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Diritto di abitazione del coniuge superstite: alcune sentenze rilevanti

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Il diritto reale di abitazione, riservato al coniuge superstite dall’art. 540, comma 2, c.c., ha ad oggetto la sola “casa adibita a residenza familiare”, e cioè l'immobile in cui i coniugi abitavano insieme stabilmente prima della morte del de cuius, quale luogo principale di esercizio della vita matrimoniale; ne consegue che tale diritto non può comprendere due (o più) residenze alternative, ovvero due (o più) immobili di cui i coniugi avessero la disponibilità e che usassero in via temporanea, postulando la nozione di casa adibita a residenza familiare comunque l’individuazione di un solo alloggio costituente, se non l’unico, quanto meno il prevalente centro di aggregazione degli affetti, degli interessi e delle consuetudini della famiglia. (Cass. Civ. Sez. II, 10/03/2023, n. 7128)

La permanenza del coniuge superstite nella abitazione familiare, pertanto, sia nell'ipotesi di successione testamentaria che di successione legittima, è qualificabile come esercizio del diritto di abitazione e di uso, e quindi prescinde dall'ulteriore qualità di chiamato all'eredità, con la conseguenza che deve escludersi, in capo al coniuge, la qualità di possessore dei beni ereditari per gli effetti previsti dall'art. 485 c.c. (Trib. Napoli Sez. VIII, 15/02/2023, n. 1666)

Il solo fatto della permanenza del coniuge superstite nella casa familiare già in proprietà del de cuius non può di per sé ritenersi una manifestazione di possesso dei beni ereditari, potendo esso manifestare l'esercizio dei diritti di abitazione e di uso attribuiti dall'art. 540 comma 2 c.c. (App. Napoli Sez. VI, 25/05/2022, n. 2310)

Il diritto di abitazione nella casa adibita a residenza familiare, sancito dall’art. 540 c.c. in favore del coniuge sopravvissuto, sussiste qualora detto cespite sia di proprietà del “de cuius” ovvero in comunione tra questi ed il coniuge superstite, mentre esso, al contrario, non sorge ove il bene sia in comunione tra il coniuge deceduto ed un terzo, non essendo in questo caso realizzabile l’intento del legislatore di assicurare, in concreto, al coniuge sopravvissuto il godimento pieno del bene oggetto del diritto; in tale ultima evenienza, peraltro, non spetta a quest’ultimo neppure l’equivalente monetario del citato diritto, nei limiti della quota di proprietà del defunto, poiché, diversamente, si attribuirebbe un contenuto economico di rincalzo al diritto di abitazione che, invece, ha un senso solo ove apporti un accrescimento qualitativo alla successione del coniuge sopravvissuto, garantendo in concreto il godimento dell’abitazione familiare. (Cass. Civ. Sez. II, 20/10/2021, n. 29162)

Il diritto di abitazione ed uso ex art. 540, comma 2, c.c. è devoluto al coniuge del “de cuius” in base ad un meccanismo assimilabile al prelegato “ex lege’ per cui la divisione della comunione ereditaria non può avvenire che a seguito della detrazione del valore capitale del diritto di abitazione dal valore complessivo della massa ereditaria. (Trib. Lanciano Sez. I, 01/07/2021, n. 209)

Nel caso in cui venga esperita, nei confronti dell’erede, domanda di rendiconto dei frutti percepiti e percipiendi sui beni facenti parte dell’asse ereditario a far data dalla morte del de cuius, tale domanda potrà riguardare tutti i cespiti, ad eccezione dell’appartamento che abbia costituito residenza familiare, poiché il coniuge superstite, vantando sullo stesso – ai sensi dell’art. 540, comma 2 c.c. – il diritto di abitazione ed attribuendo tale titolo il diritto di goderne in via esclusiva, non potrà essere chiamato al rendiconto su tale immobile, con la conseguenza che la domanda di rendiconto deve essere limitata ai restanti beni. (App. Catanzaro Sez. I, 19/03/2021, n. 379)

In tema di imposta di registro, al diritto di abitazione riconosciuto al coniuge superstite ex art 540, comma 2, c.c., non consegue, “ex se”, il riconoscimento a favore dello stesso delle agevolazioni cd. “prima casa”, dovendo queste essere oggetto di specifica richiesta da parte del coniuge che intende avvalersene al fine della necessaria verifica della sussistenza in capo al medesimo dei presupposti per conservare i relativi benefici. (Cass. Civ. Sez. VI, 09/04/2019, n. 9890)

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


PENSIONE DI REVERSIBILITÀ: I CRITERI PER LA RIPARTIZIONE

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Cass. Civ., Sez. I, ord. 30 dicembre 2021 n. 41960

Il giudice di prime cure determinava il diritto di Tizia alla quota del 40% del trattamento pensionistico di reversibilità determinato in esito alla morte dell'ex coniuge Caio, con compensazione delle spese di lite. I giudici di secondo grado, in parziale riforma della sentenza di primo grado, determinava la quota della pensione di reversibilità spettante a Tizia nella misura del 25% e nella misura del 75% quella spettante a Sempronia, coniuge superstite. In particolare, la Corte d’Appello, dopo avere dato atto della estraneità alla pronuncia della figlia Mevia, parte appellante, teneva conto, in applicazione dell'art. 9 della legge n. 898/1970, della durata del rapporto matrimoniale, oltre che dell'entità dell'assegno divorzile posto a carico di Caio, come modificato in seguito al collocamento in quiescenza dello stesso nel febbraio del 2009, nonché dei redditi propri di Tizia e Sempronia. A questo punto, Tizia ricorreva in Cassazione deducendo la violazione e la falsa applicazione dell'art. 9 della legge n. 898/1970, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., non avendo i giudici di merito fondato la propria decisione sul criterio temporale della durata del rapporto di coniugio che era stata di 20 anni, mentre il rapporto con Sempronia era durato solamente 14 anni. La Corte distrettuale aveva anche trascurato la situazione reddituale delle parti in causa, impossidente la ricorrente e proprietaria di diversi beni immobili la resistente; altresì, i giudici di secondo grado avevano affermato che la quota di reversibilità doveva essere determinata considerando la percentuale dell'assegno di divorzio corrisposto a Tizia rispetto alla pensione del de cuius. La Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso stabilendo che “La ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione, va effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, tra i quali la durata delle convivenze prematrimoniali, dovendosi riconoscere alla convivenza «more uxorio» non una semplice valenza «correttiva» dei risultati derivanti dall'applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensì un distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale”. Inoltre, secondo i giudici di legittimità, per la ripartizione del trattamento di reversibilità vanno presi in considerazione anche l'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge, le condizioni economiche dei due aventi diritto, nonché la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali, senza, tuttavia, mai confondere la durata delle convivenza con quella del matrimonio, cui si riferisce il criterio legale, né individuare nell'entità dell'assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, data la mancanza di qualunque indicazione normativa in tal senso. Infine, “Il giudice deve tenere conto dell'elemento temporale (durata del matrimonio), la cui valutazione non può in nessun caso mancare - ma che, al contempo, non può divenire esclusivo nell'apprezzamento del giudice -, e deve tenere conto (alla luce della sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 419 del 4 novembre 1999) di ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica che presiede al trattamento di reversibilità, da individuare facendo riferimento all'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge ed alle condizioni economiche dei due, nonché alla durata delle rispettive convivenze prematrimoniali; non tutti tali elementi, peraltro, devono necessariamente concorrere né essere valutati in egual misura, rientrando nell'ambito del prudente apprezzamento del giudice di merito la determinazione della loro rilevanza in concreto”.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'