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Licenziamento del lavoratore per inidoneità fisica sopravvenuta e onere della prova in capo al datore

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Con l’ordinanza n. 15002/2023, la Suprema Corte ha stabilito che nel caso di licenziamento del lavoratore per inidoneità fisica sopravvenuta alle mansioni assegnategli, il datore è tenuto a dimostrare la validità delle motivazioni che lo hanno spinto a detta decisione. Nella vicenda esaminata, i giudici di merito, in sede di reclamo ex L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 58 e in riforma della sentenza del Tribunale dichiarava illegittimo il licenziamento intimato dalla cooperativa sociale Alfa a Tizia per sopravvenuta parziale inidoneità fisica allo svolgimento delle mansioni di operatrice socio sanitaria – OSS incompatibili con residuali mansioni, con applicazione della tutela reintegratoria di cui alla L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 7, come novellato dalla L. n. 92 del 2012 e condanna al pagamento di un risarcimento del danno pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Secondo la Corte distrettuale, la Cooperativa aveva violato l’obbligo di verificare la possibilità di effettuare adattamenti organizzativi ragionevoli onde trovare alla lavoratrice una sistemazione adeguata alle condizioni di salute, adattamento possibile alla luce del tipo di organizzazione adottato dalla società. A questo punto, la Cooperativa si rivolgeva alla Cassazione, la quale riteneva il ricorso infondato. I giudici di legittimità precisavano che “Nell’ipotesi di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore e in presenza dei presupposti di applicabilità del Decreto Legislativo n. 216 del 2003, articolo 3, comma 3-bis, il datore di lavoro ha l’onere di provare la sussistenza delle giustificazioni del recesso, ai sensi della L. n. 604 del 1966, articolo 5, dimostrando non solo il sopravvenuto stato di inidoneità del lavoratore e l’impossibilità di adibirlo a mansioni, eventualmente anche inferiori, compatibili con il suo stato di salute, ma anche l’impossibilità di adottare accomodamenti organizzativi ragionevoli, con la possibilità di assolvere tale ultimo onere mediante la deduzione del compimento di atti o operazioni strumentali all’avveramento dell’accomodamento ragionevole, che assumano il rango di fatti secondari presuntivi, idonei a indurre nel giudice il convincimento che il datore di lavoro abbia compiuto uno sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione organizzativa appropriata in grado di scongiurare il licenziamento, avuto riguardo a ogni circostanza rilevante nel caso concreto”. Pertanto, il Tribunale Supremo rigettava il ricorso e condannava parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'