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VA ASSOLTO IL PADRE CHE MANTIENE PARZIALMENTE LA PROLE

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Con la sentenza n. 893 del 12 gennaio 2021 la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata ancora una volta in tema di mantenimento dei figli, stabilendo che non può essere condannato il padre che versa soltanto una parte del mantenimento nei periodi in cui i figli sono con lui, perché provvede a tutte le loro necessità. Nel caso in esame, la Corte di Appello di Palermo confermava la responsabilità penale dell'imputato in ordine al reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o scioglimento del matrimonio di cui all'art. 570 bis c.p. Il caso approdava in Corte di Cassazione, davanti alla quale il ricorrente, tra i vari motivi, lamentava la violazione di legge ed i vizi di motivazione in relazione alla mancata applicazione dell’articolo 131 bis c.p., che la Corte distrettuale aveva negato in ragione della ritenuta abitualità della condotta e senza prendere in considerazione il fatto che l’omesso versamento dell’assegno di mantenimento era stato non totale, bensì parziale e che il genitore aveva direttamente provveduto ai bisogni della prole nei periodi trascorsi presso di lui. Il Tribunale Supremo, ritenendo il ricorso fondato, annullava con rinvio la sentenza impugnata con la quale era stata negata l’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. in ordine al reato di cui all’art. 570-bis cod. pen. in ragione della ritenuta abitualità della condotta e senza considerare la limitata durata dell’arco temporale in cui si era manifestato l’omesso versamento dell’assegno di mantenimento, la prova positiva dell’avvenuto assolvimento dell’obbligazione quantomeno per la frazione riferita al versamento dell’assegno di mantenimento, la prestazione in forma diretta del sostegno economico resa in favore dei minori nei periodi in cui si erano trasferiti presso l’abitazione del genitore in corrispondenza della peraltro ammessa decurtazione dell’importo dell’emolumento e il soddisfacimento in tali periodi di tutte le esigenze dei minori, la cui incidenza sulla ripartizione delle spese straordinarie era rimasta di fatto non verificata. Dunque, l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. non può essere negata in ragione della abitualità della condotta contestata, bensì è necessario effettuare un approfondimento valutativo sulla base della fattispecie concreta.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


CHI COMPRA IL CELLULARE A PREZZO TROPPO BASSO PUÒ COMMETTERE IL REATO DI ACQUISTO DI COSE DI SOSPETTA PROVENIENZA

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Sovente, volendo risparmiare nel fare un acquisto, ci si rivolge a dei conoscenti. Nel momento in cui però questi ultimi offrono un prezzo esageratamente basso su un prodotto che vendono come nuovo, occorre prestare attenzione, in quanto il bene potrebbe essere di illecita provenienza. Con la sentenza n. 37824 del 30 dicembre 2020 la seconda Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in merito al reato di acquisto di cose di sospetta provenienza, che trova la sua disciplina nell’articolo 712 c.p. Detto articolo al primo comma stabilisce che “chiunque, senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose, che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per la entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da reato, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda non inferiore a euro 10”. La Suprema Corte ha stabilito che commette il reato in questione chi compra a un prezzo stracciato un telefonino come nuovo da un conoscente. Nel caso in esame un imputato veniva condannato dal Tribunale di Catania alla pena di euro 500,00 di ammenda per aver commesso il reato di cui all’art. 712 c.p. (acquisto di cose di sospetta provenienza). L’imputato ricorreva in Cassazione, davanti alla quale sollevava i seguenti tre motivi: • con la prima censura il ricorrente lamentava la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità, considerato che dalle circostanze processuali non era emerso alcun profilo che potesse essere ricollegato alla colpa; • con la seconda censura eccepiva invece la violazione di legge e il vizio di motivazione relativamente alla mancata applicazione dell'art. 131-bis cod. pen.; • infine, con la terza censura contestava la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna. Il Tribunale Supremo, dichiarando il ricorso inammissibile, condannava l’uomo al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. In particolare, affermava che il Tribunale aveva “correttamente posto a base della sua decisione il principio giuridico secondo il quale per la integrazione dell'elemento psicologico del reato occorre dimostrare che l'agente non abbia usato la diligenza dell'uomo medio nella verifica della legittima provenienza del bene acquistato”. Inoltre, la Corte territoriale aveva negato la causa della non punibilità per particolare tenuità del fatto, in quanto l'offesa al bene protetto non risultava particolarmente tenue stante il valore economico del cellulare all'epoca dei fatti. In ultimo, l’imputato non poteva dolersi relativamente alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna, dal momento che il beneficio in questione non risultava né dalla memoria allegata al ricorso, né tantomeno dalle conclusioni adottate dal suo legale.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'