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Rifiuti in edilizia: resoconto del rapporto ISPRA 2019

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Il 41% dei rifiuti speciali arriva da costruzioni e demolizioni, ma l’Italia è leader nel riciclo

La produzione nazionale dei rifiuti speciali è ancora in aumento: nel 2017, secondo l’ultimo rapporto ISPRA/SNPA (Rapporto Rifiuti Speciali 2019) la produzione ha sfiorato i 140 milioni di tonnellate, quasi il 3% in più rispetto al 2016. A crescere sono per lo più i rifiuti pericolosi (+ 0,6 %), mentre rimane pressoché stabile la produzione di rifiuti non pericolosi. I rifiuti non pericolosi sono costituiti per il 71% da terre e rocce da scavo, per il 16,2%da rifiuti misti dell’attività di costruzione e demolizione, e il restante 12,8% da altre tipologie di rifiuti. I rifiuti pericolosi, invece, sono costituiti per il 68% da rifiuti contenenti amianto, per il 17,6% da altri materiali isolanti, e il restante 14,4% è rappresentato da altre tipologie di rifiuti.

I rifiuti complessivamente gestiti aumentano del 4% e l’Italia si conferma leader nel riciclo segnando un +7,7% delle quantità avviate a recupero di materia ed una diminuzione dell’8,4% di quelle destinate allo smaltimento. Bisogna tuttavia ricordare che anche il processo di riciclo dei rifiuti, produce rifiuti. Secondo i dati, si sono prospettati per i rifiuti speciali quattro scenari diversi: – il 67,4 % sono stati riciclati con recupero di materia; – l’8,2 % è stato conferito in discarica; – il 10,9 % ha subito altre operazioni di smaltimento; – l’1,4 % è stato avviato al coincenerimento; – lo 0,9 % all’incenerimento.

Le attività di trattamento dei rifiuti e di risanamento ambientale rappresentano il 25,7% del totale (quasi 36 milioni di tonnellate), l’insieme delle attività manifatturiere il 21,5% (quasi 30 milioni di tonnellate). I rifiuti di metallo importati sono destinati al riciclaggio, principalmente in acciaierie localizzate in Friuli Venezia Giulia e in Lombardia. Il 68% dei rifiuti esportati (poco più di 2 milioni di tonnellate) appartengono alla categoria dei non pericolosi e il restante 32% (circa 1 milione di tonnellate) a quella dei pericolosi.

A livello di macroarea geografica è il Nord che produce più rifiuti speciali, quasi 81 milioni di tonnellate (pari, in termini percentuali, al 58,3% del dato complessivo nazionale), seguita dal Sud con quasi 33 milioni di tonnellate (23,7%) e dal Centro con circa 25 milioni di tonnellate (18% del totale nazionale). La Lombardia produce il 22,2% del totale dei rifiuti speciali generati (30,8 milioni di tonnellate) seguita dal Veneto e dall’Emilia-Romagna con circa il 10% della produzione nazionale (rispettivamente pari a 15,1 milioni di tonnellate e 13,7 milioni di tonnellate). Gli impianti di gestione dei rifiuti speciali operativi sono 11.209 di cui 6.415 situati al Nord, 2.165 al Centro e 2.629 al Sud. In Lombardia sono localizzate 2.176 infrastrutture, il 20% circa del totale degli impianti presenti sul territorio nazionale. Gli impianti dedicati al recupero di materia sono 4.597 (41% del totale).

Circa 20,2 milioni di tonnellate di rifiuti speciali sono utilizzati, in luogo delle materie prime, all’interno del ciclo produttivo in 1.307 impianti industriali. Tali stabilimenti riciclano il 20% del totale dei rifiuti recuperati a livello nazionale.

L’economia circolare però, specie in edilizia, non è ancora di certo operativa: mancano tasselli importanti, primo tra tutti la carenza di impianti in Italia, motivo per cui i rifiuti che non possono essere smaltiti in modo idoneo qui da noi – circa 3,1 milioni di tonnellate – vengono esportati all’estero.

Come dichiara il direttore ISPRA Alessandro Bratti, " importiamo materiali necessari all’industria italiana, ma esportiamo rifiuti che non abbiamo modo di trattare adeguatamente con impianti". E questi rifiuti, che l’Italia non riesce a smaltire, sono costituiti per il 50% da scarti provenienti dagli impianti di trattamento dei rifiuti, delle acque reflue, dalla potabilizzazione dell’acqua.


Dissesto idrogeologico: per il rapporto Ispra è a rischio il 91% dei comuni italiani

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Seconda edizione del Rapporto che aggiorna con i dati del 2017 la mappa nazionale del rischio italiano

La seconda edizione del Rapporto “Dissesto idrogeologico in Italia” fornisce il un quadro completo aggiornato sulle aree ad alta vulnerabilità presenti sull’intero territorio nazionale e presenta degli indicatori di rischio relativi a popolazione, famiglie, edifici, imprese e beni culturali.
Secondo il Rapporto, nel 2017 è aumentata del 2,9 % rispetto al 2015 la superficie potenzialmente soggetta a frane e del 4% quella potenzialmente allagabile nello scenario medio; complessivamente, il 16,6% del territorio nazionale è mappato nelle classi a maggiore pericolosità per frane e alluvioni (50 mila km quadrati). Quasi il 4% degli edifici italiani (oltre 550 mila) si trova in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata e più del 9% (oltre 1 milione) in zone alluvionabili nello scenario medio. Tali incrementi sono legati a un miglioramento del quadro conoscitivo effettuato dalle Autorità di Bacino Distrettuali con studi di maggior dettaglio e mappatura di nuovi fenomeni franosi o di eventi alluvionali recenti.

Sono oltre 7 milioni le persone che risiedono nei territori vulnerabili: oltre 1 milione vive in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata e più di 6 in zone a pericolosità idraulica nello scenario medio (ovvero alluvionabili per eventi che si verificano in media ogni 100-200 anni). In particolare, la popolazione residente esposta a rischio alluvioni in Italia è pari a: 2.062.475 abitanti (3,5%) nello scenario di pericolosità idraulica elevata P3 (tempo di ritorno fra 20 e 50 anni); 6.183.364 abitanti (10,4%) nello scenario di pericolosità media P2 (tempo di ritorno fra 100 e 200 anni) e 9.341.533 abitanti (15,7%) nello scenario P111 (scarsa probabilità di alluvioni o scenari di eventi estremi).

Gran parte della popolazione a rischio si trova in Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Lombardia, Veneto e Liguria, mentre il numero maggiore di edifici a rischio si trova in Campania, Toscana, Emilia-Romagna e Lazio.

In nove Regioni (Valle D’Aosta, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Molise, Basilicata e Calabria) abbiamo il 100% dei comuni a rischio idrogeologico. L’Abruzzo, il Lazio, il Piemonte, la Campania, la Sicilia e la Provincia di Trento hanno percentuali di comuni a rischio tra il 90% e il 100%.

Le industrie e i servizi posizionati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono quasi 83 mila, con oltre 217 mila addetti esposti a rischio. Al pericolo inondazione, sempre nello scenario medio, si trovano invece esposte ben 600 mila unità locali di impresa (12,4% del totale) con oltre 2 milioni di addetti ai lavori, in particolare nelle regioni Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, Lombardia e Liguria dove il rischio è maggiore.

Nelle aree franabili sono presenti quasi 38 mila beni culturali a rischio, dei quali oltre 11 mila ubicati in zone a pericolosità da frana elevata e molto elevata, mentre sfiorano i 40 mila i monumenti a rischio inondazione nello scenario a scarsa probabilità di accadimento o relativo a eventi estremi; di questi più di 31 mila si trovano in zone potenzialmente allagabili anche nello scenario a media probabilità. Il numero più elevato di beni culturali a rischio frane si registra in Toscana, Marche, Emilia-Romagna, Campania e Liguria.

Al fine di aggiornare la mappa della pericolosità della frana sull’intero territorio nazionale, l’Ispra ha operato con una nuova mosaicatura nazionale delle aree di pericolosità dei Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) sulla base delle informazioni fornite dalle Autorità di Bacino Distrettuali.

(Fonte: Rapporto Ispra 2018 sul dissesto idrogeologico)