La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 6545 del 3 marzo 2023, ha specificato che, in caso di separazione, il pagamento dell’Imu spetta al coniuge assegnatario della casa coniugale.
Innanzitutto gli Ermellini hanno sottolineato che il presupposto per l'applicazione dell'I.M.U. è lo stesso di quello previsto dall'I.C.I.
Difatti, l'art. 13, comma 2, Decreto Legge 6 dicembre 2012, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214) sancisce che “L'imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504”.
Secondo i giudici di piazza Cavour, “Perché sorga l'obbligo di pagare l'imposta in esame, è necessario che il rapporto che lega il soggetto all'immobile sia “qualificato”, riconducibile, quindi, alla proprietà, all'usufrutto o ad altro reale di godimento, o ad un'altra situazione giuridica specificatamente stabilita dalla legge, come nel caso di locazione finanziarie o concessione di beni demaniali”.
Il legislatore ha specificamente disciplinato il presupposto impositivo nell'ipotesi di scioglimento del vincolo matrimoniale, prevedendo che, ai soli fini dell'applicazione dell'imposta municipale sugli immobili, è soggetto passivo del tributo, il coniuge a cui viene assegnata la casa coniugale con provvedimento giurisdizionale.
Altresì, il Tribunale Supremo ha richiamato il seguente principio della giurisprudenza di legittimità: “In tema di I.M.U., il convivente more uxorio, al quale a seguito della cessazione del rapporto viene assegnato l'immobile adibito a casa familiare di proprietà dell'altro convivente, è soggetto passivo di imposta ex art. 4, comma 12-quinquies, del d.l. n. 16 del 2012, che, non disciplinando un'ipotesi di agevolazione o di esenzione, può essere interpretato estensivamente includendo nel relativo ambito di applicazione, per eadem ratio, anche i rapporti di convivenza”.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Con la recente sentenza n. 10148/2021, la Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione ha esaminato il caso di una ex moglie alla quale era stato contestato in primo grado il reato di furto in abitazione per il fatto che la stessa avesse sottratto dalla casa coniugale alcuni beni acquistati dal marito prima del matrimonio.
La Corte d’Appello, in parziale riforma della pronuncia del giudice di prime cure, dichiarava non doversi procedere nei confronti della donna in ordine alla imputazione di cui all'art. 660 c.p. per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.
L'imputata si rivolgeva così al Tribunale Supremo, davanti al quale asseriva di aver casomai commesso il reato di sottrazione di beni comuni (ex art. 627 c.p.), rifacendosi alla fattispecie disciplinata dall'art. 219 c.c., secondo cui “ll coniuge può provare con ogni mezzo nei confronti dell'altro la proprietà esclusiva di un bene. I beni di cui nessuno dei coniugi può dimostrare la proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi”. Tale disposizione prevede, infatti, una presunzione di appartenenza comune ai due coniugi dei beni in relazione ai quali non è possibile dimostrare la proprietà esclusiva.
I Giudici Ermellini, dichiarando il ricorso inammissibile, stabilivano che la condotta della donna avesse integrato il reato di furto in abitazione.
Così si esprimeva la Suprema Corte: “Si è accertato che la imputata si era impossessata di taluni beni (TV, un porta televisore, alcuni tappeti ed un tavolino) acquistati dalla persona offesa prima del matrimonio. Tali risultanze, adeguatamente valorizzate in sentenza attraverso il richiamo alla testimonianza offerta dalla persona offesa, la cui attendibilità è stata accuratamente vagliata, escludono la ricorrenza della diversa ipotesi di reato invocata dalla difesa”.
Secondo i Giudici di piazza Cavour, il richiamo all'art. 627 c.p., abrogato dall'art. 1, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 7 del 15/1/2016, che disciplinava la sottrazione di beni comuni, era del tutto inconferente, in quanto, in virtù della ricostruzione offerta dai giudici di merito, risultava che i beni sottratti fossero di esclusiva proprietà della persona offesa.
Altresì, il Tribunale Supremo sottolineava come sia pacifico che il ricorso per Cassazione, qualora fondato su motivi che riproducono quelli già avanzati in appello e già ritenuti infondati, debba essere respinto, dal momento che si tratta di doglianze prive del requisito di specificità.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'