il progetto di Batay-Csorba Architects tenta di risolvere la vexata quaestio sulla dicotomia tra integrazione o astrazione dal contesto attraverso una superficie continua e modulata e proponendo un’estetica che esula dall’ ordinario edificio a vetrate continue.
“È il momento giusto per rilanciare questo progetto, imparando dalla ricezione e dalla lettura dei metodi del passato, ed esplorando nuove strade per sfruttare ancora una volta la vivacità del calcestruzzo e l'efficacia della produzione di massa.”
Realizzato su una superfice di circa 3000 metri quadrati prevede sei piani , di cui il primo ad uso commerciale, quelli intermedi per uffici e l’ultimo presenta due sale per conferenze ed un patio scoperto. La superficie della facciata, la cui continuità è data dallo stesso materiale impiegato e dalla modularità delle aperture, si increspa come se fosse scolpita dalla luce, creando dei giochi d’ombra che movimentano sensibilmente il prospetto. Nonostante la vocazione al prefabbricato, la soluzione tecnologica impiegata è complessa, i pannelli prefabbricati che compongono la facciata presentano le aperture già integrate e la continuità deve essere garantita necessariamente una volta che questi vengono affiancati gli uni agli altri.
Tentando di superare la mera reiterazione di un modello i pannelli lavorano secondo tre principi: discontinuità, aggregazione e ripetizione . La matrice è caratterizzata da due pannelli principali suddivisi a loro volta in sei sub-pannelli. Tale sistemazione permette una lettura globale e contemporaneamente è individuabile l’indipendenza dei singoli pannelli, ancora più evidente nella soluzione d’angolo che vede l’interruzione brusca dei singoli pannelli. Questi ultimi sono ancorati ai solai dell’edificio con staffe metalliche.
Il progetto che ha ottenuto la Menzione d'onore 2018 P/A Awards , viene poi così descritto da Batay-Csorba Architects : “Questo processo rompe decisamente con la strategia tradizionale della ripetizione e dell'omogeneità nel progetto prefabbricato, così come con la pratica parametrica contemporanea delle superfici continue, che perseguono l'accostamento perfetto e producono il volume monolitico. Qui, le caratteristiche imperfette e tenui del disadattato producono nuovi effetti percettivi, formali e spaziali.”
La scuola di danza e centro culturale Tanzhaus di Zurigo torna a vivere con il progetto di Barozzi Veiga definendo nuovi connotati per il lungofiume.
L’edificio era andato distrutto a causa di un incendio nel 2012, successivamente nel 2014 è stato bandito un concorso internazionale, promosso dall’ente committente Eigentümerin Immobilien Stadt Zürich, vinto dai due architetti Fabrizio Barozzi e Alberto Veiga per un budget di approssimativamente 12.960.000 €.
Si estende per circa 1.500 metri quadrati e costituisce un esemplare caso di ricucitura del tessuto urbano, le aperture trapezoidali, i pieni e i vuoti enfatizzano il rapporto dell’edificio con il contesto, integrando perfettamente il nuovo con il vecchio. Come affermano i progettisti:
“La scelta della forma trapezoidale delle aperture è il risultato di una rivisitazione del tradizionale sistema ortogonale di pilastri, travi e finestre rettangolari. Una forma, quella del trapezio, a cui si è arrivati come sintesi tra la passeggiata lungo la riva e la passeggiata del foyer”.
Si sviluppa su due livelli e gli ambienti affacciano sul portico discretizzato, al piano inferiore sono sistemati una serie di ambienti di servizio: una sala ricreativa, uffici, guardaroba ecc. al piano superiore invece, si sviluppano gli ambienti principali dell’edificio. Un secondo porticato, arretrato rispetto a quello inferiore, ospita il foyer con caffetteria su cui affacciano l’auditorium per spettacoli, due sale di produzione, ed una sala prove oltre che a ulteriori servizi e locali tecnici.
La grande permeabilità tra estero ed interno non si sottrae tuttavia al mantenimento degli standard climatici dell’edificio.
La facciata strutturale, spessa 68 cm, realizzata con cemento isolante nella sua essenzialità permette da un lato di proteggere il nucleo interno, prescindendo dall’impiego di sistemi oscuranti, e dall’altro di connotare, attraverso il susseguirsi dei trapezi, la sponda del fiume Limmat. Ulteriore espediente per limitare il passaggio delle radiazioni solari è la piantumazione di piante rampicanti che nella stagione invernale diradandosi, permettono alla luce solare di entrare e nella stagione estiva di mantenere i valori normativi.
La realizzazione durata tre anni termina nel 2019 riaprendo finalmente al pubblico quella che è un’istituzione per il mondo della danza contemporanea.
Il progetto “Bellezz@-Recuperiamo i luoghi culturali dimenticati” si volge verso una prima conclusione. Dopo ben 5 anni dal lancio, il Governo ha pubblicato l’elenco dei soggetti attuatori che stipuleranno la convenzione e otterranno i finanziamenti per dare avvio agli interventi, l'elenco comprende 22 interventi. La cifra a loro disposizione è di 16,9 milioni di euro.
Gli interventi selezionati riguardano Comuni del Centro Nord Italia. Tra questi, per citare quelli che prevedono una spesa maggiore, ci sono l’ex ammasso del grano a San Daniele Po (CR), finanziato con 2 milioni di euro, la Torre Flavia a Ladispoli (RM), con 1,9 milioni, il Parco archeologico di Tusculum nella Comunità montana del Lazio Castelli Romani e Prenestini (RM), con 1,4 milioni, e l’ex cinema Italia di Fossalta di Portogruaro (VE) con 1,3 milioni di euro.
Ricordiamo che il progetto “Bellezz@ - Recuperiamo i luoghi culturali dimenticati” è partito nel 2016 ma ha avuto un iter tutt’altro che veloce. Prende forma con uno stanziamento di 150 milioni di euro da destinare a “interventi afferenti al progetto di recupero di luoghi culturali dimenticati”. Il recupero doveva essere fatto attraverso restauri, riqualificazioni e operazioni di valorizzazione. Secondo quanto stabilito, ognuno avrebbe ricevuto fondi fino al raggiungimento di una cifra massima disponibile di 10 milioni di euro.
I destinatari del supporto pubblico sarebbero stati individuati attraverso un un processo di segnalazioni provenienti direttamente dai territori. Il superamento della cifra complessiva stabilita per il suo finanziamento avrebbe comportato una selezione, da affidarsi a una commissione appositamente individuata. La commissione, dopo oltre un anno, ha ritenuto ammissibili 310 progetti e ha indicato i 271 interventi che sarebbero stati finanziati con la disponibilità dei 150 milioni.
La fase attuativa, invece di essere un processo snello, richiede tuttavia nuovi atti e procedure. La prima è la stipula di una convenzione tra Mibact e Comuni per stabilire le modalità di erogazione dei finanziamenti. Preliminare è però la verifica della fattibilità degli interventi sulla base di documentazione prodotta dai Comuni. Ma non tutti “sono stati messi nelle condizioni” di farlo, per cui il completamento della fase istruttoria slitta.
La seconda è la nomina di una seconda commissione, a metà 2018, deputata all’attuazione del progetto. Le viene richiesto di verificare, nuovamente, la completezza della documentazione pervenuta e la coerenza delle proposte con gli obiettivi del progetto. Questo lavoro arriva a una nella prima parte del 2021, preceduto dalle giuste proteste provenienti da alcuni dei territori candidati.
Per il momento si può affermare che il Progetto Bellezz@ si è tradotto in un insuccesso e che solo una minima parte delle iniziative proposte vedrà veramente la luce.
La scuola per ragazze Rajkumari Ratnavati in India, progettata dalla newyorkese Diana Kellogg travalica le barriere dell’accesso alla conoscenza con un disegno architettonico all’insegna della sostenibilità.
L’edificio si presenta come una grande ellisse in pietra, simbolo di femminilità in molte culture, a cui se ne sovrappone una seconda nelle tipiche forme indo-islamiche dello jali, una decorazione architettonica che consiste nell’intaglio della pietra con motivi geometrici, l’effetto finale è un chiaro-scuro di grande suggestione. Lo jali inoltre ha lo scopo di abbassare la temperatura comprimendo l’aria attraverso i fori. Il cortile interno invece è ribassato rispetto alla quota di calpestio interna all’ellisse per favorire la racconta delle acque ed è stata conservata la preziosa vegetazione che era presente sul luogo. Come sostiene l’architetto le scelte progettuali sono state razionali ed allo stesso tempo mirate rispetto al mantenimento della struttura stessa nel tempo: “Poiché l’edificio è stato costruito per un’organizzazione no-profit è stato fatto ogni sforzo per mirare ad una progettazione quanto più economica possibile”.
L’edificio le cui tonalità ben si sposano con il contesto desertico circostante, nonostante la sua mole, sarà parte di un complesso il Gyaan Centre. Si prevede la realizzazione in uno spazio espositivo, uno spazio per rappresentazioni ed eventi, un museo tessile e la sede di una cooperativa femminile per l’apprendimento di mestieri artigianali. Gli ambienti sono realizzati con soffitti alti così da garantire temperature meno elevate e finestrature tali da diffondere la luce solare proveniente da Sud, anche gli spazi scoperti del tetto saranno fruibili e le lezioni potranno tenersi all’aperto. Il materiale principe per la realizzazione dell’intero edificio è stata una pietra locale del Jaisalmer, un’arenaria, mentre per le finestre è stata impiegata la pietra Jodhpur che meglio si prestava ad esigenze strutturali.
Dal punto di vista della sostenibilità non meno importante è la presenza dei pannelli solari che a detta dell’architetto è stata una vera e propria sfida: “Genus Innovation, un’azienda con sede a Jaipur, è salita a bordo e si è offerta di costruire il mio sogno. Li abbiamo installati come un baldacchino sul tetto, l’armatura metallica funziona come una specie di jungle gym vecchio stile con altalene, dondoli e manubri”.
Per le lavorazioni interne l’architetto Diana Kellogg ha sempre cercato di tenersi vicina alla cultura del luogo non solo impiegano elementi tipici come il charpai per le panche, un letto in corda indiano, ma ha anche integrato la forza lavoro locale. Le stesse uniformi disegnate da Sabyasachi saranno realizzate da tessitori locali.
Sono stati messi a disposizione 35.600 metri quadrati da Manvendra Singh Shekhawat, imprenditore locale, il quale è entrato in prima persona a far parte dell’organizzazione internazionale promotrice del progetto: “CITTA”, il cui direttore esecutivo e fondatore è Michael Daube. L’organizzazione con sede a New York si occupa di sostenere lo sviluppo di comunità che si trovano in una grave situazione economica, favorendo l’accesso ai servizi sanitari ed educativi. La scuola di Jaisalmer ospiterà infatti circa 400 ragazze sin dall’età infantile.
Il tasso di alfabetizzazione femminile in questo territorio fatto di piccoli villaggi sparsi è solo del 36% sul totale della popolazione, questo progetto si pone dunque come baluardo per l’emancipazione femminile, offrendo una possibilità di riscatto, e dimostra come l’architettura non sempre sia al servizio dell’ego dei progettisti ma si ponga a servizio della società.