Su chi grava la responsabilità nel caso in cui il minore abbia commesso un’infrazione stradale? A tale interrogativo ha fornito risposta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 19619 del 17 giugno 2022.
Gli Ermellini hanno stabilito che in caso di violazione amministrativa da parte di un minore di anni diciotto “la sanzione va irrogata ai soggetti tenuti alla sorveglianza dell’incapace, che rispondono a titolo personale e diretto per la trasgressione della norma”.
Difatti, l’art. 2 della Legge 689/1981 sancisce che “Non può essere assoggettato a sanzione amministrativa chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i diciotto anni e che della violazione risponde chi era tenuto alla sorveglianza dell'incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto”.
Altresì, il Tribunale Supremo ha specificato che il predetto articolo trova applicazione anche per gli illeciti amministrativi del Codice della Strada; di conseguenza, qualora un minore commetta un’infrazione stradale, di quest’ultima risponde il soggetto che era tenuto alla sorveglianza dell’incapace. In altre parole, in queste circostanze, il verbale dovrà essere notificato ai genitori in quanto esercenti la potestà genitoriale, salvo che provino di non aver potuto impedire il fatto.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Tutela del minore e mandato d’arresto europeo
In tema di mandato d’arresto europeo non può essere rifiutata la consegna allo Stato richiedente, solo perché la persona alla quale lo stesso si riferisce sia madre di prole con lei convivente, di età inferiore ai tre anni
L’autorizzazione alla consegna della madre
Nel caso in esame, la Corte d’appello di Messina aveva disposto la consegna di una donna alle competenti autorità giudiziarie della Svezia, in considerazione del M.A.E. emesso dalla Corte distrettuale di Stoccolma nell’ambito di un procedimento penale pendente che vedeva coinvolta la donna per reati tributari commessi in qualità di legale rappresentante di due società con sede in Svezia.
La Corte territoriale italiana aveva disposto la consegna della donna non avendo ritenuto fondate le ragioni avanzate dalla difesa in relazione, tra l’altro, alla sua condizione di madre di una bambina di età inferiore ai tre anni.
Avverso tale decisione veniva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, evidenziando, tra i diversi motivi d’impugnazione, la ritenuta violazione dell’“art. 1 comma 3 della Decisione quadro 2002/584/GAI, correlato all’art. 48 Carta di Nizza, ed all’art. 2 Cost. in relazione all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE) ed all’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), per effetto della mancata considerazione della condizione di madre di una bambina di due anni”.
A tal proposito, la difesa aveva evidenziato che è “onere dell’autorità giudiziaria dello Stato richiesto verificare se l’esecuzione del mandato di arresto europeo possa essere lesivo delle garanzie costituzionali e dei diritti fondamentali garantiti dalle convenzioni sovranazionali”. In ragione di tale onere, spiega la difesa, la Corte aveva errato nel non aver compiuto alcun vaglio circa il danno che sarebbe derivato a carico della figlia della ricorrente dall’esecuzione del mandato, visto il suo radicamento in Italia, nonché le relazioni create con le insegnanti e con i compagni di classe.
Cassazione: l’onore probatorio spetta alla parte
La Suprema Corte, con sentenza n. 51798/2023, ha ritenuto il ricorso non fondato.
Per quanto in particolare attiene al motivo di ricorso oggetto del presente esame, la Corte ha ritenuto non fondata la ritenuta violazione normativa incentrata sulla qualità della ricorrente quale madre di bambina di due anni, essendo intervenuta l’abrogazione dell’art. 18, lett. p), della legge n. 69/2005.
Sul punto, osserva la Corte, l’art. 2 della legge n. 69/2005 non consente l’introduzione di motivi di rifiuto alla consegna diversi ed ulteriori da quelli previsti dalla legge quadro di derivazione europea, così come anche affermato dalla Corte Costituzionale nell’ordinanza n. 216/2021 che ha messo in rilievo che, l’esigenza di garantire l’uniformità e l’effettività della normativa a livello europeo, non consente alle autorità giudiziarie degli Stati richiesti di rifiutare la consegna al di fuori dei casi espressamente previsti dalla normativa sul M.A.E. In questo senso, prosegue la Suprema Corte “il d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10 ha operato una generalizzata soppressione di tutte le disposizioni interne difformi dalla disciplina europea al fine di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI relativa al mandato di arresto europeo”.
Inoltre, la soppressione del sopracitato art. 18, lett. p), secondo quanto riferisce il Giudice di legittimità “si giustifica sulla base della presunzione che negli Stati UE la tutela delle madri di figli di tenera età è assicurata nei sistemi processuali-penali in modo coerente ai principi di diritto affermati anche dalla convenzione europea”.
Quanto detto è anche confermato sul piano normativo, dalla direttiva (UE) 2016/800 che tutela, a livello europeo, il superiore interesse del minore indagato o imputato e che impone agli Stati membri il rispetto delle garanzie procedurali nei loro confronti, conformemente a quanto previsto dalla CDFUE; ne consegue che, se tali garanzie sono previste ed assicurate da tutti gli Stati che hanno firmato la CDFUE, nei confronti dei minori indagati ed imputati, allora le stesse sono tanto più applicate in favore dei figli minorenni della persona di cui è stata richiesta la consegna. Tale presunzione “costituisce il fondamento dell’emissione del mandato di arresto europeo, ed è onere della parte allegare elementi concreti di valutazione che possano suffragarne la violazione da parte dell’ordinamento dello Stato emittente, che non può essere perciò dedotta in modo soltanto ipotetico e astratto”.
La Corte conclude quindi il proprio esame sul punto ribadendo che è “onere della parte allegare circostanza concrete che dimostrino che nello Stato richiedente vi siano sistemiche carenze strutturali che non consentono di tutelare i diritti del minore, e solo se tali carenze risultino dimostrate si giustifica il rifiuto della consegna”, questo in quanto “il rifiuto di eseguire la consegna è concepito come una eccezione che deve essere interpretata restrittivamente”