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I LAVORATORI CESSATI DAL SERVIZIO HANNO DIRITTO AGLI AUMENTI CONTRATTUALI RETROATTIVI?

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Per escludere l'applicabilità degli effetti retroattivi del nuovo contratto collettivo ai lavoratori cessati dal servizio prima della data di conclusione dello stesso, occorre che le parti sociali limitino tali benefici esclusivamente ai dipendenti ancora in organico. Ciò è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 29906 del 25 ottobre 2021. Nella vicenda in esame, la Corte d’Appello respingeva l’opposizione proposta da un’azienda nei confronti del decreto ingiuntivo, con cui era stato intimato il pagamento, a favore del dirigente, delle differenze retributive maturate dall’1 gennaio 2002 al 31 dicembre 2005, per effetto dell'applicazione degli aumenti contrattuali previsti, per detto quadriennio, dal CCNL sottoscritto il 14 giugno 2007. Il giudice di merito stabiliva che, laddove contenga clausole migliorative ad efficacia retroattiva, il CCNL è applicabile indistintamente a tutto il personale in servizio nel periodo di riferimento, sebbene non più in organico alla data di sottoscrizione del nuovo contratto. A questo punto, la società si rivolgeva alla Cassazione, che confermava quanto statuito dalla Corte territoriale. Secondo gli Ermellini, “Il lavoratore, che sia iscritto ad una associazione sindacale e così abbia dato mandato alla stessa per la stipulazione di un nuovo contratto collettivo, ha diritto all’applicazione delle disposizioni contenute in tale contratto, anche se lo stesso sia stipulato successivamente alla data in cui il suo rapporto di lavoro è terminato, qualora le parti contraenti abbiano espressamente attribuito efficacia retroattiva al nuovo contratto senza alcuna distinzione fra i dipendenti in servizio e quelli non più in servizio alla data di stipulazione”. Per la Suprema Corte, è, infatti, necessario che le parti sociali, nell'esercizio della loro autonomia collettiva, prevedano espressamente che determinati aumenti della retribuzione, riconosciuti con effetto retroattivo, spettino soltanto ai lavoratori in organico alla data del rinnovo, e non anche ai lavoratori cessati dal servizio. In virtù del suddetto principio di diritto, il Tribunale Supremo rigettava il ricorso dell’azienda.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Cessazione rapporto lavorativo: ferie e divieto di monetizzazione

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Nel pubblico impiego privatizzato, il dipendente non perde il diritto alle ferie ed all’indennità sostitutiva, alla cessazione del rapporto di lavoro, se questa è avvenuta per malattia che ha impedito il godimento del periodo di congedo ancora spettante

Il caso: indennità sostitutiva per ferie non godute

Il caso in esame prende avvio dalla richiesta avanzata da un medico pediatra di pagamento in suo favore dell’indennità sostitutiva per i giorni di ferie non godute durante lo svolgimento del rapporto di lavoro. In particolare, il medico aveva rappresentato di essere stato collocato a riposo per inabilità permanente al lavoro, con conseguente cessazione del rapporto lavorativo. Il Giudizio di merito si era concluso con la decisione della Corte d’appello di Palermo di rigetto delle doglianze formulate dal lavoratore.

Grava sul datore la prova di aver consentito la fruizione delle ferie

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 14083/2024, ha accolto il ricorso proposto e ha cassato la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte d’appello di Palermo, anche in relazione alla determinazione delle spese di lite per il giudizio di legittimità. Nella specie, la Corte, dopo aver ripercorso i fatti di causa ed i motivi di ricorso, ha affermato che “la perdita del diritto alle ferie ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro può verificarsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di aver invitato il lavoratore a godere delle ferie (…) e di averlo nel contempo avvisato (…) che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno prese al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato”. In questi termini, ha spiegato la Corte, grava sulla parte datoriale la prova di aver esercitato la propria capacità organizzativa in modo tale da consentire ai lavoratori di godere effettivamente delle ferie allo stesso spettanti, senza che, a tal proposito, le esigenze di servizio possano configurare un impedimento alla fruizione delle ferie. Nel caso in esame, inoltre, l’interruzione del rapporto di lavoro è avvenuta né per causa non imputabile al medico, né per raggiungimento dell’età pensionabile, ma a causa di una malattia che aveva colpito il lavoratore. In tal senso, ha aggiunto la Suprema Corte, il divieto di monetizzare le ferie opera solo “nel caso in cui il dipendente rinunci di sua volontà al godimento delle ferie, ricorrendo, in caso contrario, la violazione degli artt. 32 e 36 Cost.”. La giurisprudenza è invero costante nel riferire che “il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro”. Sulla scorta di tali premesse, la Corte ha pertanto accolto il ricorso e pronunciato i seguenti principi di diritto, cui dovrà attenersi il giudice del rinvio “In tema di pubblico impiego privatizzato, il dipendente non perde il diritto alle ferie ed alla corrispondere indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, ove tale cessazione sia avvenuta per malattia che abbia impedito l’effettivo godimento del periodo di congedo ancora spettante”. Inoltre “In tema di pubblico impiego privatizzato, il datore di lavoro ha l’onere di dimostrare di aver esercitato la sua capacità organizzativa in modo che il lavoratore godesse effettivamente del periodo di congedo e, quindi, di averlo inutilmente invitato a usufruire, con espresso avviso di perdita, in caso diverso, del diritto alle dette ferie e alla indennità sostitutiva; pertanto non è idonea a fare ritenere assolto tale onere la comunicazione con la quale la P.A. chieda al dipendente di consumare siffatte ferie genericamente prima della cessazione del rapporto di impiego e non entro una data specificamente indicata, senza riportare l’avviso menzionato e subordinando, comunque, l’utilizzo del congedo in questione alle sue esigenze organizzative”.