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L’ISTITUTO DEL “SOCCORSO ISTRUTTORIO”

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Il soccorso istruttorio rappresenta una delle espressioni peculiari della dialettica partecipativa tra privato e pubblica amministrazione, e, ancor prima di rivestire un ruolo centrale nelle pubbliche gare di appalto, è un istituto generale del procedimento amministrativo. L’istituto del soccorso istruttorio affonda le sue radici nell’articolo 6 della legge 241/1990, applicabile a qualsiasi procedimento amministrativo e avente lo scopo di colmare lacune documentali, rettificare dichiarazioni o emendare errori che dovessero emergere in fase istruttoria. Nell’ambito delle istruttorie procedimentali, il responsabile del procedimento “può chiedere il rilascio di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali”. Oggi tale istituto è disciplinato dall’art. 83, comma 9, del Codice dei contratti pubblici (disposizione da ultimo modificata dall’articolo 52, comma 1, lettera d), del D.Lgs. n. 56 del 2017) e consente, in sintesi, la sanatoria delle “carenze di qualsiasi elemento formale della domanda”. Il soccorso istruttorio, però, incontra due limiti ben precisi: 1) non sono sanabili le mancanze, le incompletezze e le irregolarità che afferiscono all’offerta economica e a quella tecnica; 2) non sono sanabili quelle carenze della documentazione che non consentono l’individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa. Nel “vecchio” codice degli appalti (l’art. 38, comma 2 bis, del d.lgs. n. 163/2006), l’istituto prevedeva che “la mancanza, l’incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all’uno per mille e non superiore all’uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria. In tal caso, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere. Nei casi di irregolarità non essenziali, ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione, né applica alcuna sanzione. In caso di inutile decorso del termine di cui al secondo periodo il concorrente è escluso dalla gara”. In presenza di irregolarità essenziali la disposizione stabiliva che il concorrente, il quale non voleva essere escluso dalla procedura, dovesse non soltanto pagare la sanzione pecuniaria nell’importo stabilito dal bando di gara e garantito dalla cauzione provvisoria, ma anche inviare nei termini stabiliti dalla stazione appaltante i documenti richiesti. Se poi il termine assegnato dalla stazione appaltante fosse decorso inutilmente senza che il concorrente avesse provveduto alla regolarizzazione o integrazione richiesta, questi veniva escluso dalla procedura di gara, non dovendo pagare la sanzione pecuniaria. Il Consiglio di Stato afferma che l’istituto del soccorso istruttorio possa operare, qualora non sia stato già attivato dalla stazione appaltante in sede di gara, anche nel processo amministrativo, a garanzia del principio di effettività della tutela. L’istituto rappresenta, infatti, uno strumento di rimedio che la stazione appaltante deve attivare al fine di consentire all’operatore economico di integrare la domanda carente di un requisito formale, consentendogli di dimostrare, dunque, il possesso dei requisiti sostanziali per partecipare alla gara. Qualora non sia stata attivata la suddetta doverosa procedura, è il giudice a dover fare la verifica (mancata nel corso della procedura di gara) volta a verificare se il vizio in questione sia esclusivamente formale oppure, al contrario, abbia carattere sostanziale. La circostanza che a effettuare la verifica sia il giudice e non la pubblica amministrazione implica che la stessa potrà essere attuata solo ove si tratti di operare un mero accertamento di sussistenza o meno del requisito mancante (ossia nel caso di attività vincolata); diversamente, se la verifica dovesse comportare anche valutazioni di carattere discrezionale, il giudice dovrà annullare l’aggiudicazione e disporre la riedizione della gara (non potendosi sostituire alla stazione appaltante). Per quanto concerne le modalità processuali, l’impresa, che intenda contestare l’esclusione dalla procedura di gara per mancato ricorso al soccorso istruttorio e invocare validamente in sede processuale lo stesso, deve provare in giudizio che l’istituto avrebbe avuto esito ad essa favorevole, qualora fosse stato attivato dalla stazione appaltante nel corso della gara, possedendo essa il requisito in contestazione. Ciò significa che è a carico del concorrente, nei cui confronti è invocata la sussistenza di una causa di esclusione per carenza dei requisiti di partecipazione, provare che possiede il requisito sostanziale di partecipazione fin dal momento in cui avrebbe dovuto rendere la documentazione di fatto mancante e che, dunque, si è trattato di una mera irregolarità documentale o dichiarativa, in ossequio ai principi generali in materia di riparto dell’onere probatorio ai sensi dell’articolo 2697 cod. civ. e, in particolare, al principio di prossimità o vicinanza della prova (Cons. St., sez. III, sent. n. 348/2019).

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Distanze tra edifici in centro storico: sentenza n. 5830/2021 del Consiglio di Stato

fonte immagine:https://www.ildubbio.news/2021/07/08/vogliono-mettere-il-consiglio-di-stato-scrivere-leggi-ma-non-erano-giudici/

La sentenza n. 5830/2021 del Consiglio di Stato fa chiarezza sulle distanze minime da rispettare in caso di demolizione e ricostruzione di un fabbricato situato in centro storico.

Una società ottiene dal Comune il permesso a costruire per la demolizione e ricostruzione di un fabbricato in pieno centro storico. Alcuni condomini avevano chiesto al Tar Liguria l'annullamento di tale permesso poichè l'intervento edilizio avrebbe violato le distanze minime tra edifici previste dal D.M. 1444/1968, che ha introdotto il limite dei 10 metri di distanza con esclusivo riferimento alle “altre zone” diverse dal centro storico.

Il Tar Liguria accoglie le difese dei vicini, che a sostegno del ricorso avevano dedotto la violazione delle distanze, la mancata valutazione sulla “coerenza” come richiesto dall’art. 24 delle NTA, il difetto di motivazione e di istruttoria in ordine al conseguente incremento del carico urbanistico, la mancanza di legittimazione della società a causa dell’incidenza su beni condominiali (muro di contenimento). Il TAR ha ritenuto che l’intervento di demolizione e ricostruzione non fedele di un fabbricato preesistente, ubicato in zona A, deve reputarsi equiparato dall’art. 14 l.r 16/08 alla “nuova costruzione” così da essere tenuto al rispetto dei 10 metri dalle pareti finestrate salvo le deroghe di cui all’ultimo comma dello stesso articolo, nel caso di specie insussistenti. Secondo il TAR, quindi, l’esigenza sottesa alla disciplina sulle distanze, di evitare intercapedini dannose, "non cambia a seconda delle zone" e che non rileva "se le pareti dei due edifici siano esattamente parallele tra di loro ovvero se le stesse siano, e in che misura, oblique". Non ci sta il Comune che ha rilasciato il permesso a costruire, e propone appello al Consiglio di Stato sulla base di queste motivazioni:

  • il TAR ha erroneamente interpretato la norma di cui all’art. 9 del d.m. 1444/1968 non riguardando essa, contrariamente a quanto opinato in sentenza, le zone A (Centro Storico);
  • l’interpretazione seguita dal TAR è contraria non solo alla lettera della norma, ma anche alla finalità della stessa, che è quella di far prevalere le esigenze di salvaguardia delle caratteristiche urbanistiche dei centri storici imponendo il rispetto delle distanze e delle sagome preesistenti;
  • il TAR non ha considerato che sia la normativa regionale sia la disciplina urbanistica locale prevedevano la possibilità di derogare alla distanza minima di 10 metri con riguardo ai centri storici, anche con riferimento alle nuove costruzioni.

La tesi sostenuta dai vicini e accolta dal Tar Liguria, equiparava l’intervento di demolizione e ricostruzione alla “nuova costruzione”, e applicava per analogia la previsione del n. 2 dell’art. 9 D.M. 1444/1968 prevista per i “nuovi edifici”. Il motivo di fondo, accolto dal TAR, era che la ragione a fondamento della norma sulle distanze, (ovvero quella di evitare le intercapedini), fosse valida in tutte le zone, e quindi anche in centro storico.

Per i giudici di Palazzo Spada, l’art. 9 n. 2 del Dm 1444/1968 è chiaro: la distanza di 10 mt si riferisce a “nuovi edifici ricadenti in altre zone”, cioè in zone diverse dalla zona A. Non può farsi applicazione analogica di una norma che introduce un divieto o una limitazione. Per il Consiglio di Stato, la differenza prevista dall’art. 9 è frutto della volontà del legislatore e non di una sua dimenticanza. La ragione della differenziazione sta nel fatto che in centro storico non sono mai permesse nuove costruzioni, ma solo interventi sul preesistente. E quello effettuato dalla società, sulla base del c.d. Piano Casa regionale (L.r. 49/2009) era appunto un intervento di demolizione e ripristino in sito dell’esistente, con un aumento consentito dalla legge regionale fino al 35%.

Precisa ulteriormente il Supremo Collegio che “la classificazione dell’intervento quale costruzione ex novo non può derivare dalla semplice circostanza che il progetto di demolizione e ricostruzione del fabbricato preveda la realizzazione di ampliamenti della volumetria preesistente”. Una ristrutturazione può essere qualificata “nuova costruzione” quando “in ragione all’entità delle modifiche apportate al volume e alla collocazione, possa parlarsi di una modifica radicale dell’immobile, rendendo l’opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente (Cons. St. 2304/2020)”.

Al contrario, si tratta di ristrutturazione ediliziaquando viene modificato un immobile già esistente nel rispetto delle caratteristiche fondamentali dello stesso, mentre laddove esso sia stato totalmente trasformato, con conseguente creazione non solo di un apprezzabile aumento volumetrico (in rapporto al volume complessivo dell’intero fabbricato), ma anche di un disegno sagomale con connotati alquanto diversi da quelli della struttura originaria ( …) l’intervento rientra nella nozione di nuova costruzione” (Cons. Stato 423/2021).