Demansionamento illegittimo e risarcimento del danno

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3131 del 2 febbraio 2023, ha specificato che in caso di demansionamento illegittimo del dipendente, quest’ultimo ha diritto al risarcimento del danno pari al 25% della retribuzione percepita nel periodo del demansionamento. I giudici d’appello confermavano la sentenza di primo grado che, dopo aver accertato l’illegittimità del mutamento di mansioni disposto dalla società Gamma nei confronti di Sempronia, aveva condannato la datrice di lavoro a riassegnare la dipendente alle mansioni in precedenza svolte o ad altre equivalenti, nonché al risarcimento del danno quantificato in via equitativa in 12.290,75 euro, corrispondente al 25% della retribuzione all'epoca goduta per ciascun mese di demansionamento. La società Gamma si rivolgeva alla Suprema Corte lamentando, in particolare, la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2103, comma 2, c.c. e dell'art. 41 Cost. censurando la sentenza impugnata in base alla considerazione che erano state esaminate circostanze non rilevanti ai fini della valutazione del rispetto della norma codicistica e che la Corte territoriale, in violazione del principio costituzionale di libertà di iniziativa economica, si era sostituita alla valutazione, spettante alla società, circa la complessiva utilità dell'operazione, come non consentito. I giudici di piazza Cavour, nel ritenere la censura inammissibile, evidenziavano che l’art. 2103 c.c. contempla l’assegnazione del prestatore a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella stessa categoria legale, soltanto qualora intervenga una modifica degli assetti organizzativi dell’azienda, incidente sulla posizione del lavoratore; contrariamente, si configura un demansionamento illegittimo per il quale il lavoratore può chiedere il risarcimento del danno. Per gli Ermellini, nella vicenda esaminata, i giudici del gravame, piuttosto che sostituirsi alla società nella valutazione di opportunità e convenienza della riorganizzazione, in violazione del principio di libertà economica di cui all'art. 41 Cost., si erano limitati a rilevare l’insussistenza in fatto dei presupposti legali per il demansionamento di Sempronia, senza in alcun modo argomentare circa il diritto o meno della società di procedere alla riorganizzazione. Pertanto, il Tribunale Supremo dichiarava il ricorso inammissibile e condannava parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'