Sovente, volendo risparmiare nel fare un acquisto, ci si rivolge a dei conoscenti. Nel momento in cui però questi ultimi offrono un prezzo esageratamente basso su un prodotto che vendono come nuovo, occorre prestare attenzione, in quanto il bene potrebbe essere di illecita provenienza.
Con la sentenza n. 37824 del 30 dicembre 2020 la seconda Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in merito al reato di acquisto di cose di sospetta provenienza, che trova la sua disciplina nell’articolo 712 c.p. Detto articolo al primo comma stabilisce che “chiunque, senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose, che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per la entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da reato, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda non inferiore a euro 10”. La Suprema Corte ha stabilito che commette il reato in questione chi compra a un prezzo stracciato un telefonino come nuovo da un conoscente.
Nel caso in esame un imputato veniva condannato dal Tribunale di Catania alla pena di euro 500,00 di ammenda per aver commesso il reato di cui all’art. 712 c.p. (acquisto di cose di sospetta provenienza).
L’imputato ricorreva in Cassazione, davanti alla quale sollevava i seguenti tre motivi:
• con la prima censura il ricorrente lamentava la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità, considerato che dalle circostanze processuali non era emerso alcun profilo che potesse essere ricollegato alla colpa;
• con la seconda censura eccepiva invece la violazione di legge e il vizio di motivazione relativamente alla mancata applicazione dell'art. 131-bis cod. pen.;
• infine, con la terza censura contestava la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna.
Il Tribunale Supremo, dichiarando il ricorso inammissibile, condannava l’uomo al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. In particolare, affermava che il Tribunale aveva “correttamente posto a base della sua decisione il principio giuridico secondo il quale per la integrazione dell'elemento psicologico del reato occorre dimostrare che l'agente non abbia usato la diligenza dell'uomo medio nella verifica della legittima provenienza del bene acquistato”.
Inoltre, la Corte territoriale aveva negato la causa della non punibilità per particolare tenuità del fatto, in quanto l'offesa al bene protetto non risultava particolarmente tenue stante il valore economico del cellulare all'epoca dei fatti.
In ultimo, l’imputato non poteva dolersi relativamente alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna, dal momento che il beneficio in questione non risultava né dalla memoria allegata al ricorso, né tantomeno dalle conclusioni adottate dal suo legale.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Il patteggiamento, altrimenti detto applicazione della pena su richiesta delle parti, è un procedimento speciale, alternativo al rito ordinario, che trova la sua disciplina negli artt. 444 e ss del codice di procedura penale e consistente in un accordo tra l’imputato e il Pubblico Ministero circa l’entità della pena da irrogare. La ratio legis del procedimento è snellire la durata del processo, del quale consente una conclusione anticipata in forza dell’accordo tra P.M. e imputato, il quale volontariamente si assoggetta alla sanzione penale, evitando la fase dibattimentale. Con la richiesta di patteggiamento, l’imputato, piuttosto che dichiarare la sua responsabilità per i reati contestati, rinuncia implicitamente a far valere le eventuali prove a discarico e le altre difese che sarebbero incompatibili con l’accettazione della sanzione patteggiata.
Il patteggiamento è esperibile per una serie di reati identificati mediante il riferimento alla sanzione in concreto applicabile: vi rientrano i delitti e le contravvenzioni punibili con una pena pecuniaria, oppure con una delle sanzioni sostitutive previste dalla legge n. 689 del 1981, o ancora con una pena detentiva non superiore a cinque anni. La pena pecuniaria può essere applicata congiuntamente alla pena detentiva, che, a sua volta, va determinata non soltanto computando le eventuali circostanze previste dalla legge penale, ma anche tenendo conto della diminuzione di pena prevista dalla legge processuale come incentivo all’imputato per la scelta del rito speciale. Il patteggiamento non trova invece applicazione per i reati previsti specificatamente al comma 1 bis dell'art. 444 c.p.p., quali criminalità organizzata, terrorismo, delitti di prostituzione minorile, pornografia minorile e violenza sessuale di gruppo, e per quelli relativi a soggetti recidivi ex art. 99 comma 4 c.p., o dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza.
Ma veniamo adesso al calcolo della pena in questo procedimento speciale. Per calcolare la pena nel patteggiamento è necessario analizzare alcuni punti fondamentali. Innanzitutto occorre considerare le circostanze aggravanti ed attenuanti: in caso di concorrenza di più circostanze, si opera il primo aumento o diminuzione sulla pena base e, sul risultato così ottenuto, si effettuano i successivi calcoli. Questo calcolo, che viene effettuato sulla base delle circostanze, costituisce la base per la riduzione di pena fino a 1/3 prevista in caso di patteggiamento dall’art. 444 c. 1 c.p.p.: in particolare, la norma stabilisce che le parti “possono chiedere al giudice l’applicazione di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria”.
Volendo spiegare il tutto con un esempio, se Sempronio è imputato del reato di stalking, ai sensi dell’art. 612 bis c.p. e ha risarcito il danno alla persona offesa Tizia, la pena finale, pari a mesi 3 di reclusione e subordinata alla concessione della sospensione condizionale della pena e della non menzione nel casellario giudiziale, sarà formulata nel seguente modo:
• pena base: mesi 6 di reclusione;
• ridotta di 1/3 a mesi 4 di reclusione per l’attenuante del risarcimento del danno di cui all’art. 62 n. 6 c.p.;
• ridotta di 1/3 a mesi 3 di reclusione per la diminuente del rito.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'