Con il termine revenge porn si intende la condivisione pubblica di immagini o video intimi attraverso internet, senza il consenso dei protagonisti degli stessi.
In Italia la legge contro il revenge porn è entrata in vigore il 9 agosto 2019, con il titolo di "Codice Rosso".
Detta legge, introducendo nuove disposizioni per la tutela contro la violenza domestica e di genere, prevede sanzioni per il fenomeno, stabilendo all'art. 10 che “chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro danno. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio”.
Integrano il reato di revenge porn due specifiche condotte:
• la realizzazione o la sottrazione e la successiva diffusione di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito senza il consenso delle persone rappresentate;
• la diffusione di foto o video ricevuti o acquisiti.
Nel primo caso, chi diffonde il materiale a contenuto sessualmente esplicito è lo stesso autore delle foto e dei video. Circostanza ancora più grave si ha quando il materiale viene sottratto alla persona rappresentata nelle immagini diffuse. In entrambe le ipotesi, trattasi di detenzione di materiale di “prima mano”, la cui divulgazione avviene mediante gli strumenti telematici.
La seconda ipotesi di reato concerne chi ha ricevuto il materiale sessualmente esplicito realizzato da terzi. In tal caso si parla di detenzione di “seconda mano” e la condotta successiva consiste nella diffusione del materiale. Qui il dolo è specifico e non generico.
Come spiega l’articolo suesposto, detto reato è procedibile a querela di parte e la vittima può sporgere querela entro 6 mesi dal momento in cui ha avuto conoscenza della diffusione del materiale sessualmente esplicito o se i fatti sono connessi con altri reati perseguibili d’ufficio.
Nel reato di revenge porn, una volta presentata, la querela non può essere ritirata, anzi, il Codice Penale specifica che la remissione può essere soltanto processuale.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Fare il “Saluto romano”, è reato?
Occorre avere riguardo a tutte le circostanze del caso, per verificare se la condotta sia idonea ad integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista
Il caso: “saluto romano” durante manifestazione pubblica
La vicenda in esame prende avvio dai fatti avvenuti durante la manifestazione pubblica del 29.04.2016 a Milano, in occasione della quale gli imputati avevano risposto alla chiamata del “presente”, eseguendo il “saluto fascista”, anche noto come “saluto romano”. La manifestazione in questione, cui avevano partecipato oltre mille persone, era volta a commemorare la morte di un militante del Fronte della Gioventù, ucciso nel ’76 da esponenti dell’Avanguardia Operaia.
Rispetto ai fatti appena narrati, il Tribunale di Milano aveva assolto gli imputati dal reato ascrittogli ai sensi dell’art. 81, comma 2, 110, comma 1, c.p., d.l. 26 aprile 1993, n. 122, per insussistenza dell’elemento soggettivo. Tale decisione veniva integralmente riformulata in secondo grado, ove la Corte d’appello di Milano aveva condannato gli imputati poiché la precedente pronuncia di assoluzione non riguardava l’ipotesi di reato oggetto di contestazione processuale, ma la diversa fattispecie di cui all’art. 5 legge n. 645/1952.
Avverso la sentenza di secondo grado gli imputati avevano proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.
Rimessione della questione alle Sezioni Unite
La Corte investita della questione sopra descritta, con ordinanza n. 38686/2023, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite visto il forte contrasto interpretativo riscontrato in seno alla Suprema Corte in ordine alle fattispecie delittuose contestate.
A tal proposito, la Corte ha ripercorso sinteticamente i contrapposti orientamenti giurisprudenziali formatisi sul punto.
In particolare, spiega il Giudice, secondo “un primo orientamento giurisprudenziale, che ritiene il “saluto fascista” sussumibile nella fattispecie dell’art. 2 d.l. n. 122 del 1993, tale manifestazione esteriore costituisce una rappresentazione tipica delle organizzazioni o dei gruppi che perseguono obiettivi di discriminazione razziale, etnica o religiosa, essendo costituiti per favorire la diffusione di ideologie discriminatorie. Secondo tale opzione ermeneutica, il “saluto fascista” è «una manifestazione esteriore propria od usuale di organizzazioni o gruppi indicati nel decreto-legge 26 aprile 1993, n. 1993 […], ed inequivocabilmente diretti a favorire la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico»”.
La Corte ha proseguito riportando il secondo e contrapposto orientamento giurisprudenziale che “ritiene il “saluto fascista” riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 5 della legge n. 645 del 1952 e postula che tali condotte siano idonee a determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni che si ispirano, direttamente o indirettamente, all’ideologia del disciolto partito fascista”, in questo senso, prosegue la Corte, l’orientamento in esame ha ritenuto che il suddetto delitto di cui all’art. 5 l. n. 645/52 “è reato di pericolo concreto, che non sanziona le manifestazioni del pensiero e dell’ideologia fascista in sé, attese le libertà garantite dall’art. 21 Cost., ma soltanto ove le stesse possano determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste, in relazione al momento ed all’ambiente in cui si sono compiute, attentando concretamente alla tenuta dell’ordine democratico e dei valori ad esso sottesi”.
Il Giudice di legittimità ha invocato l’intervento delle Sezioni Unite anche al fine di chiarire, se le fattispecie in esame configurino un reato di pericolo concreto o di pericolo astratto e per stabilire se tra il reato di cui all’art. 5 l. n. 645/52 e quello di cui all’art. 2 del d.l. n. 122/93 vi sia o meno un rapporto di specialità ai sensi dell’art. 15 c.p.
Quesito posto alle Sezioni Unite
Al termine del suddetto esame, la Corte ha pertanto rimesso la questione alle Sezioni Unite formulando il seguente quesito “Se la condotta consistente nel protendere in avanti il braccio nel “saluto fascista”, evocativa della gestualità tipica del disciolto partito fascista, tenuta nel corso di una manifestazione pubblica, senza la preventiva identificazione dei partecipanti quali esponenti di un’associazione esistente che propugni gli ideali del predetto partito, integri la fattispecie di reato di cui all’art. 2 d.l. 26 aprile 1993, n. 122 (…), ovvero la fattispecie di reato di cui all’art. 5 legge 30 giugno 1952, n. 645; se entrambe le disposizioni configurino un reato di pericolo concreto o di pericolo astratto e se le stesse siano tra loro in rapporto di specialità oppure possano concorrere”.
Decisione delle Sezioni Unite
Rispetto al suddetto quesito, la Corte a ss. uu., all’esito dell’udienza del 18.01.2024, ha reso nota la seguente decisione “La condotta tenuta nel corso di una pubblica manifestazione consistente nella risposta alla "chiamata del presente" e nel c.d. "saluto romano", rituali entrambi evocativi della gestualità propria del disciolto partito fascista, integra il delitto previsto dall'art. 5 della legge 20 giugno 1952, n. 645, ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea ad integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, vietata dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione. A determinate condizioni può configurarsi anche il delitto previsto dall'art. 2 del decreto-legge 26 aprile 1983, convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 1993, n. 205 che vieta il compimento di manifestazioni esteriori proprie o usuali di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Tra i due delitti non sussiste rapporto di specialità. I due delitti possono concorrere sia materialmente che formalmente in presenza dei presupposti di legge”.
Le motivazioni della decisione non sono ancora state depositate dalla Corte.