Le fonti normative internazionali hanno da sempre dedicato grande attenzione ai diritti del minore, i quali trovano sanzione e tutela in numerosi atti. Fra questi, emerge la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, che è stata adottata a New York dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 ed è stata poi ratificata in Italia con legge n. 176 del 27 maggio 1991.
Essa è composta da 54 articoli e contiene un vasto repertorio di diritti (sezione I, artt. 1-41), un sistema di garanzie (sez. II, artt. 42-45) e norme di attuazione (sez. III, artt. 46-54). Il Preambolo spiega i motivi per cui è stata stesa la Convenzione. Esso prende in considerazione: a) la Carta delle Nazioni Unite del 1945; b) la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948; c) la necessità di far crescere i bambini all'interno di un ambiente familiare sano e sereno; d) l'idea di dover rivolgere particolare attenzione e protezione ai bambini, come dichiarato anche sulla Dichiarazione dei diritti del fanciullo (1959), nella convenzione di Ginevra (1924) e nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (1948); e) la consapevolezza che ci siano bambini che hanno bisogno di particolari attenzioni perché in seria difficoltà; f) l'importanza della cooperazione internazionale.
Secondo il Documento, il fanciullo è ogni essere umano di età inferiore ai 18 anni, o che comunque non abbia raggiunto la maggiore età se quest’ultima è fissata prima dei 18 anni in un paese specifico.
La Convenzione è stata elaborata armonizzando differenti esperienze culturali e giuridiche, dopo quasi dieci anni di lavori preparatori. Essa rappresenta un testo giuridico di fondamentale importanza, in quanto riconosce, in forma coerente, tutti i bambini e tutte le bambine del mondo come titolari di diritti civili, sociali, politici, culturali ed economici. Da ciascun diritto enunciato nella Convenzione di New York derivano obblighi specifici, cui gli stati devono rispondere mediante adeguate misure amministrative, legislative, giudiziarie e di altra natura.
Completano il Documento tre Protocolli opzionali, approvati tra il 2000 e il 2011, riguardanti i bambini in guerra, lo sfruttamento sessuale e le procedure di reclamo.
Sono quattro i diritti fondamentali dettati dalla Convenzione di New York: 1) NON DISCRIMINAZIONE DEL MINORE (art. 2): i diritti sanciti dalla Convenzione devono essere garantiti a tutti i minori, senza distinzione di razza, sesso, lingua, religione, opinione del bambino o dei genitori. 2) SUPERIORE INTERESSE (art. 3): prevede che in ogni decisione, azione legislativa, provvedimento giuridico, iniziativa pubblica o privata di assistenza sociale, l’interesse superiore del minore deve essere una considerazione preminente. 3) DIRITTO ALLA VITA, ALLA SOPRAVVIVENZA E ALLO SVOLUPPO (art. 6): gli Stati devono impegnare il massimo delle risorse disponibili al fine di salvaguardare la vita e il sano sviluppo dei bambini, anche attraverso la cooperazione tra Stati. 4) ASCOLTO DELLE OPINONI DEL MINORE (art. 12): prevede il diritto del bambino ad essere ascoltato in tutti i processi decisionali che lo riguardano e prevede, per gli adulti, il corrispondente dovere di tenere in adeguata considerazione le sue opinioni.
In alcuni casi, l'art. 3 è in contraddizione con l'art. 12, in quanto spesso genitori ed educatori si oppongono all'autonomia del bambino. La Convenzione ONU dei Diritti del Bambino protegge diritti e doveri dei genitori nel crescere e nell'educare i propri figli (art. 5, 7, 9). Il genitore deve in ogni caso valutare lo sviluppo e le capacità del figlio. Tuttavia, il minore ha diritto a esprimere la propria opinione senza pressione o influenza esterna (pena, in caso contrario, la possibilità di non prendere legalmente in considerazione l'opinione). I genitori hanno, inoltre, l'obbligo di porre attenzione anche a modo di porre le domande, in quanto anche questo potrebbe intimidire il bambino e influenzarlo nelle risposte. L'importanza data all'opinione del bambino è direttamente proporzionale alla scelta da prendere.
La Convenzione presenta anche un meccanismo di controllo sull'operato degli Stati, tenuti a presentare periodicamente al Comitato ONU sui Diritti dell'infanzia, organismo istituito dalla Convenzione stessa, dei rapporti dettagliati sull'attuazione dei diritti dei bambini e degli adolescenti nel proprio territorio.
Il nostro Paese ha presentato tra il 1994 e il 2017 quattro rapporti periodici sull'applicazione della Convenzione (ai quali si aggiungono due rapporti sull'applicazione dei Protocolli facoltativi), ricevendo dal Comitato le relative Osservazioni Conclusive, che, oltre ad apprezzamenti per i progressi compiuti, contengono anche raccomandazioni per il superamento delle aree di criticità.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Le Sezioni Unite ammettono la possibilità di costituire servitù di parcheggio su fondo altrui purchè sia attribuito un vantaggio in favore di altro fondo per la sua migliore utilizzazione
L’utilità della servitù di parcheggio
La vicenda prende avvio dalla decisione emessa dalla Corte d’appello di Venezia con cui veniva confermata la sentenza di primo grado in ordine al rigetto della domanda di nullità della servitù di parcheggio temporaneo, transito e manovra di automezzi in genere. Sul punto il Giudice di secondo grado aveva in particolare rilevato come l’appellante non avesse “dato adeguata prova della carenza di utilità della servitù, utilità che invece è data proprio dalla possibilità di fornire piazzali adeguati alla azienda (…) essa, quindi, consiste nel più comodo sfruttamento del fondo dominante a vocazione industriale, e può concretizzarsi anche in maggiore amenità e comodità”.
Avverso tale decisione la parte interessata alla dichiarazione di nullità della servitù di parcheggio aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.
Il contrasto giurisprudenziale in ordine alle servitù di parcheggio
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 3925/2024, prima di pronunciarsi in ordine alla specifica questione oggetto del ricorso sottoposto alla sua attenzione, ha ripercorso gli orientamenti interpretativi formatesi in ordine all’ammissibilità o meno delle servitù di parcheggio.
A tal proposito, la Corte ha ricordato un primo orientamento formatosi a partire dal 2004, secondo cui “il parcheggio di autovetture su di un'area può costituire legittima manifestazione di un possesso a titolo di proprietà del suolo, ma non anche estrinsecazione di un potere di fatto riconducibile al contenuto di un diritto di servitù, diritto caratterizzato dalla cosiddetta "realitas", intesa come inerenza al fondo dominante dell'utilità così come al fondo servente del peso, mentre la mera "commoditas" di parcheggiare l'auto per specifiche persone che accedano al fondo (anche numericamente limitate) non può in alcun modo integrare gli estremi della utilità inerente al fondo stesso, risolvendosi, viceversa, in un vantaggio affatto personale dei proprietar”.
In contrapposizione alla suddetta interpretazione, la Corte ha fatto riferimento alla prevalente dottrina che si era invece espressa favorevolmente alla costituzione di servitù di parcheggio. Tale orientamento, ha evidenziato la Corte, aveva costantemente “osservato che nell’ipotesi di costituzione di servitù di parcheggio, la facoltà di parcheggiare l’auto sul fondo servente è certamente idonea ad arrecare una utilità al singolo, ma allo stesso tempo arreca un vantaggio per il fondo dominante rendendolo maggiormente utilizzabile”. Rispetto a tali servitù, ha spiegato la dottrina, oltre ai consueti requisiti richiesti dalla legge, è anche necessario che la servitù soddisfi “un’utilità specifica e quindi deve costituire un vantaggio diretto per il fondo dominante, uno strumento per migliorare l’utilizzazione di quest’ultimo”.
Dopo aver approfondito i contrapposti orientamenti, le Sezioni Unite hanno messo in luce come la questione “si pone quindi non già in termini di configurabilità in astratto della servitù di parcheggio, ma di previsione, in concreto, di un vantaggio a favore di un fondo cui corrisponda una limitazione a carico di un altro fondo, come rimodulazione dello statuto proprietario, a carattere tendenzialmente perpetuo”.
L’ammissibilità delle servitù di parcheggio
Posto i suddetti orientamenti interpretativi, le Sezioni Unite hanno dichiarato di voler aderire alla tesi favorevole alla costituzione delle servitù di parcheggio. A tal proposito, la Corte ha affermato che “La tesi favorevole alla costituzione della servitù, oltre ad essere in linea con il sistema, esalta in definitiva il fondamentale principio dell’autonomia negoziale (art. 1322 cc) che, si badi bene, non sfocia in una libertà illimitata, dovendosi sempre confrontare con il limite della meritevolezza di tutela degli elementi dell’accordo”.
Oltre a tali elementi, ha messo in rilievo la Corte, devono essere anche rispettati gli ulteriori requisiti dello “ius in re aliena quali l'altruità della cosa, l'assolutezza, l'immediatezza (..), l'inerenza al fondo servente (..) l'inerenza al fondo dominante (..) la specificità dell'utilità riservata, la localizzazione intesa quale individuazione del luogo di esercizio della servitù affinché non si incorra nella indeterminatezza dell’oggetto e nello svuotamento di fatto del diritto di proprietà”.
Al termine del proprio esame e nel dirimere il contrasto giurisprudenziale formatosi sul punto, le Sezioni Unite hanno quindi riaffermato il seguente principio di diritto: “In tema di servitù, lo schema previsto dall’art. 1027 c.c. non preclude la costituzione, mediante convenzione, di servitù avente ad oggetto il parcheggio di un veicolo sul fondo altrui purché, in base all’esame del titolo e ad una verifica in concreto della situazione di fatto, tale facoltà risulti essere stata attribuita come vantaggio in favore di altro fondo per la sua migliore utilizzazione e sempre che sussistano i requisiti del diritto reale e in particolare la localizzazione”.
La Corte ha poi concluso il proprio esame in ordine ai diversi motivi d’impugnazione proposti dal ricorrente, accogliendo il primo ed il terzo e dichiarando assorbiti i restanti.