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IL DIRITTO ALL’OBLIO SU INTERNET

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Con l’avvento di internet gli utenti della rete possono pubblicare notizie, foto, video, audio ecc. relativi a soggetti terzi. È peraltro possibile che il diretto interessato ritenga che questi contenuti siano dannosi per la propria reputazione, oltreché lesivi della sua privacy. Una volta pubblicate sul web, queste notizie possono essere facilmente reperite da chiunque utilizzi i classici motori di ricerca (ad esempio, Google): tale meccanismo informatico è la “indicizzazione”, che permette, appunto, di trovare agevolmente pagine o siti internet presenti nelle banche dati dei motori di ricerca online. Basta inserire alcune parole chiave nell’apposito canale di ricerca, nome e cognome di una persona, affinché tra i risultati compaiano i “link” a siti internet e, di conseguenza, ad articoli o contenuti multimediali. In tali ipotesi il diretto interessato, per evitare che notizie pregiudizievoli ed offensive continuino ad essere di pubblico dominio, può ottenere, a certe condizioni, la rimozione dai motori di ricerca di tutti i link e riferimenti che rimandano ai contenuti online in questione, invocando il c.d. “diritto all’oblio”. Il meccanismo che permette la rimozione di tali link dai motori di ricerca e, di conseguenza, l’impossibilità di trovare agevolmente certi contenuti presenti in rete, è la “deindicizzazione”. È doveroso sottolineare che la deindicizzazione non comporta l’eliminazione della notizia pregiudizievole: per poterla eliminarla sarà necessario rivolgersi direttamente al responsabile del trattamento di quel dato specifico. Per procedere a ciò, devono necessariamente concorrere due condizioni: • possibilità di contemperare il diritto alla reputazione e alla riservatezza del privato, nonché il diritto di cronaca e l’interesse pubblico alla conoscenza di certe informazioni; • il link di cui si chiede la rimozione deve riferirsi a notizie risalenti nel tempo (qualche anno). Il diritto all’oblio è stato oggetto di diverse pronunce in sede giurisdizionale. La Suprema Corte di Cassazione, pronunciandosi in materia, ha statuito che “il soggetto titolare dei dati personali oggetto di trattamento deve ritenersi titolare del diritto all'oblio anche in caso di memorizzazione nella rete Internet, mero deposito di archivi dei singoli utenti che accedono alla rete e, cioè, titolari dei siti costituenti la fonte dell'informazione. A tale soggetto, invero, deve riconoscersi il relativo controllo a tutela della propria immagine sociale che, anche quando trattasi di notizia vera, e a fortiori se di cronaca, può tradursi nella pretesa alla contestualizzazione e aggiornamento dei dati, e se del caso, avuto riguardo alla finalità di conservazione nell'archivio ed all'interesse che la sottende, finanche alla relativa cancellazione” (Cass. Civ., sez. III, n. 5525/2012). Afferma infatti la Suprema Corte che “se l'interesse pubblico sotteso al diritto all'informazione (art. 21 Cost.) costituisce un limite al diritto fondamentale alla riservatezza (artt. 21 e 2 Cost.), al soggetto cui i dati pertengono è correlativamente attribuito il diritto all'oblio (Cass., n. 3679/1998), e cioè a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati. Atteso che il trattamento dei dati personali può avere ad oggetto anche dati pubblici o pubblicati (Cass., n. 11864/2004), il diritto all'oblio salvaguarda in realtà la proiezione sociale dell'identità personale, l'esigenza del soggetto di essere tutelato dalla divulgazione di informazioni (potenzialmente) lesive in ragione della perdita (stante il lasso di tempo intercorso dall'accadimento del fatto che costituisce l'oggetto) di attualità delle stesse, sicché il relativo trattamento viene a risultare non più giustificato ed anzi suscettibile di ostacolare il soggetto nell'esplicazione e nel godimento della propria personalità. Il soggetto cui l'informazione oggetto di trattamento si riferisce ha in particolare diritto al rispetto della propria identità personale o morale, a non vedere cioè «travisato o alterato all'esterno il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale» (Cass., n. 7769/1985), e pertanto alla verità della propria immagine nel momento storico attuale”. Infine, la Suprema Corte, con ordinanza n. 7559/2020, ritiene sufficiente ed idoneo il rimedio della deindicizzazione della notizia con mantenimento della stessa nell’archivio cartaceo e digitale del giornale. Il risultato così raggiunto permette infatti di evitare di far rinvenire notizie mediante una ricerca meramente esplorativa (si pensi alla ricerca che un datore di lavoro può fare nei confronti di un aspirante dipendente immettendo in Google soltanto il nome e cognome oppure alla ricerca che può eseguire un soggetto prima di concludere un contratto con un altro soggetto). La richiesta di deindicizzazione va rivolta direttamente al titolare del motore di ricerca da cui si vogliono eliminare i link in questione. Qualora il destinatario della richiesta di cancellazione rimanga inadempiente, l’interessato può rivolgersi direttamente al Garante della Privacy o all’Autorità Giudiziaria.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Il diritto all'oblio diventa legge

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Il diritto all’oblio oncologico è legge Approvazione della disciplina sul diritto di coloro che sono stati affetti da patologie oncologiche a non subire discriminazioni a causa del loro stato di salute, in particolare per ciò che riguarda l'accesso ai servizi bancari, assicurativi e alle procedure di adozione

Finalità della legge Dopo la conferma della Camera, il 5 dicembre u.s. è arrivato il via libera anche da parte del Senato all’approvazione del disegno di legge n. 851, recante “Disposizioni per la prevenzione delle discriminazioni e la tutela dei diritti delle persone che sono state affette da malattie oncologiche”. Riguardo a tale DDL, il Senato spiega che il nuovo testo normativo “affronta una questione molto delicata e sempre più avvertita nella coscienza civile e nel dibattito pubblico in Italia e in Europa: il diritto di coloro che sono stati affetti da patologie oncologiche a non subire, dopo la guarigione, discriminazioni a causa del loro stato di salute, in particolare per ciò che riguarda l'accesso ai servizi bancari e assicurativi e alle procedure di adozione”. Invero, prosegue il Senato nella presentazione del DDL in esame, la legislazione vigente, nonché la prassi contrattuali utilizzata dagli operatori economici, prevedono la possibilità di compiere indagini in ordine allo stato di salute dei contraenti e dei soggetti coinvolti in determinati ambiti e richieste, come ad esempio quello attinente all’adozione. Per rappresentare la centralità che la tematica assume anche sul piano europeo, il Senato riferisce quanto richiesto dal Parlamento europeo sul punto, ovvero “che entro il 2025, al più tardi, tutti gli Stati membri garantiscano il diritto all'oblio a tutti i pazienti europei dopo dieci anni dalla fine del trattamento e fino a cinque anni dopo la fine del trattamento per i pazienti per i quali la diagnosi è stata formulata prima dei 18 anni di età”. In ragione di quanto sopra, il DDL approvato dal Parlamento detta specifiche disposizioni volte ad assicurare la parità di trattamento per gli ex pazienti oncologici, in attuazione degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, degli articoli 7, 8, 21, 35 e 38 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nonché dell'articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Il contenuto del testo Di seguito si riporta una breve descrizione degli aspetti più rilevanti del nuovo testo normativo, rinviando per il relativo approfondimento alla lettura del testo di legge.

L'articolo 1 enuncia le finalità della legge, stabilendo, come sopra anticipato, che “Al fine di escludere qualsiasi forma di pregiudizio o disparità di trattamento, la pre¬sente legge reca disposizioni in materia di parità di trattamento, non discriminazione e garanzia del diritto all’oblio delle persone guarite da patologie oncologiche”. Precisando altresì che “Per « diritto all’oblio oncologico » si intende il diritto delle persone guarite da una patologia oncologica di non fornire in¬formazioni né subire indagini in merito alla propria pregressa condizione patologica”, nei casi indicati dal DDL stesso, ovvero in tema di accesso all'adozione di minori e di servizi bancari e assicurativi.

L'articolo 2 scende nel dettaglio degli obiettivi che la legge persegue in materia bancaria e assicurativa. In particolare, la norma stabilisce che “non è ammessa la ri¬chiesta di informazioni relative allo stato di salute della persona fisica contraente concer¬nenti patologie oncologiche da cui la stessa sia stata precedentemente affetta e il cui trattamento attivo si sia concluso, senza epi¬sodi di recidiva, da più di dieci anni alla data della richiesta. Tale periodo è ridotto della metà nel caso in cui la patologia sia insorta prima del compimento del ventune¬simo anno di età”.

L'articolo 3, invece, apporta delle modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di procedure di adozione. Nel dettaglio, il comma 4 dell'articolo 22 della suddetta legge, viene modificato come segue “Le indagini (..) concernenti la salute dei richiedenti non possono riportare informazioni relative a patologie oncologiche pregresse quando siano trascorsi più di dieci anni dalla conclusione del trattamento attivo della patologia, in assenza di recidive o ricadute, ovvero più di cinque anni se la patologia è insorta prima del compimento del ventunesimo anno di età”. L'articolo 4, infine si occupa di disciplinare l’”Accesso alle procedure concorsuali e selettive, al lavoro e alla formazione professionale”, stabilendo, in particolare che “è fatto divieto di richiedere informazioni relative allo stato di salute dei candidati medesimi concernenti patologie oncologiche da cui essi siano stati precedentemente affetti e il cui trattamento attivo si sia concluso, senza episodi di recidiva, da più di dieci anni alla data della richiesta. Tale periodo è ridotto della metà nel caso in cui la patologia sia insorta prima del compimento del ventune¬simo anno di età”.