La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26454/2021, ha stabilito che, nell’ambito delle procedure collettive, l’impresa è tenuta a rispettare il criterio delle cosiddette quote rosa nello scegliere i dipendenti da licenziare, cioè la stessa deve garantire la permanenza, all’esito del recesso, della stessa quota proporzionale di manodopera femminile sul totale degli occupati.
La vicenda in esame traeva origine dall’impugnazione da parte di un lavoratore del licenziamento che gli era stato comminato nell’ambito di una procedura collettiva.
La Corte territoriale, che respingeva la predetta domanda, stabiliva che il criterio di scelta dei lavoratori da licenziare nel rispetto delle quote rosa assurge a limite imposto dalla legge, che, in quanto tale, fuoriesce dal novero delle informazioni che la comunicazione iniziale doveva contenere a pena di illegittimità della procedura.
A questo punto, il lavoratore si rivolgeva alla Cassazione, deducendo, in particolare, la violazione dell'art. 5, comma 2, della L. 223 del 1991 (art. 360, n. 3). Per il ricorrente, la valutazione circa il rispetto del divieto di licenziare una percentuale di manodopera femminile superiore a quella impiegata per quelle mansioni deve essere effettuata in relazione all'intero complesso aziendale e il riferimento deve essere alle mansioni di inquadramento.
Il Tribunale Supremo rigettava il ricorso, confermando lo stesso principio espresso dal giudice di merito.
Secondo gli Ermellini, nell’ambito di una procedura collettiva, l'impresa non può licenziare una percentuale di manodopera femminile superiore alla percentuale di manodopera femminile occupata.
Di conseguenza, “il confronto da operare in relazione al personale da espungere dal ciclo produttivo, va innanzitutto circoscritto all'ambito delle mansioni oggetto di riduzione, cioè all'ambito aziendale interessato dalla procedura, così da assicurare la permanenza, in proporzione, della quota di occupazione femminile sul totale degli occupati”.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Con la sentenza n. 15119 del 31 maggio 2021, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in materia giuslavoristica, affrontando il tema del licenziamento collettivo e della relativa procedura.
In particolare, il Tribunale Supremo ha sottolineato che il comma 9 dell'art. 4 della Legge n. 223/1991 sancisce che la comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo, poiché finalizzata a consentire ai lavoratori, ai sindacati e agli organi amministrativi interessati di controllare la correttezza della comparazione, deve contenere, oltre all'elenco dei lavoratori licenziati, anche l'indicazione puntuale delle modalità con cui sono stati applicati i criteri di scelta e, dunque, l'indicazione completa dell'elenco (nominativo) dei lavoratori e dei punteggi a ciascuno di essi attribuito.
“In tema di licenziamento collettivo, il termine di sette giorni previsto dall'art. 4, comma 9, della I. n. 223 del 1991, come modificato dalla I. n. 92 del 2012, per l'invio delle comunicazioni ai competenti uffici del lavoro ed alle organizzazioni sindacali, ha carattere cogente e perentorio e la sua violazione determina l'invalidità del licenziamento, a prescindere dalla circostanza che i lavoratori abbiano successivamente avuto conoscenza di tutti gli elementi che la comunicazione deve comunque avere (così da esprimere l'assetto definitivo sull'elenco dei lavoratori da licenziare e sulle modalità di applicazione dei criteri di scelta, Cass. ord. n.23034/18), atteso che detta comunicazione è finalizzata a consentire alle oo.ss. (e, tramite queste, anche ai singoli lavoratori) il controllo tempestivo sulla correttezza procedimentale dell'operazione posta in essere dal datore di lavoro, anche al fine di acquisire ogni elemento di conoscenza e non comprimere lo “spatium deliberandi” riservato al lavoratore per l'impugnazione del recesso nel termine di decadenza”.
Poi ancora, gli Ermellini hanno chiarito che “la prima parte dell'art. 5 cit., dispone che la “l'individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico produttive ed organizzative del complesso aziendale”, ciò in forza dell'esigenza di ampliare al massimo l'area in cui operare la scelta, onde approntare idonee garanzie contro il pericolo di discriminazioni a danno del singolo lavoratore, in cui tanto più facilmente si può incorrere quanto più si restringe l'ambito della selezione; la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere dunque limitata solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale”, e il datore è tenuto a provare il fatto che determina l'oggettiva limitazione di tali esigenze.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'