Il progetto, vincitore di un bando di gara dello scorso ottobre 2020, è stato recentemente presentato dall’Azienda Sanitaria Locale BT e dalla Regione Puglia; nel team spiccano Binini Partners (capogruppo mandataria) Cino Zucchi Architetti ed altri professionisti.
Si prevede la realizzazione di 6 corpi di fabbrica, su 4 piani per un totale di 82.000 mq : 75.000 per la superficie ospedaliera ed i restanti per spazi commerciali, un asilo e una palestra, ampio spazio sarà dedicato alla formazione universitaria. Il costo complessivo della realizzazione si aggira intorno ai 3,9 milioni di euro.
Una delle particolarità dell’edificio riguarda la copertura, interamente attrezzata a verde, l’opera si configura; dunque, come un complesso polifunzionale che non dimentica il rispetto dell’ambiente, essa infatti contribuisce ad un efficiente isolamento termico ed una gestione delle aree meteoriche.
Il contesto paesaggistico in cui sorge vede una maglia del costruito che si fonde con le trame rurali, era fondamentale nella progettazione portare avanti l’integrazione del nuovo edificio con il paesaggio esistente. È possibile osservare come nell’area destinata ai parcheggi il disegno del verde si adatti ai tracciati degli ulivi esistenti lungo un asse nord-sud, fornendo un’efficiente schermatura dagli accesi ad alta percorrenza. L’area del parco per le degenze ha invece un andamento più sinuoso e morbido del verde, così come i giardini tematici nelle corti interne dell’edificio assecondano l’orientamento solare per dar vita e zone d’ombra e raffrescamenti naturali.
Il concetto fondamentale alla base del progetto, come dichiarato dallo studio Binini Partners è quello dell’organismo:
“L’idea di architettura e città come ‘organismo’ coerente piuttosto che addizione di parti, è il concetto alla base del nostro progetto. In due forme: dall’interno, come la creazione di una serie di spazi di percorsi, di sosta e di socializzazione che innervino il complesso e diano ad esso un senso di struttura urbana ospitale e facilmente percorribile dal pubblico; dall’esterno, come una grande cura nella concezione e nel disegno degli spazi aperti di transizione verso la città e la natura circostante.”
Un complesso che dall’esterno appare compatto e ben inserito nello spazio, ma che allo stesso tempo si discretizza attraverso le corti verdi. Il perimetro esterno si connota attraverso grandi archi scanditi verticalmente da paraste, al contrario le corti presentano frangisole che ne definiscono l’orizzontalità. Il rapporto tra l’esterno e l’interno è stato attentamente studiato per far sì che l’impatto ed il passaggio siano graduali, lo spazio pedonale è bordato da una vasca d’acqua che accompagna i visitatori fino all’ingresso.
“L’architettura del nuovo ospedale vuole donare una risposta convincente al tema dell’edificio pubblico contemporaneo. Questa risposta non avviene tanto nel campo dell’immagine – che pure appare a prima vista semplice e “memorabile” – quanto nella creazione di veri e propri ambienti di vita scoperti e coperti, verdi e artificiali, collettivi e domestici, che insieme concorrono a creare un punto notevole in un territorio alla ricerca di un equilibrio nuovo tra evoluzione e conservazione di un paesaggio unico al mondo.”
Contrariamente all’idea iniziale più umile, l’ospedale di Andria sarà un ospedale di secondo livello sulla base del Regolamento degli standard qualitativi, strutturali tecnologici e quantitativi, si rivolgerà infatti ad un bacino di utenza tra i 600.000 e i 1.200.000 abitanti .
Di fatto il nuovo ospedale verrà a costituire un polo attrattivo su larga scala ed allo stesso tempo soddisfarà le esigenze primarie della comunità locale.
Il progetto del nuovo ospedale, inoltre, è stato recentemente insignito della Menzione d’Onore al The Plan Award 2021 , prestigioso premio internazionale di architettura.
Il MAR – Museo d’Arte di Ravenna apre dal 25 settembre 2021 una mostra dal titolo Un’Epopea Pop, è il terzo capitolo del programma espositivo “Dante. Gli occhi e la mente”. Ad evocare ancor più le parole del sommo poeta un’opera di Tresoldi sarà allestita nel chiostro.
Si tratta di un’opera precedentemente realizzata dall’artista nel 2016, Sacral e per l’occasione ricollocata all’interno del museo. La decisione della curatrice Giorgia Salerno di ospitare una delle tante cattedrali in rete metallica di Edoardo Tresoldi viene dall’esigenza di dar vita al passo di Dante in cui egli narra del Castello degli Spiriti Magni o anche detto Il Nobile Castello.
"Colà diritto, sovra ’l verde smalto,
mi fuor mostrati li spiriti magni,
che del vedere in me stesso m’essalto."
Dante Alighieri, Divina Commedia, canto V, vv. 118-120
È il luogo dove risiedevano per Dante le anime di coloro che ebbero fama e gloria sulla terra, sono poeti, filosofi, scienziati e scrittori; onorevoli per la loro moralità ma destinati alla sofferenza in quanto privi di virtù teologali: fede, speranza e carità.
L’intenzione è quella di avvolgere il visitatore in un’azione totalizzante di comprensione del percorso espositivo, dove il luogo stesso si lega alla narrazione dantesca, anticamente il museo era infatti la sede del monastero dei canonici di Santa Maria in Porto, il cui culto della Madonna Greca viene citato nel Paradiso. Tresoldi ha dichiarato infatti:
“Un’immagine archetipica è in grado di far dialogare passato e presente attraverso un linguaggio costituito da significati che tornano nel tempo. All’interno del chiostro cinquecentesco del MAR, Sacral si presenta come il ricordo di un luogo già incontrato, un’immagine familiare che introduce il visitatore al percorso dantesco."
La volontà dell’artista di riconnettere passato e presente attraverso la fibra inconsumabile ma allo stesso tempo così eterea è evidente in ogni sua opera; nominato tra gli artisti più influenti nel 2017 da Forbes ed affermatosi con la ricostruzione metallica per la Basilica paleocristiana di Siponto.
Imprescindibile il rapporto con il contesto stesso in cui le opere vengono realizzate, vi è infatti un osmotico e vicendevole ridefinirsi degli spazi e di coloro che li osservano, oltre che la possibilità di osservare quello che furono gli edifici di cui restano solo tracce al suolo.
Nel percorso espositivo vero e proprio si snodano poi i temi propriamente danteschi quali il viaggio, le anime, la luce, il sogno ai quali viene associato un’artista che rivisita in un’ottica contemporanea lo stesso tema.
La scuola per ragazze Rajkumari Ratnavati in India, progettata dalla newyorkese Diana Kellogg travalica le barriere dell’accesso alla conoscenza con un disegno architettonico all’insegna della sostenibilità.
L’edificio si presenta come una grande ellisse in pietra, simbolo di femminilità in molte culture, a cui se ne sovrappone una seconda nelle tipiche forme indo-islamiche dello jali, una decorazione architettonica che consiste nell’intaglio della pietra con motivi geometrici, l’effetto finale è un chiaro-scuro di grande suggestione. Lo jali inoltre ha lo scopo di abbassare la temperatura comprimendo l’aria attraverso i fori. Il cortile interno invece è ribassato rispetto alla quota di calpestio interna all’ellisse per favorire la racconta delle acque ed è stata conservata la preziosa vegetazione che era presente sul luogo. Come sostiene l’architetto le scelte progettuali sono state razionali ed allo stesso tempo mirate rispetto al mantenimento della struttura stessa nel tempo: “Poiché l’edificio è stato costruito per un’organizzazione no-profit è stato fatto ogni sforzo per mirare ad una progettazione quanto più economica possibile”.
L’edificio le cui tonalità ben si sposano con il contesto desertico circostante, nonostante la sua mole, sarà parte di un complesso il Gyaan Centre. Si prevede la realizzazione in uno spazio espositivo, uno spazio per rappresentazioni ed eventi, un museo tessile e la sede di una cooperativa femminile per l’apprendimento di mestieri artigianali. Gli ambienti sono realizzati con soffitti alti così da garantire temperature meno elevate e finestrature tali da diffondere la luce solare proveniente da Sud, anche gli spazi scoperti del tetto saranno fruibili e le lezioni potranno tenersi all’aperto. Il materiale principe per la realizzazione dell’intero edificio è stata una pietra locale del Jaisalmer, un’arenaria, mentre per le finestre è stata impiegata la pietra Jodhpur che meglio si prestava ad esigenze strutturali.
Dal punto di vista della sostenibilità non meno importante è la presenza dei pannelli solari che a detta dell’architetto è stata una vera e propria sfida: “Genus Innovation, un’azienda con sede a Jaipur, è salita a bordo e si è offerta di costruire il mio sogno. Li abbiamo installati come un baldacchino sul tetto, l’armatura metallica funziona come una specie di jungle gym vecchio stile con altalene, dondoli e manubri”.
Per le lavorazioni interne l’architetto Diana Kellogg ha sempre cercato di tenersi vicina alla cultura del luogo non solo impiegano elementi tipici come il charpai per le panche, un letto in corda indiano, ma ha anche integrato la forza lavoro locale. Le stesse uniformi disegnate da Sabyasachi saranno realizzate da tessitori locali.
Sono stati messi a disposizione 35.600 metri quadrati da Manvendra Singh Shekhawat, imprenditore locale, il quale è entrato in prima persona a far parte dell’organizzazione internazionale promotrice del progetto: “CITTA”, il cui direttore esecutivo e fondatore è Michael Daube. L’organizzazione con sede a New York si occupa di sostenere lo sviluppo di comunità che si trovano in una grave situazione economica, favorendo l’accesso ai servizi sanitari ed educativi. La scuola di Jaisalmer ospiterà infatti circa 400 ragazze sin dall’età infantile.
Il tasso di alfabetizzazione femminile in questo territorio fatto di piccoli villaggi sparsi è solo del 36% sul totale della popolazione, questo progetto si pone dunque come baluardo per l’emancipazione femminile, offrendo una possibilità di riscatto, e dimostra come l’architettura non sempre sia al servizio dell’ego dei progettisti ma si ponga a servizio della società.
Firmato dallo studio di architettura Sauerbruch Hutton, il centro scientifico ambisce a diventare uno dei più grandi poli di ricerca della Germania
L’edificio, definito un “Sauerbruch Hutton in bianco e nero” si trova al centro di Heilbronn, su un'isola nel fiume Neckar. È concepito come una sequenza elicoidale di spazi che offre un'esperienza finemente coreografata tra l'interno dell'edificio e il paesaggio circostante.
La sede originale del nuovo edificio era stata ricavata dalla conversione e ristrutturazione dell’ Hagenbucher, un fabbricato di sei piani in klinker con pianta trapezoidale, costruito nel 1936 per lo stoccaggio dei semi oleosi. Nel 2013, dato il successo riscosso da parte del pubblico, le istituzioni bandirono un concorso internazionale per l’ampliamento del complesso, vinto da Sauerbruch Hutton. L'amplimento previsto avrebbe triplicato la superficie utile esistente portandola da 17.720 a 25.000 mq.
Il nuovo blocco, dalla morfologia non convenzionale tanto da diventare in pochi mesi un nuovo landmark urbano, si avvita su se stesso per cinque piani, ciascuno dei quali ruota rispetto al precedente di qualche grado. I diversi livelli, su una metà dell’area disponibile, contengono spazi espositivi a tema incentrati sulla tecnologia e la scienza. Sono presenti installazioni multimediali interattive, e applicative per facilitare i giovani visitatori nell’apprensione. La seconda metà di ogni piano è occupata invece da percorsi verticali ad elica.
L’inviluppo dello spazio interno è leggibile in facciata grazie ad un’alternanza di tamponamenti opachi e trasparenti realizzati rispettivamente in alluminio e vetro: le parti “chiuse” corrispondono alle zone che favoriscono il raccoglimento e la concentrazione mentre le zone “estroverse” proiettano lo sguardo su vedute panoramiche della città e della campagna circostante.
In facciata risulta riconoscibile la struttura reticolare delle travi che sorreggono i solai realizzati con solette a struttura mista innervate da putrelle; i pilastri, concentrati lungo l’anello periferico, contribuiscono a definire la trama visibile dall’esterno e garantiscono il trasferimento dei carichi verticali. La soluzione strutturale adottata, grazie alla presenza di travi in facciata e una colonna centrale che funge da nucleo di irrigidimento, permette di ottenere aree espositive a pianta libera. In corrispondenza dell’attacco al suolo la struttura mista dei solai è sostituita da un guscio di calcestruzzo precompresso impermeabile dove sono ubicate sale espositive speciali ricavate sotto il livello del fiume.
La fondazione è costituita da una platea elastica e rinforzata ancorata al sottofondo con tiranti per contrastare la spinta idraulica di sollevamento.
Al centro di ogni sala sono ubicati dei volumi di vetro che contengono i laboratori dove il pubblico può svolgere direttamente esperimenti collegati con il tema della sala.
La base d’appoggio dell’edificio, con superficie maggiore rispetto agli altri piani, ospita una Science Dome di 700 mq utilizzabile come auditorium, teatro, cinema a 360° e planetario collegato a due telescopi elettronici di ultima generazione.
L’architettura disegnata da Sauerbruch Hutton per lo Science Center interpreta con efficacia nei modi e nella morfologia dell’edificio, i due lati dell’istituzione, ludica e tecnica allo stesso tempo capace di “obbedire al più assoluto rigore scientifico e nel tempo stesso raggiungere la sua comprensività”.
Soni iniziati i lavori nell’ex area Bllok per la costruzione del “Blloku Cube”, il nuovissimo centro polifunzionale della città di Tirana ideato da Stefano Boeri Architetti. Il Cubo insieme a tre scuole fa parte dello schema di pianificazione di Tirana 2030 per la capitale.
Il Cubo di Blloku, situato nella parte centrale di Tirana, si attesta esattamente all’incrocio tra via Pjeter Bogdani e via Vaso Pasha, nel cuore del Blloku, e proprio da questo quartiere ne prende il nome. Un tempo, nel periodo post-comunista, il quartiere era inaccessibile poiché area militare ad accesso limitato, ora invece è diventato una zona cruciale della vita pubblica della città, grazie soprattutto al moltiplicarsi di servizi, negozi, bar e ristoranti nei quartieri vicini. Entro il 2030, lo studio Stefano Boeri Architetti riqualificherà l’area tramite varie iniziative: il progetto del “Cubo di Blloku”, la creazione di nuovi spazi verdi e la futura costruzione di 3 scuole che rivaluteranno la zona rendendola il fulcro della vita socio-culturale della città.
Sulle due vie su cui affaccia la struttura, sono posizionati gli ingressi principali all’edificio, sia per la parte commerciale che per gli uffici. La pianta quadrata del piano terra di circa 30 metri per lato, presenta una importante variazione: il taglio dell’angolo, in corrispondenza dell’incrocio tra gli assi stradali e dell’entrata principale, crea una piazza semi coperta in continuità con il marciapiede, invitando i passanti ad accedere allo spazio commerciale grazie anche all’uniformità di pavimentazione tra esterno ed interno. L’eccezione di pianta nell’attacco a terra si propaga al primo piano del volume, sempre occupato da negozi, dove il fronte ovest dell’edificio si inclina per raccordarsi al piano superiore, che torna, invece, a configurarsi come un quadrato. La piegatura della facciata vetrata e dei suoi montanti genera uno spazio di sosta su piano inclinato, dove un sistema di sedute, letteralmente appoggiate alla struttura di facciata, dà la possibilità di apprezzare la città e lo spazio pubblico sottostante da una prospettiva inedita. Per i successivi cinque piani l’edificio si sviluppa con pianta quadrata regolare, questi piani saranno adibiti ad uso uffici, e l’edificio culmina, al settimo piano, con un Roof Garden Restaurant.
Sicuramente l’involucro è l’elemento più caratteristico dell’edificio, concepito come una superficie ininterrotta e cangiante che ne riveste tutto l’esterno senza interruzioni. Sarà costituito da un doppio strato. Il primo livello, chiude gli interni garantendo luce e isolamento acustico e termico, è costituito da un curtain wall continuo di vetro che acquista un ruolo importante nella sua gestione energetica. Il secondo livello è invece caratterizzato da una facciata continua traforata in alluminio anodizzato: è composto da una serie di pannelli modulari quadrati di lato pari a 110 cm, chiusi per metà da quattro triangoli tridimensionali saldati ad una struttura portante.
“L’effetto che ne deriva è quello di una superficie vibrante e cangiante, una trama di triangoli di alluminio che giocano con la luce del sole restituendo riflessi con diverse sfumature di colori”, spiega Stefano Boeri.
Ognuna delle piccole vele metalliche che compongono il rivestimento ha un orientamento differente, ciò permette di filtrare la luce solare garantendo agli ambienti interni l’illuminazione in funzione della destinazione d’uso.
“Questo particolare involucro, progettato ad hoc per il nostro primo progetto albanese, è essenziale nel determinare l’unicità dell’edificio e contribuisce a sottolinearne il ruolo di nuovo punto di riferimento all’interno del quartiere”, aggiunge Francesca Cesa Bianchi, Project Director di Stefano Boeri Architetti.