Il progetto “Quattro volte” di Stefano Boeri è stato realizzato in occasione della mostra dal nome “Chi è di scena! Cento anni di spettacoli a Ostia Antica (1922-2022)”, aperta dal 22 maggio 2022.
In particolare, il teatro romano è al centro dell’allestimento che vede l’intervento dell’archistar coniugando archeologia ed innovazione. Lo studio di Stefano Boeri architetti era già intervenuto lo scorso anno nel progetto di accesso alla Domus Aurea a Roma. La mostra curata da Alessandro D’Alessio, Nunzio Giustozzi e Albero Tulli è promossa dal Parco archeologico di Ostia antica e dalla realtà editoriale di Electa.
Si tratta di quattro stanze voltate e semiaperte che ospitano materiali multimediali e d’archivio relativi alla vita del teatro romano stesso, 100 anni di storia che vengono messi nuovamente in scena in altre forme. Si differenziano l’una l’altra in base al percorso espositivo e a seconda del periodo storico di riferimento, partendo dall’antico fino ad arrivare ai giorni nostri; infatti, il teatro è ancora oggi in uso. Le quattro stanze rievocano gli ambienti voltati del deambulatorio esterno del teatro, tuttavia, sono realizzate con materiali e tecnologie moderne, a dimostrazione della possibilità dell’antico di convivere con il nuovo. Come descrivono i progettisti:
“Se da un lato il modulo espositivo si ispira all’aspetto originario del teatro romano, in particolare alla forma archetipica dell’arco a tutto sesto, dall’altro mantiene un carattere di indipendenza, senza l’intenzione di proporre una ricostruzione filologica degli elementi mancanti della struttura antica.”
I materiali impiegati oltre a soddisfare criteri di resistenza agli eventi atmosferici garantiscono una certa sicurezza per i materiali esposti. La struttura di base è costituita da elementi tubolari di 80x80 mm rivestiti mentre gli accessi sono schermati da tende oscuranti. In considerazione della particolare sensibilità degli oggetti esposti quali abiti di scena e materiale cartaceo era indispensabile curarne anche l’illuminazione interna, oltre che la schermatura dal sole, per cui le vetrine presentano LED ad incasso e un sistema di controllo dei valori di umidità e temperatura.
Particolare rilevanza hanno i modellini in scala di Mario Sironi e Duilio Cambellotti, hanno poi collaborato alla raccolta di tutti i materiali esposti gli archivi della Biblioteca Museo Teatrale SIAE, dell’INDA, di Cinecittà Luce e materiali provenienti da collezioni private come la Collezione Andrea Sironi-Strauβwald.
Lo scavo estensivo del teatro che oggi ospita fino a 2800 spettatori fu condotto nel 1926 dall’archeologo Guido Calza, ma i primi lavori risalgono al 1880/1881 da parte di Rodolfo Lanciani, scavi fondamentali che hanno portato al rinvenimento delle epigrafi che hanno permesso la datazione del teatro stesso all’età augustea.
L’ispirazione è venuta dalla tipica casa di corte lombarda, punto di partenza per riprendere la storia del territorio, adattandola alle innovazioni architettoniche che contraddistinguono l’attualità di Milano.
Bosconavigli, lo sviluppo residenziale disegnato da Stefano Boeri Architetti e Arassociati, ai quali si affianca la progettazione paesaggistica di AG&P greenscape, vuole partire dalle le radici dell’abitare per creare 90 appartamenti di corte attorno a un olmo secolare preesistente.
Non più un “Bosco Verticale” ma orizzontale che si estenderà su una superficie da riqualificare di 8 mila metri quadrati. Il progetto potrà essere realizzato grazie a “Milano 5.0”, società che raggruppa un pool di sviluppatori e investitori milanesi, connetterà zona Tortona con i Navigli, riqualificherà via San Cristoforo e rappresenterà un tassello importante nella riforestazione di quel contesto urbano.
«Dopo il successo nel mondo del Bosco Verticale il mio studio ha voluto proporre una sua versione che si sviluppa attorno ad una corte centrale e a un olmo centenario. Bosconavigli aggiunge alle facciate alberate la presenza delle piante su tutti i tetti, trasformati in terrazze verdi. Un nuovo ecosistema ad alta biodiversità sta nascendo lungo i Navigli, nel cuore della Milano più autentica» sono le parole dell’architetto Stefano Boeri.
Bosconavigli sarà circondato da un’area verde di 3 mila metri quadrati, saranno piantate circa 170 specie diverse di piante, e circa 8000 arbusti, questi renderanno Bosconavigli un baluardo di biodiversità e modificheranno colori e profili dell’edificio al mutare delle stagioni. Anche “in quota” il verde la farà da padrone ed occuperà circa mille metri quadri.
Gli appartamenti saranno circa novanta e faranno parte di un unico corpo, racchiuso a corte e sviluppato tramite grandi gradonate che ospiteranno terrazze private e giardini pensili, dal fronte cittadino a nord verso sud, che progressivamente scende verso San Cristoforo, preservandone la visibilità e la bellezza. I fronti dell’edificio hanno un’altezza massima di undici piani, che digradano fino a tre piani. Le facciate, insieme alle coperture sono caratterizzate da un verde rigoglioso che le ricopre totalmente.
Particolare attenzione alle scelte progettuali sarà data per garantire la sostenibilità ambientale dell’edificio: fotovoltaico integrato con l’architettura, raccolta dell’acqua piovana per l’autosufficienza dell’irrigazione degli organismi vegetali, energia geotermica. Il disegno delle logge è studiato per rendere al meglio lo scambio di calore e luce naturale tra interni ed esterni. La novità del progetto è racchiusa dunque nel rapporto tra spazi interni ed esterni, e in particolare nell’inserimento di balconi, logge e terrazze caratterizzate da un verde rigoglioso pensato per filtrare le polveri sottili e abbattere l’inquinamento, riducendo il consumo energetico. Via San Cristoforo verrà riqualificata con l’aggiunta di un nuovo percorso ciclabile in continuità con quello del Naviglio Grande. Non mancherà il verde pubblico, mentre la riqualificazione dell’asse ferroviario tra gli ex Scali di Porta Genova e San Cristoforo prevede un parco pubblico costeggiante il Naviglio Grande.
«I canoni architettonici rappresentati in Bosconavigli sono l’esito di una ricerca ultradecennale che punta a riscrivere le caratteristiche tipologiche rilevanti della tradizione milanese guardando a un futuro fatto di edifici performanti e integrati nel tessuto urbano circostante» ha aggiunto Giovanni da Pozzo di Arassociati.
La mostra sarà aperta fino al 22 agosto 2021, nasce da un’idea di Livia e Silvia Aymonino. Il curatore Manuel Orazi attraverso progetti, schizzi, foto d’archivio ed interviste pone l’attenzione anche sull’uomo che c’era dietro il grande architetto Aymonino.
La mostra monografica su Aymonino (1926-2010) è ospitata presso la Triennale di Milano insieme a quella di altri due grandi designer Enzo Mari e Vico Magistretti, tuttavia la figura di Aymonino sembra passare spesso in secondo piano rispetto ai grandi del Novecento. Manuel Orazi tenta dunque di accendere nuovamente i riflettori su questo architetto viaggiando su due linee parallele: la vita privata e quella lavorativa.
Ne emerge una figura complessa che si dedica alla pittura così come alla politica, all’editoria così come all’insegnamento, come afferma lo stesso curatore Orazi:
“Gli architetti, che lavorano all’incrocio di diverse discipline, sono inevitabilmente poliedrici e lo sono stati ancora di più nella seconda metà del ‘900. Aymonino non fa eccezione, ma ha un elemento di unicità, legato alle sue geografie biografiche e professionali.”
Aymonino è di Roma ma il suo operato si sposta allo IUAV di Venezia nel 1963, poi a Milano realizza tra il 1967 e il 1972 il complesso Monte Amiata al Quartiere Gallaratese, per poi spostarsi in tutta Italia superando le resistenze regionali dell’epoca. Il Gallatarese è il progetto più famoso ed anche il più importante di Aymonino se consideriamo le parole del curatore Orazi: “Un progetto come il Gallaratese di Milano è la traduzione costruita del confronto e scambio proficuo tra saperi, discipline e personalità diverse. Non si tratta solo del tradizionale affiancamento di teoria e prassi, ma della capacità di articolare in maniera organica riflessione storico-critica e teorica ed esperienza sul campo.”
Il titolo della mostra rende onore proprio a questa sua poliedricità e straordinaria capacità di destreggiarsi tra ambiti diversi tra loro, senza focalizzarsi in schemi prefissati ma distaccandosene di volta in volta come dei piccoli tradimenti.
Il soggetto principale dell’allestimento a cura di Federica Parolini sono i suoi disegni, in grande formato, che, come dei “pop-up”, saltano fuori dando vita agli schizzi del grande architetto, trasportando il visitatore in una onirica Wunderkammer. I caratteristici quadernetti rossi che utilizzava per disegnare, appuntare aneddoti aiutano a comprendere meglio la sua vita quotidiana. Il rapporto con le diverse città che lo hanno accolto viene narrato in senso cronologico Roma, Matera, Venezia, Milano, Pesaro. Ogni città ha contribuito ad influenzare l’architetto, in uno scambio reciproco fondamentale in periodi come quello del dopoguerra, periodo in cui egli si impegnò particolarmente nella ricostruzione delle periferie.
L’obiettivo della mostra è quello di portare la figura di Aymonino alla conoscenza dei “non addetti ai lavori”, di marcare l’attualità della sua personalità, e di superare quell’oblio, che a causa di oscillazioni di gusto, lo ha relegato in una posizione d’ombra.
Il Presidente della Triennale di Milano, Boeri ha dichiarato infatti: “Uno degli obiettivi di Triennale è restituire attraverso le proprie mostre e iniziative la grandezza di figure complesse della cultura italiana del progetto, portando all’attenzione nuove chiavi interpretative, superando facili etichette e inquadramenti, a volte anche contribuendo a riscoperte e riletture critiche inedite. Questa mostra offre l’opportunità per rivisitare non solo il profilo professionale del progettista, ma anche l’intreccio di vite e passioni dell’uomo. Aymonino è stato in grado di proporre un originale discorso sulla città: la ha studiata, discretizzata, scomposta. Quello di Aymonino, nei suoi progetti e nei suoi testi, è un invito a spostare lo sguardo, da orizzontale a verticale, come ben esemplificato dagli edifici del complesso del Monte Amiata nel quartiere Galleratese di Milano del 1967-1972”.
Il progetto della Smart Forest City di Cancun si presenta come la pianificazione urbana di una nuova Città Foresta in Messico, che si estende per 557 ettari, in grado di ospitare fino a 130 mila abitanti. La città foresta è una forma di ecosistema urbano ibrido mai sperimentato prima: basti pensare che su un terreno di 557 ettari ben 400 saranno coperti di vegetazione, ospitando 290 mila alberi, per un totale di 2,3 alberi per abitante. Il resto sarà composto da arbusti e cespugli, parchi pubblici, giardini privati, tetti e facciate verdi scelti e progettati dall’architetta paesaggista Laura Gatti.
La Smart Forest City è concepita come un campus, dove si insedieranno dipartimenti universitari, organizzazioni e aziende che si stanno occupando dei grandi temi della sostenibilità ambientale e del futuro del Pianeta. Al suo interno sono previsti alcuni centri di ricerca e sviluppo per ospitare studenti e ricercatori provenienti dalle università messicane e dalle accademie più qualificate del mondo.
E' pensata come un insediamento autosufficiente dal punto di vista energetico mediante un anello perimetrale di pannelli fotovoltaici e un canale di acqua collegato con un impianto ipogeo al mare che permettono di alimentare la città in modo sostenibile. Tale scelta permette di sviluppare un’economia circolare intorno al tema dell’utilizzo dell’acqua, elemento chiave del progetto, che viene raccolta all’ingresso della città con una grande darsena e una torre di desalinizzazione per poi essere successivamente distribuita in un sistema di canali permettendone la diffusione nell’intero insediamento e l’irrigazione dei campi agricoli circostanti.
La Smart Forest City fa uso della gestione dei cosiddetti “Big Data” per migliorare l’amministrazione della città e di conseguenza la qualità di vita dei propri cittadini. Una rete di sensori di ogni tipo distribuiti lungo la smart city e incorporata all’interno degli edifici, nelle strade, negli impianti e nei luoghi pubblici per raccogliere e analizzare in tempo reale dati utili a una migliore gestione della vita pubblica. Sarà inoltre all’avanguardia sul tema della mobilità sostenibile. Sia i residenti che i visitatori dovranno infatti lasciare i veicoli che bruciano combustibili fossili al di fuori dell’insediamento e circolare con automobili elettriche e a guida autonoma. La città è progettata a misura d’uomo, non di auto, seguendo il principio che ogni abitante ha il diritto di avere a disposizione tutti i servizi di cui ha bisogno, nel raggio di un’adeguata distanza a piedi o in bici. Un concetto che appare quanto mai rivoluzionario nell’odierno panorama urbano.
Il progetto è pensato secondo i principi di un’urbanistica non deterministica, l’insediamento si sviluppa partendo dal presupposto che i suoi edifici possano adattarsi a eventuali trasformazioni nel tempo.
"Abbiamo progettato la struttura della città, quindi le infrastrutture energetiche, quelle legate alla mobilità, le aree verdi, i poli di ricerca e quelli di attrazione lasciando una grande flessibilità nella distribuzione delle diverse tipologie edilizie che potranno essere diversamente articolate nei cinque grandi comparti previsti dal Masterplan. Lotti e comparti residenziali saranno in grado di accogliere il cambiamento del mercato che avviene nel tempo." ha spiegato l’architetto Francesca Cesa Bianchi, partner e project Director che ha curato i dettagli della Città Foresta insieme all’archietto Stefano Boeri.
L’architetto è stato incaricato dal Commissario Straordinario per l’emergenza Covid-19 Domenico Arcuri di elaborare il concept architettonico e comunicativo della campagna di vaccinazione anti-Covid-19.
La proposta, approvata nelle sue linee generali e ora è in fase di ulteriore definizione, vede la centro del concept un fiore, la primula, a simboleggiare la rinascita post Covid. La scelta del fiore quale simbolo della campagna di vaccinazione ha uno scopo preciso, come dichiarato dallo stesso architetto Stefano Boeri: “Abbiamo voluto, grazie all’immagine di un fiore primaverile, una primula, creare un’architettura che trasmettesse un segno di serenità e rigenerazione. Se il virus ci ha chiuso negli ospedali e nelle case, il vaccino ci riporterà finalmente a contatto con la vita sociale e con la natura che ci circonda. Vaccinarsi sarà dunque un passo di fiducia nel futuro, responsabilità civile e di amore verso gli altri.”
La proposta comprende tre elementi fondamentali: il logo della campagna e la sua declinazione, il progetto dei padiglioni per la somministrazione del vaccino e
un totem informativo da localizzare nei luoghi pubblici.
Il simbolo scelto, che rappresenta il fulcro del progetto, getta le basi per la realizzazione della pianta circolare dei padiglioni, che dovranno essere installati nelle principali piazze italiane, e appare chiaramente visibile dall’alto, occupando l’intera superficie delle coperture attraverso una rappresentazione stilizzata.
La struttura del padiglione sarà realizzata in legno strutturale e poggerà su una pedana prefabbricata, anch'essa in legno. Il padiglione, completamente smontabile e ri-assemblabile, sarà rivestito con materiale tessile composto dall'accostamento di diversi materiali idrorepellenti, riciclabili e biodegradabili, mentre la copertura ospiterà un sistema di pannelli fotovoltaici in grado di assicurare l'autosufficienza energetica dell’intero padiglione.
All'interno, la suddivisione degli spazi avverrà grazie a sistemi prefabbricati in tessuto, anch’essi caratterizzati da leggerezza, flessibilità, assorbimento acustico e trasparenza. Sono previsti spazi necessari alla somministrazione del vaccino e spazi per l’accettazione e l’attesa dopo la vaccinazione. Il nucleo centrale del padiglione circolare è invece adibito a zone di servizio per gli operatori (back office, deposito, spogliatoi, servizi igienici dedicati, etc).
Gli elementi che caratterizzano il layout interno dei padiglioni verranno declinati anche nei punti di somministrazione individuati all’interno di strutture ed edifici già esistenti.