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L’AFFIDO CONDIVISO NON IMPLICA LA RIPARTIZIONE DEI TEMPI DI PERMANENZA DEI FIGLI PRESSO CIASCUN GENITORE AL 50%

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Con l’ordinanza n. 17221/2021, la Cassazione ha stabilito che affidamento condiviso non vuol dire che i minori debbano permanere presso ciascun genitore al 50%. La vicenda traeva origine dal fatto che, nel giudizio di separazione personale fra Sempronio e Mevia, la Corte d’Appello confermava l'affido condiviso della prole con collocazione presso la madre, ampliando i tempi di permanenza presso il padre durante le vacanze estive; inoltre, il giudice di merito revocava l'assegno di mantenimento previsto per l’ex moglie, rigettando la domanda di riduzione dell'assegno di mantenimento per i figli, già fissato in euro 550,00 per ciascuno, oltre adeguamento ISTAT e partecipazione al 50% alle spese straordinarie da corrispondere alla madre. A questo punto, la vicenda approdava in Cassazione, davanti alla quale Sempronio, in particolare, asseriva che vi dovrebbe essere pari scansione temporale dei tempi di permanenza dei figli presso ciascun genitore e che la collocazione dei minori dovrebbe essere ripartita a settimane alterne. Il Tribunale Supremo, ritenendo il ricorso infondato, precisava che il regime legale dell'affidamento condiviso, diretto a tutelare l’interesse morale e materiale della prole, deve tendenzialmente comportare, in mancanza di gravi ragioni ostative, una frequentazione dei genitori paritaria con il figlio; tuttavia, nell'interesse della prole, il giudice può individuare un assetto che si discosti da tale principio tendenziale, al fine di assicurare al minore la situazione più confacente al suo benessere. Pertanto, la regolamentazione dei rapporti con il genitore non convivente non può avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori, bensì deve essere il risultato di una oculata valutazione del giudice del merito che, partendo dall'esigenza di garantire al minore la situazione più adeguata al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena, tenga anche conto del suo diritto a una significativa e piena relazione con entrambi i genitori e del diritto di questi ultimi a una piena realizzazione del loro rapporto con i figli e all'esplicazione del loro ruolo educativo.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


AFFIDO CONDIVISO: I CHIARIMENTI DELLA CASSAZIONE (ORDINANZA N. 3652 DEL 2020)

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La Legge n. 54 del 2006 e successive modifiche ha sancito il principio secondo cui la responsabilità genitoriale sui figli minori deve essere esercitata da entrambi i genitori: le figure genitoriali sono, dunque, poste sullo stesso piano. Al contrario, la scelta dell’affido esclusivo costituisce l’eccezione limitata ai casi di manifesta carenza o inidoneità educativa di un genitore, di sua obiettiva lontananza o di un suo sostanziale disinteresse per il minore. Il diritto alla bigenitorialità è posto al centro della “Convenzione sui diritti dell’Infanzia”, sottoscritta a New York il 20.11.1989 e resa esecutiva in Italia con la legge n. 176 del 1991; questo documento, infatti, riconosce “il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi, di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i suoi genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo” (art. 9, comma 3). Con la risoluzione 2079 del 2015 (firmata anche dal nostro Paese), il Consiglio d’Europa ha invitato gli stati membri a promuovere la shared residence, che sarebbe “quella forma di affidamento in cui i figli dopo la separazione della coppia genitoriale trascorrano tempi più o meno uguali presso il padre e la madre”. Nonostante con sentenza 8 aprile 2019 n. 9764 la Corte di Cassazione abbia chiarito che la bigenitorialità deve portare ad una situazione di fatto idonea a garantire la presenza di ciascun genitore nella quotidianità del minore, con l’ordinanza n. 3652/2020, è tornata a ribadire il principio del collocamento “prevalente”. Collocamento “prevalente” vuol dire che l'affidamento del figlio sarà condiviso fra i genitori, ma lo stesso risiederà stabilmente presso uno di essi, il prescelto; dunque, il genitore collocatario avrà l'affidamento del figlio in percentuale maggiore rispetto all'altro. Nel caso di specie, il Tribunale di Reggio Calabria aveva affidato la figlia minore ad entrambi i genitori, con residenza prevalente presso la madre e l'assegnazione a quest'ultima della casa familiare, regolando conseguentemente i tempi di frequentazione del padre. In appello, il padre, opponendo a questa decisione, aveva chiesto che la figlia convivesse in maniera paritaria con entrambi i genitori. La Corte territoriale aveva respinto il ricorso, ritenendo che lo spostamento della residenza della minore, in tenera età, avrebbe causato un inutile turbamento alla sua attuale condizione di convivenza con la madre. Il padre aveva fatto così ricorso in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 337 ter c.c., oltre ad errori e omissioni da parte dei giudici di appello. Soprattutto, non sarebbe stata valutata la circostanza relativa ai turni lavorativi della madre, documentati dalla stessa nel procedimento di primo grado, e altre circostanze relative alla relazione tra i due ex conviventi e tra ciascuno di essi e la figlia. Con detta ordinanza la Suprema Corte conferma che nel momento in cui il giudice dispone l'affido condiviso di un minore, i genitori non possono pretendere che i tempi da trascorrere con il proprio figlio debbano essere perfettamente divisi a metà in base a un calcolo aritmetico. È necessario innanzitutto tener conto del diritto del minore a crescere in modo sano ed equilibrato. Di fronte a questo interesse primario vengono meno le problematiche lavorative dei genitori. “La regolamentazione dei rapporti fra genitori non conviventi e figli minori non può avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori ma deve essere il risultato di una valutazione ponderata del giudice del merito che, partendo dalla esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena, tenga anche conto del suo diritto a una significativa e piena relazione con entrambi i genitori e del diritto di questi ultimi a una piena realizzazione della loro relazione con i figli e all’esplicazione del loro ruolo educativo”, hanno affermato gli Ermellini. Ai fini della decisione sull’affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice deve compiere nel loro esclusivo interesse morale e materiale, riguarda le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione causata dalla disgregazione dell'unione. Rilevano il modo in cui i genitori hanno in precedenza svolto i propri compiti, le capacità di relazione affettiva, di attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un costante rapporto, le abitudini di vita di ciascun genitore e l'ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore (Cass. Civ., ordinanza 10 dicembre 2018, n. 31902).

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


ASSEGNO DI MANTENIMENTO AI FIGLI: PER LA CASSAZIONE, TERMINATI GLI STUDI, È OBBLIGATORIO RENDERSI AUTONOMI

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Finiti gli studi, i figli hanno il dovere di trovare un’occupazione e rendersi autonomi. Senza coltivare velleità incompatibili con il mutato mercato del lavoro, in quanto l’assegno di mantenimento ha una funzione educativa e non è un’assicurazione. Ciò è quanto recentemente espresso dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 17183 del 14 agosto 2020. Si tratta di un provvedimento, apparentemente volto solamente a porre dei limiti temporali al diritto dei figli maggiorenni ad essere mantenuti dei genitori, ma che prende, in realtà, una posizione del tutto innovativa su diversi aspetti direttamente e indirettamente collegati al mantenimento dei figli di qualsiasi età, ai diritti-doveri dei genitori e all’affidamento condiviso. L’ordinanza 17183/2020 costituisce una tappa fondamentale nell’interpretazione delle norme sull’affidamento. La quaestio nasce dal ricorso di una madre che contestava una decisione della Corte di Appello, con la quale veniva revocato l’assegno di mantenimento, versato per anni dall’ex marito, al figlio trentenne. Il ragazzo in questione è un insegnante di musica precario, il quale percepisce circa 20mila euro all'anno come supplente. Gli ermellini hanno revocato anche l'assegnazione della casa coniugale. La ratio è chiara: l’assegno di mantenimento non ha una funzione di assistenzialismo, bensì deve servire per responsabilizzare i ragazzi. Pertanto i figli, terminati gli studi, non possono inseguire per sempre le proprie aspirazioni contando sul sostegno dei genitori. Dunque, nonostante i contratti precari, gli stipendi bassi e i mutui quasi impossibili da ottenere, i figli devono cercare di rendersi indipendenti da questi ultimi. La Cassazione ha sottolineato che una rivoluzione culturale è necessaria anche nel rapporto genitori-figli. Ciò significa che si deve passare da un’ottica di assistenzialismo, dalla quale trarrebbero vantaggio quelli che vengono denominati in modo dispregiativo “bamboccioni”, a quella di una diffusa autoresponsabilità. In questo caso, secondo i giudici, spettava al trentenne "ridurre le proprie ambizioni adolescenziali" e fare i conti con la realtà. Al di sopra dei trent’anni è lecito presumere che un figlio abbia completato la propria formazione, nonché abbia avuto il tempo per trovare di che mantenersi. La Corte, prendendo le distanze dalla prassi, sostiene che le ambizioni di un figlio ben possono ridimensionarsi in nome della dignità di una propria autonomia e in nome dell’obbligo morale di non chiedere propri genitori un sacrificio maggiore di quello che si è disposti a fare in prima persona. E dà risposta anche al diffuso alibi dei maggiorenni: non avere trovato una occupazione adeguata alle ambizioni legittimamente coltivate, visti i propri titoli di studio, prendendo le distanze anche da precedenti di legittimità (ad. es. Cass 1830/2011, che subordina la rinuncia al contributo alla "percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita"). Per la Suprema Corte, la maggiore età si associa alla capacità di adattarsi a svolgere un lavoro che renda autosufficienti. E anche per gli studenti che si laureano in ritardo il tribunale ha richiamato esplicitamente il divieto di "abuso di diritto": occorre laurearsi in tempo, evitando in tal modo di allungare i tempi. Questo principio era già stato precedentemente chiarito da un’altra pronuncia della Corte di Cassazione, ossia la sentenza numero 3659 del 13 febbraio 2020: un genitore che abbia versato all'ex coniuge l’assegno di mantenimento per i figli, dopo che questi hanno raggiunto la piena autonomia, ha diritto alla restituzione di quel denaro. I genitori insomma posso chiedere un risarcimento, e la legge sarebbe dalla loro parte. La Corte ha sottolineato che l’erogazione dell’assegno di mantenimento nei confronti del figlio maggiorenne, ma economicamente non autosufficiente, è subordinata alla valutazione da parte del giudice di una serie di circostanze, come, ad esempio, la durata effettiva del percorso di studi intrapreso, la compatibilità dello stesso con le possibilità economiche dei genitori, le occupazioni del soggetto interessato e il tempo mediamente necessario a trovare un lavoro retribuito al termine degli studi. Al fine della valutazione, assume particolare importanza anche l’età del figlio. In particolare, i giudici hanno stabilito che il rigore adottato nella valutazione dovrà essere proporzionale all’età dei beneficiari, in modo da evitare che l’obbligo di versamento venga protratto per troppi anni, scongiurando così fenomeni che la giurisprudenza ha definito di “parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani” (Cass. 6 aprile 1993, n. 4108). Il recente provvedimento della Cassazione rappresenta una pietra miliare nella storia recente del diritto di famiglia, collocandosi fra le tre più importanti decisioni che disciplinano l’affidamento condiviso, insieme alla sentenza n. 16593 del 2009 - che affermava l’irrilevanza della conflittualità tra i genitori ai fini dell’applicazione dell’istituto - e alla n. 23411 del 2008, che riconosceva la priorità della forma diretta del mantenimento e la residualità dell’assegno.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'